K2: una vittoria al prezzo di molte vite di Alberto Papuzzi

K2: una vittoria al prezzo di molte vite L'alpinista Dienberger racconta la straordinaria (e tragica) scalata dell'86 pK2 iri K2: una vittoria al prezzo di molte vite UNA montagna perfetta. "Visto da determinate angolazioni il KZ possiede la forma armonica di un triangolo secondo i rapporti della sezione aurea. Dall'alto poi rivela una simmetria che ricorda addirittura quella del diamante... Dal punto di vista geografico questa montagna si erge esattamente al centro delle più. grandi catene montuose dell'Asia e quando la si osserva sulla carta l'insieme delle sue creste e dei costoni fa pensare alla rosa dei venti'. Questo è il K2 di Kurt Dienberger, che per trent'anni ha sognato di conquistarlo. Quando ci riuscì, nell'estate del 1986, la realizzazione del sogno coincise con la più tragica stagione dell'alpinismo himalayano. Il libro di Dienberger K2. Il nodo infinito è la storia emozionante di quel sogno e di quella tragedia. Ha vinto il Premio Itas di letteratura di montagna, assegnato a Trento da una giuria presieduta da Mario Rigoni Stern. La sigla K Two fu usata per la prima volta da Montgomery nel 1856 per le misurazioni (K sta per Karakorum). E' la seconda cima del mondo: 8616 metri. Si alza dal vasto e piatto ghiacciaio del Baltoro. I primi salitoli furono nel 1954 Compagnoni e Lacedelli, con la spedizione guidata da Ardito Desio, lungo lo sperone Duca degli Abruzzi, la via degli italiani. Tre anni dopo il giovane scalatore austriaco Kurt Dienberger saliva la cima del Broad Peak, di fronte al K2, con una spedizione leggera, in stile alpino, ideata da un alpinistra fra i più grandi, Hermann Buhl. Un'impresa eccezionale, che precorreva 1 tempi. Fu in quell'occasione, dalla vetta del Broad Peak, che Dienberger ammirò per la prima volta il «suo» K2. Il nodo infinito parte da quei giorni del 1957, quando Dienberger aveva 25 anni. Il ghiacciaio del Baltoro era deserto. 'Restiamo qui ancora per un poco. Saliremo ancora un sei o un settemila', Buhl aveva scritto a casa. Tre settimane più tardi, ripiegando nella bufera da un tentati-. vo al Chogolisa, Buhl spari nel vuoto, su una cornice staccatasi dalla cresta. Dienberger era qualche decina di metri più avanti. Quel ricordo posto all'inizio del libro è un segnale: le montagne himalayane sono incantevoli, ma sono anche una roulette russa. Dienberger è un cineasta, oltre che alpinista. Il montaggio fa parte della sua cultura: questa tecnica ha riversato nel libro. I flash back su Buhl si confondono con un ricordo più recente: un'ascensione blitz allo stesso Broad Peak nel 1984, con Julie Tullis, la più brava alpinista inglese, due figli già grandi, un amore invincibile per gli spazi sconfinati, appassionata anche lei di cinema (con Dienberger ha costituito «The Highest Film Team in The World»). Anche con Julie il Broad Peak si rivela drammatico, a causa di una slavina durante la discesa. La caduta e una tormenta costringono i due a un bivacco di sei giorni: «Un ottomila è tuo solo quando nei sei sceso, prima sei tu che gli appartieni'. Questi ricordi e molti altri, non soltanto di alpinismo, sono montati in parallelo con la tragedia dell'estate 1986. Fra giugno ed agosto tredici morti sul K2, che in tutta la sua storia contava dodici vittime. I giornali si sono così abituati all'idea che le grandi montagne sono ormai sconfitte, le notizie giungono così spezzettate che la tragedia passa quasi inosservata. Ma Kurt Dienberger che sul ghiacciaio del Baltoro attende il giorno buono per salire la sua montagna con Julie Tullis, è il testimone di quello che oggi appare un jeu de massacre. Il 21 giugno una slavina travolge due americani, John Smolich e Alan Pennington, impegnati sulla via più diffìcile, la Magic Line: "Sono le 5 e 30 del mattino. All'improvviso sentiamo un sinistro tuono. Saltiamo fuori dalla tenda e vediamo che un'immensa valanga ha spazzato tutta la parete...', Il 23 giugno i coniugi francesi Maurice e Lilìan Barrarci raggiungo la vetta insieme alla polacca Wanda Rutkiewicz e al giornalista Michel Parmantier. Sono i primi in quell'estate: un'euforia indescrivibile invade tutti «Forse per questo, annota Dienberger, quel giorno scendono solo di trecento metri: Bivaccano; l'indomani li sorprende una tormenta: i Barrard scompaiono. L'8 luglio i polacchi Juri Kukuczka e Tadeusz Piotrowski vincono l'inviolata parete Sud. Due giorni dopo, in discesa, Piotrowski perde un rampone: scivola e precipita. Kukuczka arriva al campo base da solo il 12 luglio. «Di lui si dice che per giorni può mangiare solo neve sabbia e pietre rimanendo in forma'. n 16 luglio Dienberger sta esaminando dal campo base lo sperone del K2. "A un certo punto ho l'impressione di vedere un puntino che si muove, veloce. E' qualcuno che sta scendendo... Ma improvvisamente, fulmineamente scompare. Come svanito. Mi sfrego gli occhi. Nulla, più nulla. Ho per caso sognato?'. Quel puntino era un grande scalatore italiano, Renato Casarotto. Tornava indietro da un tentativo in solitaria. Caduto in un crepaccio, muore qualche attimo dopo che Dienberger e altri lo hanno tirato fuori. Il 4 agosto altre due vittime: il polacco Woijciech Wroz, ancora in discesa, e il pakistano Mohammed Ali, per una scarica di pietre. Siamo già nei giorni dell'ultimo estenuante dramma, cinque morti, cui Dienberger partecipa da attore. Lo stesso 4 agosto Kurt Dienberger e Julie Tullis raggiungono finalmente la loro vetta: "Siamo felici. Restiamo abbracciati per una frazione di eternità... Sotto il cappuccio giallo i grandi occhi scuri di Julie mi fissano. "Our very special mountain" mormora in un sussurro'. Ma sono le sei passate del pomeriggio, la nebbia si fa cupa, il vento sale freddo. "Nei suoi occhi c'è l'inquietudine. Dobbiamo andare'. Kurt e Julie sono vittime di una spaventosa caduta. Una seconda volta, sono costretti a bivaccare per sei giorni nella bufera, quasi senza cibo né acqua, insieme con l'inglese Alan Rouse, la polacca Dobroslowa Wolf, gli austrìaci Bauer, Imitzer e Wìeser. Sette alpinisti in tre tendine a 8000 metri. La scampano soltanto Kurt Dienberger e Willi Bauer. Julie muore separata da Kurt, in un'altra tenda. La sera prima era andata a trovarlo: «Ci stringevamo la mano, felici. "Kurt, mi sento un po'strana". La sua voce mi giunge come da molto lontano, da questo ciuffo di capelli e di cristalli. Deve bere, bere, bere. Domani scendiamo...'. Quella è anche l'estate della scalata a tempo di record di Benoit Chamoux e del successo degli italiani di «Quota 8000», oltre che dell'impresa di Juri Kukuczka. Sono le cose che resteranno nella storia ufficiale dell'alpinismo. Ma nel cuore di Dienberger e dei suoi lettori resterà il senso di una grande illusione. I ghiacci del Baltoro negli Anni Ottanta non sono più deserti e silenziosi, ma popolati da tende di spedizioni provenienti da tutti i continenti, in stile classico e in stile alpino. La montagna sembra facile oggi; ma sui suoi speroni e sulle sue creste l'uomo continua a incontrare il suo fragile limite. Alberto Papuzzi Kurt Dienberger, «K2. Il nodo infinito», Dall'Oglio, 270 pagine, 50.000 lire. ta alata dell'86 palili oria ^^tó L'alpinista Kurt Dienberger

Luoghi citati: Asia, Trento