Del Buono, una talpa che scava tra gli affetti famigliari

Del Buono, una talpa che scava tra gli affetti famigliari Una veduta del Naviglio Grande ( Lo scrittore mette a nudo orrori e pietà di «una vita sola» (Foto Boccazzi-Varotto. da «Milano 360°», Priuli & Verlucca) Del Buono, una talpa che scava tra gli affetti famigliari Molti conosceranno, di Oreste Del Buono, le paginette giornalistiche, quasi un taccuino, pubblicate sul Corriere della Sera sotto il titolo «La talpa di città». In analogia con la talpa che procede sottoterra alla cieca, listando e graffiando, per affiorare in luoghi imprevedibili accanto a un monticello di detriti, egli ci offre reperti dei marciapiedi metropolitani che la fretta (e il disagio) ci impedisce di isolare e apprezzare. L'idea e la traccia di quei pezzi vengono utilizzate per il romanzo La vita sola, un titolo che allude alla solitudine di chi racconta ma anche a una nudità, a una assenza comunitaria e magari ontologica. Del Buono se ne va a piedi per il centro di Milano, indugia sui tram e sui vagoni del metrò, ricambia silenzi e battute, capta brandelli di conversazione, sbircia tra le pagine di un libro del passeggero accanto. C'è l'ubriaco che apostrofa un monumento, il ladro inesperto che sbatte col motorino contro un muro, la vecchia stracciona che si prodiga per cani e piccioni, e poi zingare petulanti e proterve, sciami di negre pigolanti negli scialli bianchi, il rito suicida della siringa. le merde elaborate dei cani. Nella chiesa deserta di San Babila gli sembra di cogliere dall'altare l'ansito corrucciato del padrone di casa, pentito del suo capolavoro. Si tratta di gente per lo più sgradevole, nel fisico o nel tratto. La signora spocchiosa e volgare che esce dalla libreria con Svevo s&tò fi braccio non è mèglio degli esem' plari- di umanità vecchia e inferma, dei giovani brufolosi, dal volto cadaverico sotto il neon. L'atteggiamento di Del Buono è di stupore inquieto, vibrante, che raddoppia quando l'estraneità sembra colorarsi di un sospetto d'immedesimazione. Ma queste minime -tranches de vie- creano soltanto il clima necessario a farci scivolare tra orrore e humour — un precario, esitante humour — nel cuore del libro. Qui l'autore esibisce in presa diretta le storie della sua famiglia che abbiamo imparato a conoscere a partire almeno dai Peggiori anni della nostra vita e che è utile presupporre negli elementi essenziali. Manca ad esempio nella Vita sola la crisi generazionale ed epocale segnata dalla guerra, dal campo di concentramento, dall'impegno politico e culturale nell'Italia apparentemente ringiovanita. Manca la figura dello zio materno Teseo Tesei. morto all'assalto di Malta sulla torpedine da lui stesso ideata. Tutto si rat¬ trappisce ora sul privato del protagonista. La difficile convivenza matrimoniale, l'ossessione dei rumori e degli odori nelle veglie notturne, la prigionia tra le pile di libri, le due case vicine e separate, per evitare che si ripetano con la moglie le scene di insofferenza, il farsi male dei genitori. Viene fuori cosi, a poco a poco, la struttura possibile del romanzo. Dove la solitudine milanese è come l'esplosione corpuscolare e pervadente di un trauma personale, di qualcosa che è accaduto nella famiglia d'origine. Tra padre e madre si consuma nell'isola (che è l'Elba, ma priva di connotazioni paesistiche e risonanze sentimentali, come si addice a un viperino deserto) una specie di faida, una delusa e scaduta Orestiade. E quando il figlio accorre al capezzale della madre morente, devastata dalla vecchiaia, viene scambiato per lo zio Teseo, l'eroe idolatrato scomparso in mare. Così l'ultimo furente abbraccio, gli artigli che stringono i suoi polsi, hanno l'aspro sapore del misconoscimento e del rifiuto. Sono pagine molto belle, colme di revulsione e strazio. Oreste tornerà nell'isola, a trovare il padre che rimpiange querulo e stordito le -dolcissime- litigate di una volta (-// rispetto per il padre e la madre figura nei Dieci Comandamenti che, con l'aggiunta del Manifesto del 48, sono le uniche idee che regolino la mia vita- ). Ma neanche lui è al riparo dal risentimento, perché ha contribuito a educare il figlio all'impotenza. . Stiamo, attenti a quell'altra pagina sul piccolo Oreste costretto a seguire il padre cacciatore, sull'uccello rimasto ferito e sbranato dal cane nella macchia. Nasce di qui l'avversione di Oreste peri cani, o la gelosia per la cagna stupenda dell'amico. •gli occhi sfavillanti di velluto e acciaiocome una innamorata. In questa zona parentale del libro abbiamo una delle prose migliori che si possano leggere oggi da noi, conversevole e sciolta, mai andante, senza fronzoli ma neanche sbavature, moderna. E resta alla fine della lettura un'impressione pungente. Nel continuum che è diventata da anni la narrativa di Del Buono. La vita sola può essere ritagliata come un trattatello -de senectute-, dove tuttavia non c'è saggezza né consolazione, solo una combattuta pietà che si riverbera sui morti e sui vivi, sul mondo e su chi lo interroga scri- vend0 Lorenzo Mondo Oreste Del Buono, -La vita sola», Marsilio, 137 pagine, 18.000 lire.

Persone citate: Boccazzi-varotto, Del Buono, Lorenzo Mondo, Oreste Del Buono, Svevo, Teseo Tesei

Luoghi citati: Italia, Milano