Il «maledetto» Selby torna alla ribalta: «L'America è contro di me»

Il «maledetto» Selby torna alla ribalta: «L'America è contro di me» Incontro a Los Angeles con Fautore di «Ultima fermata a Brooklyn». Dopo le esperienze del carcere e del manicomio, ecco i suoi racconti Il «maledetto» Selby torna alla ribalta: «L'America è contro di me» LOS Angeles — «Il rumore è un racconto che ho scritto quando ero in prigione, per eroina... mi faccia pensare... nel '61* dice Hubert Selby Jr, nato a Brooklyn nel 1928, meccanico della marina mercantile durante la guerra, di cui esce in questi giorni II canto della neve silenziosa, una raccolta di quindici racconti pubblicata da Feltrinelli (traduzione di Attilio Veraldi, 175 pagine, 22.000 lire). «Mi ricordo come è nato quel racconto — continua lo scrittore — perché ero in cella d'isolamento, sa, una celletta tutta per me, e c 'erano dei rumori strani, la notte. Mi venne in mente una cartolina che Alfred Hiteheock mandò a qualcuno, che diceva: L'altro giorno stavo guidando sulla riviera, quando un camion è uscito di strada, mi è venuto addosso in pieno e... tanti baci, Alfred. Il messaggio finiva li. Allora ho scritto anch'io una lettera molto simile al mio agente, su questo rumore angosciante che sentivo la notte... Ripensandoci dopo mi sembrò un buon tessuto per un racconto. Solo che non avevo soldi per comprarmi carta e penna. Ho dovuto aspettare una settimana che un vicino di cella mi facesse scivolare un paio di dollari sotto la porta». Selby: molti dovrebbero ricordarlo. E' stato l'eroe di una generazione assetata di rinnegati letterari, l'autore autodidatta di Ultima fermata a Brooklyn, un caso scoppiato come una bomba a orologeria in America nel, '64 e sequestrato in Italia neh '66, in quanto «di contenuto osceno per la descrizione scurrile e volgare di accoppiamenti anche tra invertiti...». Due milioni di copie vendute. Una Brooklyn depravata e luclferina abitata da ubriachi, mafiosi, puttane e teppisti. La critica all'epoca si spaccò in due: e non mancarono 1 censori che reagirono con insulti alla violenza di quella prosa che aboliva sintassi, grammatica e interpretazione. Ma per molti. Ultima fermata a Brooklyn, che Feltrinelli ristamperà a settembre e da cui il regista tedesco Oli Edel ha appena tratto un film (ci avevano provato anche Stanley Kubrick e Brian De Palma), è un grande libro, se non felice, un libro denunciatone) e necessario. Selby allora aveva 36 anni, ed era un uomo sparuto e gracile come è oggi, con lo stesso candore irriverente. Uno che ha avuto una vita d'inferno. Tisi a vent'anni, tre anni e mezzo di ospedale, gli han tolto dieci costole, pneumotorace a un polmone, via un pezzo dell'altro, asma cronica. Quando in ospedale gli hanno dato la morfina, «è stato amore a prima vista» dice seccamente. L'agonia del vecchio descritta nel Rumore è dunque la sua: Selby si è disintossicato in cella d'isolamento. «Faccio ancora fatica a vivere» confessa "ho i miei demoni. Ma quello della droga è un capitolo della mia vita che è chiuso da vent'anni». Il rumore, abbiamo detto, è del '67. Gli altri racconti di poesia raccolta, di una qualità commovente e asciutta, vanno dal '57 all'86, ed è un peccato che non rechino la data né nell'edizione italiana né in quella americana, perché aiuterebbe a spiegare tante differenze di stile tra una storia e l'altra, storie di. uomini smarriti, che cercano, non sempre invano, di stabilire un rapporto sensato con la realtà. Sono passati dieci anni, Selby, dal suo ultimo libro (Requiem for a dream). Che cosa ha fatto nel frattempo? "Ho fatto del mio meglio per sopravvivere, solo questo. Ho lavorato nei distri- Hubert Selby jr. in una foto di qualche anno fa butori di benzina, nei negozi di souvenir, ho pulito le latrine, qualsiasi cosa». Ma come è possibile? Ultima fermata a Brooklyn è stato un successo commerciale colossale... «Afa stiamo parlando di 25 anni fa!» ride stralunato. "Quanto crede che durino un paio di migliaia di dollari?». E nessuno l'ha aiutata? L'America è generosa con i suoi scrittori... 'Non con me. Mi considerano un barbaro. Oppure semplicemente mi ignorano. Ho provato di tanto in tanto a ottenere un finanziamento da qualche università, mi è sempre stato rifiutato. E' appena successo anche quest'anno. Centinaia di migliaia di persone l'ottengo¬ no ma io no. La comunità accademica mi considera una minaccia. Non lo capisco». Si dice che Hubert Selby quei dollari se li sia bevuti fino all'ultima goccia. E poi ci sono state le sue mogli, tre, e quattro figli. Ora vive solo in un appartamentino di due stanze a Hollywood. Due anni dopo la prigione, dice, l'ha fatta finita anche con l'alcol, che trasuda tuttavia da ogni pagina del suoi racconti, traboccanti di ossessioni ma anche di dignità. Storie dolorose come quella di una donna che scrive al marito dal manicomio. Com'è nato quel racconto, Faccio la brava"? "L'ho scritto nel 1980, ed è basato su dei fatti veri, lo avevo tentato il suicidio in¬ torno al '58... mi pare. L'unico modo per accertarlo sarebbe controllare le partite di football di quell'anno» ride. "Comunque mi hanno rinchiuso, e avevano, sa, delle terapie per tenerci occupati. Ci facevano fare dei portafogli... e c'era anche un corso di scrittura. Scrivevamo tutti qualcosa che poi leggevamo a voce alta. Le garantisco che è un'esperienza notevole assistere a un seminàrio di composizione narrativa in una casa di matti, certa gente proprio non ha il senso dell'umorismo...». E la donna? "C'era una donna che scrisse una cosa che mi fece molta impressione, e tenni il suo foglio per anni, sperando di cavarne un racconto che riflettesse la sua malattia mentale solo attraverso le lettere al marito, senza inteventi narrativi. Credo di esserci riuscito. Sono molto contento. E' davvero una storia deprimente». Quanto tempo ha passato in ospedale psichiatrico? «Sei mesi. Ma lei lo chiama ospedale? Che carina,..». Parliamo dell'ultimo racconto Il canto della neve silenziosa, quello che dà il titolo alla raccolta, scritto in un tono stranamente soave per un autore che sa usare la penna come un coltello a serramanico. E' la storia di un uomo spossato che vince per un attimo l'Insopportabile angoscia di esistere ascoltando il suono della neve che cade. Quest'uomo torna a casa dalla moglie e dai figli. "Quando metti il benessere di qualcun altro davanti al tuo, solo allora — dice lo scrittore — hai una possibilità di salvezza». Lei è un uomo religioso, Selby? "Io credo nel rispetto dei valori dello spirito, se è questo che intende. Vede, ho sessantun anni, e ho capito che l'unica cosa che valga lo sforzo di vivere è l'amore». Un tempo denunciava i mali della società, ora cerca delle soluzioni. Lei sa, vero, che quella critica che lei sostiene la ignori, la considera un grande moralizzatore. 'lo so solo che ho vissuto in un periodo in cui sono successe molte, molte cose. Quand'ero bambino i negri venivano torturati nel Sud. E poi la guerra. E la violenza. Ce n'è ancora molta in questo mondo e certamente ce n 'è dentro di me. Se credo che bisogna denunciare i problemi per trovare delle soluzioni è perché questo è lo scopo della mia vita. Non quello del mio lavoro. Io cerco soltanto dì scrivere la miglior cosa che posso». Livia Manera

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