La virtù di Eisenhower: mediare sempre in guerra e in politica

La virtù di Eisenhower: mediare sempre in guerra e in politica Il generale americano dal '43 al '45: la prima parte di una monumentale biografia scritta dal nipote La virtù di Eisenhower: mediare sempre in guerra e in politica PASSATI 44 anni dalla fine del grande conflitto, la vastissima biblioteca di opere su eventi e personaggi della Seconda guerra mondiale si arricchisce della prima parte di una monumentale biografia di Dwight Eisenhower, comandante supremo degli eserciti alleati in Europa dal 1943 al 1945. A seguito delle mille pagine dedicate agli ultimi decisivi diciotto mesi della guerra, viene annunciata la futura pubblicazione di una seconda parte, dedicata all'esperienza politica di Eisenhower come presidente degli Stati Uniti dal 1953 al 1960. Si tratta di una biografia speciale. Lo storico che l'ha scritta è un nipote del popolarissimo «Ike», si chiama David Eisenhower, insegna Scienze politiche all'Università della Pennsylvania, ha avuto stretta familiarità con il nonno negli anni della Casa Bianca e ha sposato una figlia di Richard Nlxon che fu vicepresidente e confidente di Eisenhower. Una ricerca che attinge a fonti dirette e a documentazioni originali. Infatti è un libro foltissimo. L'enorme quantità di informazioni in buona parte inedite sulla vita giorno per giorno del generale, procura qualche senso di vertigine sul tipo di esistenza che le responsabilità militari e politiche obbligavano quest'uomo a condurre, nel pieno di una tragedia che pareva travolgere il mondo a tempo indeterminato. La straordinaria vicenda umana del ragazzo di Abilene, Texas, divenuto capo di eserciti appartiene ormai alla storia. Ma l'immagine già tradizionale di «Ike» grande mediatore nelle controversie militari e politiche sorte durante la guerra fra capi delle varie nazioni alleate, fra capi dei diversi eserciti e fra capi delle armate sotto la stessa bandiera, esce rafforzata e maggiormente motivata dalle nuove ricerche. Ciò che risulta originale nella tesi dell'autore è la grande considerazione che viene data agli aspetti politici del compito di Eisenhower in guerra. Il suo indubbio successo come comandante risulta ora la diretta conseguenza di una grande cura nel non perdere mai di vista la realtà politica nella quale si trovava ad agire. La sua non fu una leadership lineare, quale avrebbero voluto nel comandante supremo gli inglesi e soprattutto i generali britannici a cominciare da Montgomery. Ma dalla documentazione attuale si ricava che Eisenhower non falli proprio perché nell'esercitare il suo comando con la diplomazia del caso per caso, non dimenticò mai che — sostiene l'autore — era il capo responsabile di un'alleanza senza unità di intenti e di obbiettivi fra americani, britannici e sovietici, che non aveva un indiscusso controllo di tutte le forze militari in Occidente e tanto meno delle forze russe. Oggi si sa anche che, a parte la stragrande superiorità aerea, non dispose mai nemmeno di una vera superiorità di potenza militare e soprattutto di addestramento, di fronte alla perfetta macchina da guerra messa in campo dalla Germania. Eppure, osserva correttamente il nipote-storico, -alla luce delle decisioni prese in conformità con la missione affidatagli dallo stato maggiore alleato, di stabilire una testa di sbarco in Francia e, d'accordo con i russi, di condurre operazioni tendenti a colpire al cuore la Germania, è chiaro che la leadership di Eisenhower fu un successo'. Fu il capo supremo che si assunse il tremendo peso personale della complessa e rischiosissima operazione Overlord dello sbarco in Francia, vincendo l'opposizione degli strateghi aviatori, che sostenevano, con molti appoggi anche fra gli strateghi di terra e del mare, la meno rischiosa possibilità di piegare la Germania esclusivamente a furia di distruttivi bombardamenti. Soprattutto impose il suo punto di vista quando dopo lo sbarco in Normandia scoppiò la maggiore crisi di progetto strategico fra americani e inglesi. Si doveva tener fede all'impegno preso con i sovietici a Teheran di bloccare ancora di più le armate tedesche all'Ovest con un secondo sbarco nella Francia meridionale (Operazione Anvil) o si doveva realizzare, come volevano accanitamente Churchill e 1 suoi, un'avanzata dall'Italia verso Nord-Est, in Austria, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Balcani, che tagliasse la strada all'occupazione sovietica dell'Europa orientale? Eisenhower si rese conto che in quel momento gli Alleati, impegnati com'erano in Normandia, non avevano nessuna possibilità di 1 portare avanti con successo una campagna nel SudEst europeo. Perciò portò a compimento l'Operazione Anvil, che fu decisiva per la vittoria militare in Francia, conservando nel contempo l'indispensabile cooperazione con i russi. Se i sovietici avessero smesso di premere sui te¬ deschi come minacciavano, la vittoria in Francia sarebbe stata in pericolo, almeno nel 1944. Churchill insinuerà poi che così gli americani ebbero la responsabilità della «perdita» dell'Europa orientale, ma a giudizio degli storici si tratta di un'affermazione vana, derivata dal declino dell'influenza inglese sulle sorti della guerra e dalle tensioni postbelliche. Su particolari di questo genere, con un contributo autorevole alla storia, si diffondono le mille pagine di David Eisenhower, figlio di John, che a sua volta come giovane tenente fu vicino al padre grande generar le nell'ultima fase della guerra e ne ha conservato le carte più segrete. Franco Pierini David Eisenhower, «Eisenhower, gli anni della guerra 1943-1945», a cura di Mario Silvestri, traduzione di Bruno Jappelli, Mondadori, 1017 pagine, 55.000 lire. Eisenhower, con Zukov, Stalin e Ave re 11 Harriman, osserva la parata nella Piazza Rossa (12 agosto 1945)