L'italiano cerca la festa

L'italiano cerca la festa Parliamone L'italiano cerca la festa GLI italiani leggono poco. Poco rispetto agli altri Paesi europei colti e sviluppati quali la Francia, l'Inghilterra e la Germania. Leggono pochi libri, giornali e perfino rotocalchi. Di questo dato di fatto, un po' mortificante, noi abbiamo ben ragione di rammaricarci, tanto più in quanto poi vediamo masse di visitatori accalcarsi, in lunghissime file, davanti ai cancelli della mostra sui Fenici a Venezia o sulla Pop Art a Roma. E lo stesso capita a Milano, a Firenze, a Torino, a Napoli, ecc.. La qual cosa mentre fa crescere il nostro disappunto nel contempo è causa di molto stupore. Perché la mostra sì e i libri no? La ragione è semplice e l'aveva trovata — e ce l'aveva stupendamente raccontata — Giacomo Leopardi circa due secoli fa. Ricordate il Discorso sullo stalo presente dei costumi degli italiani, riedito ora da Marsilio, questo straordinario scritto in cui non sai se più ammirare l'acutezza dell'argomentazione o la straordinarietà della lingua? Cosa dice Leopardi in quel Discorso? Dopo aver esaltato i costumi dei popoli a noi più vicini, di cui sottolinea (e vanta) le virtù civiche e il senso dell'onore, afferma che, al cospetto e in contrasto, l'Italia e gli italiani sono privi di ogni ambizione intellettuale e, conseguentemente, di ogni capacità (e regola) di vita in comune. E aggiunge: "Molte ragioni concorrono a privamela, che ora non voglio cercare. Il clima che gli inclina a vivere gran parte del dì allo scoperto, e quindi a passeggi e cose tali, la vivacità del carattere italiano che fa loro preferire i piaceri degli spettacoli e gli altri diletti de' sensi a quelli più particolarmente propri dello spirito, e che gli spinge all'assoluto divertimento scompagnato da ogni fatica dell'animo e alla negligenza e pigrizia-. A due secoli dal momento in cui sono state pronunciate, nonostante le sconvolgenti trasformazioni (di costume e modi di vita) intanto intervenute, queste parole suonano oggi ancora vere, forse ancora più vere. Sì, non vi è dubbio, ancora oggi "le occupazioni di tutte le classi non bisognose in Italia- si esauriscono nel •passeggiare, andare agli spettacoli e ai divertimenti, alla messa e alla predica, alle feste sacre e profane-. E oggi appartengono al genere spettacoli le mostre del Seicento o del Futurismo, ma anche quelle di francobolli, di monete antiche o di tappeti orientali e a tutte, e con lo stesso spirito, gli italiani (non bisognosi) in massa vi si recano. Vi si recano come a una festa; ma dalle feste non si aspettano più nulla: anzi danno per scontato che un po' si annoieranno, così pagando un giusto obolo all'attesa (che poi si rivelerà frustrata) di divertirsi. Gli italiani sono troppo scanzonati per prendersi sul serio e per dare importanza agli accidenti della vita, lieti o no che siano. Certo sfuggono al dolore ma questo, quando risulta impossibile evitarlo, è sufficiente considerarlo un inevitabile passaggio. • Gli italiani sono nella pratica, e in parte eziandio nell'intelletto, molto più filosofi dì qualunque filosofo straniera, poiché essi convivono e sano immedesimati con quella opinione e cognizione che è la somma della filosofia, cioè la cognizione della l'ànttà d'ogni cosj e secondo questa cognizione, che in essi è piuttosto opinione c sentimene sono al tutto e praticamente disposti assai più del/altre nozioni-. In questo ritratto — che Leopardi disegnò mischiando con ineguagliabile bravura grottesco e ironia, lucidità e disperazione — quanti protagonisti dell'attualità politica, economica e sociale del nostro Paese potremmo riconoscere e chiamare per nome! Sarebbe un gioco molto facile e dunque non divertente. Forse, gioco per gioco, più divertente sarebbe chiederci cosa accadrebbe se un giorno decidessimo di scambiare la nostra generica intelligenza con l'efficienza intellettuale, la nostra spregiudicatezza con l'applicazione prudente, la nostra vivacità con l'amor proprio, se smettessimo di «ridere indistintamente d'ogni cosa e di ognuno, incominciando da noi stessi". Ci scopriremmo certo un po' più ottusi, ma anche — evviva! e finalmente! — quanto più (proficuamente) attivi e intelligenti! E forse, oltre che essere più funzionali e corretti nel lavoro, saremmo lettori più avidi Angelo Guglielmi

Persone citate: Angelo Guglielmi, Giacomo Leopardi, Leopardi