Bearzot trent'anni dopo: «Di serie B non si muore»

Bearzot trent'anni dopo: «Di serie B non si muore» La retrocessione del '59 nei ricordi dell'ex et degli azzurri: anche allora un valzer sfortunato di allenatori e presidenti Bearzot trent'anni dopo: «Di serie B non si muore» Vatta ha fatto il possibile, adesso tocca alla squadra di domani» « TORINO — Le maglie granata in serie B, per la seconda volta nella storia del club e del calcio. Trent'anni dopo un'altra tormentata stagione, 1958-59, per molti aspetti simile a questa. Avvicendamenti societari, dalla presidenza di Rubatto (dimessosi sotto la pressione di una feroce contestazione, altra costante della vita granata) al comitato d'emergenza guidato dal reggente Leumann. Tourbillon in panchina, dall'avvio di stagione con Federico Allasio, alla parentesi Ellena-Bertoloni (questi giocatore-allenatore), al magiaro Imre Senkey. Allora una squadra che pagò precipitosamente l'anzianità media del parco giocatori. Adesso come allora una delle cause (forse) la troppa fiducia nei giovani. Ma alla base delle due cadute, gli stessi motivi già ricordati. In assenza di continuità e di certezze fra presidenza e panchina, un complesso non può esprimere in campo il poco o il tanto che ha in corpo. Ha compiuto un mezzo miracolo nella stagione '81'82 Massimo Giacomini. Mentre l'impero Pianelli traballava in un clima di confusione, il tecnico spezzava i ponti fra società e giocatori. Con loro, isolati nel campo di allenamento di Moncalieri, costruiva una rimonta finale in cui pochi credevano. La maledizione «dell'anno nove», è già stato scritto. Nel '49 la tragedia di Superga, nel '59 e adesso la retrocessione. Casualità, e soprattutto non va confusa la pagina dolorosa della morte di quel Torino con fatti sportivi che hanno origini chiare nelle incertezze alle spalle della squadra. La ricorda Enzo Bearzot, questa profonda differenza: 'Il mio amore per il Toro è nato la sera del 4 maggio '49. Quando sentii dentro lo stimolo, la voglia intensa, di dare il mio apporto ad una società così provata. L'amore nasce anche dalla sofferenza. Ho ancora davanti agli occhi la partita giocata dal Toro sul campo dell'Inter il 30 aprile '49. Un sabato, per permettere ai granala di volare il lunedì in Portogallo. La loro ultima partita in Italia, uno 0 a 0 da battaglia. Grandissimi Bacigalupo e Ballarin. Avevano fatto miracoli. Con quel ricordo, la notizia della loro morte mi ha dato una ragione di vita sportiva. Sono arrivato al Toro cinque anni dopo, il tempo per vivere il bello e il brutto. Anche la B, certo, c'ero anch'io quell'an¬ no.. Ma avemmo la fona di risalire subito, l'anno dopo: Trent'anni dopo. Ma dai ricordi di Enzo Bearzot affiorano analogie impressionanti fra situazioni ed umori. 'Quel maledetto campionato '58-59 lo cominciammo con Allasio in panchina. Iniziammo male, non ci diedero il tempo di organizzarci. Dopo la sconfìtta di Bari per 4-1 il tecnico cambiò tutto. Dentro i giovani. Vieri in porta, Varglien, Farinelli, Cancian e altri. Io e Bonifaciffa i pochi anzia¬ ni, I giovani possono essere inseriti a tratti, non tutti insieme sperando nel miracolo dell'età. Tanto è vero che quando, dopo la parentesi Elleno, arrivò Senkey a guidarci e ridiede fiducia agli aìiziani, lo sprint finale ci portò vicini alla salvezza». Bearzot sottolinea altri motivi, di quell'anno amaro: 'C'era confusione a livello di presidenza, e poi era la stagione in cui avevamo quella "T" del Talmone sul petto, la gente non la voleva, soprat- tuttonon voleva che lasciassimo il Filadelfia, la nostra culla (cosi ha definito lo storico campo anche Giovanni Arpino, nella sua poesia granata, n.d.r.), il terreno delle nostre battaglie più belle. Ci allenavamo in Piazza d'Armi... Era cambiato un mondo e pagammo le conseguenze. Eppure la squadra base era buona, Allasio volle rivoluzionarla e fu la fine». Il Torino rimase un anno solo in B. Il ricorso storico oggi vale da buon augurio. Bearzot lo fa suo: 'Certo, rivoglio subito le maglie granata in alto. Chi passa per il Torino, si porta addosso un marchio preciso. Tutto mi è rimasto dentro, le gioie, la tristezza della B, i momenti degli stipendi non pagati, ma resta questa profonda sensazione di lottare per il campanile, per una società che ha sofferto molto. Il Toro non morirà mai, c'è una fiamma che non si spegne». Il cuore, questo, ma anche i motivi tecnici e pratici di una immediata risalita. 'Nella successiva stagione di B con Senkey si badò all'esperienza. Come sempre, la retrocessione la pagarono i giovani oltre i loro demeriti. Perse il posto Lido Vieri, ragazzo ec¬ cezionale, che rimase come riserva aSaldan. Ancora Bonifaci e me, poi Rino Ferrario. Una mediana di lottatori, lasciavamo sfogare gli avversari per colpirli con i venti gol di Virgili, soprattutto. Ero il capitano, alla fine i tifosi mi portarono in trionfo. Un pomeriggio che mi è rimasto dentro. L'ultima partita il 5 giugno '60,3-1 al Modena con reti di Ferrario, del caro Giorgio Feirini, di Mazzero. Ah, dimenticavo una cosa, la più importante. Eravamo tornati a giocare al Filadelfia...». Anche Borsano sogna un ritomo al Filadelfia, ma gli anni sono passati ed i romanticismi non sono più di moda. Anche i calciatori sono cambiati, il granata è una seconda pelle che si può sfilare. Restano però validi, e sono punti fermi, i significati precisi che Bearzot offre del Torino come fede popolare, come immagine di un calcio fatto di slanci e non solo di tattica. 'Ho letto della decisione di Vatta, del suo modo duro ma da uomini. Ha fatto il possibile. Il resto tocca al Toro di domani. Più che gli auguri, la certezza. In B non si muore, dalla B si risorge». b. p. Il granata Bearzot contrasta Nicole in un derby del '62

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