Erano bianchi i telefoni nei film italiani Anni 40

Erano bianchi i telefoni nei film italiani Anni 40 Al Massimo da martedì 20 la rassegna «Quota 100» Erano bianchi i telefoni nei film italiani Anni 40 DAL 20 al 29 giugno, presso la multisala Massimo è in programma la retrospettiva Quota 100. Il cinema italiano negli anni 1940-41, curata dall'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza e del Museo Nazionale del Cinema con la collaborazione della Cineteca Nazionale e dell'Istituto Luca, La produzione cinematografica dell'epoca fascista è tuttora oggetto di ricerca, terreno di confronto per gli scritti di storici e critici, ma, come per molti una tavola riccamente Imbandita potrebbe avere più attrattive di un trattato di gastronomia, cosi una rassegna come questa diventa l'occasione per vedere (o rivedere) alcuni film di quegli anni, per capire come erano, o non erano, se fascisti o no, cosa rappresentavano e, soprattutto, cosa non raccontavano. Quota 100 era una meta produttiva: 100 film all'anno, ampiamente superata nei primi anni di guerra, seguendo i precisi dettami mussoliniani: «la cinematografia è l'arma più forte». Il regime aveva voluto Cinecittà (Inaugurata il 28 aprile 1937), sosteneva il LUCE e il Centro Sperimentale di Cinematografìa, dotato di nuova sede (inaugurata il 16 gennaio 1940) e di teatri di posa, dove si giravano regolarmente film; non solo, erano attive strutture per il sostegno del prodotto cinematografico come, per esempio, il CREA (Cinematografia Rurale Educativa Ausiliare), il cui scopo specifico era la diffusione di film in formato ridotto nei comuni privi di sale cinematografiche. Tutto questo in armi nei quali era suonata «l'ora in cui stanno per compiersi gli alti destini dell'Italia mussoliniana», secondo la retorica dell'epoca, anni che vedevano rivelarsi la tragedia della guerra nella sua spaventosa drammaticità in modo progressivo e inarrestabile. Contemporaneamente si continuavano a produrre i cosiddetti film dei telefoni bianchi, commedie rosa in cui si impongono talenti come Vittorio De Sica (Maddale- na Zero in condotta) o Mario Soldati. Si realizzano anche opere come Melodie eterne (1940) di Carmine Gallone, una biografia di Mozart scritta da Ernst Marischka e Guido Cantini, in cui Wolfgang Amedeus era Gino Cervi e Claudio Gora l'imperatore; oppure San Giovanni Decollato (1940) di Amleto Palermi, dall'omonima commedia di Nino Martoglio (tra gli sceneggiatori c'era anche Cesare Zavattini), interpretato da Totò nella figura di un ciabattino devoto del Battista e in lite con la moglie e i coinquilini. Anche la Peccatrice (1940) di Amleto Palermi, film drammatico girato al Centro Sperimentale con un cast notevole (Paola Barbara, Vittorio De Sica, Fosco Giachetti, Gino Cervi, Umberto Melnati e vari altri), sostenuto da sceneggiatori illustri (Luigi Chiarini, Umberto Barbaro, Francesco Paslnetti) è al di fuori dei problemi del conflitto, che, nel cinema a soggetto, sembra non esistere, viene quasi completamente ignorato; uguale è il de¬ stino della propaganda fascista, con poche eccezioni come L'assedio dell'Alcazar (1940) di Augusto Genina o Uomini sul fondo (1941), film d'esordio del comandante Francesco De Robertis, voluto dal Centro Cinematografico del Ministero della Marina, nel quale un incidente durante un'esercitazione serve a celebrare lo spirito di corpo dei sommergibilisti. A tenere al corrente il pubblico provvedevano i cinegiornali che precedevano la proiezione del film e, correttamente, la rassegna li ripropone, creando «un invito a una riflessione — afferma Paolo Gobetti nella presentazione — non superficiale sul complesso intreccio/li aspirazioni popolari, cultura, fascismo e guerra, quale appare attraverso lo specchio dello schermo». Uno specchio che sembra voler riflettere una realtà d'evasione, uno spettacolo di totale finzione, capace di distrarre dai problemi reali, coerentemente con i principi dell'ideologia totalitaria. Beppe Valperga Al centro ddla foto Vittorio De Sica, negli anni in cui recitava nei film «dei telefoni bianchi»

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