Rivivrà la «Leggenda della Croce»

Rivivrà la «Leggenda della Croce» Un progetto per il restauro della grande opera murale (250 metri quadrati) di Piero della Francesca Rivivrà la «Leggenda della Croce» Lo splendido «ciclo», realizzato ad Arezzo tra il 1452 e il 1466 nella cappella absidale della chiesa di San Francesco, è in pessime condizioni - Previsti interventi anche sulla «Madonna del parto» - Un convegno internazionale il 23 e 24 giugno AREZZO — Un grande progetto per salvare e conservare uno dei più straordinari cicli d'affresco del primo Rinascimento: la Leggenda della Vera Croce, dipinta da Piero della Francesca tra il 1452 ed il 1466 nella cappella absidale della chiesa di San Francesco. Duecentocinquanta metri quadri di pittura che, ancora oggi a distanza di secoli, incantano con -scorci», 'prospettive-, 'ritratti di naturale antichi e vivissimi', come notava Vasari, uno dei pochi a capirne l'importanza nel passato. Ma da decenni affetti da un grave male, un velo di pallore biancastro che ricopre le superfici dipinte: la solfataziohe, la trasformazione cioè di carbonato di calcio in solfato di calcio, a causa dell'umidità. Un fenomeno già individuato negli Anni 60 ed ancora attivo. Per curare questo ed altri guai è nato nel 1985 -Un progetto per Piero della Francesca- promosso dalla Soprintendenza aretina, con la collaborazione di specialisti di tutta Italia e sponsorizzato dalla Banca Popolare d'Etruria e del Lazio. Un'indagine ampia e approfondita, la maggiore sinora fatta su opere murali, per stabilire le cause del degrado del ciclo della Croce e della Madonna del parto nella cappella del cimitero di Monterchi, un altro prezioso affresco dell'artista, staccato dal muro nel 1911 e dalla storia sofferta. -Lo scopo — sottolinea Margherita Morìondo Lerizini, ex soprintendente, coordinatrice (e ideatrice) del progetto — è di eliminare i mali alla radice per conservare gli affreschi il più a lungo possibile e di programmare su basi scientifiche un eventuale restauro, che dovrebbe concludersi nel 1992, quinto centenario della morte dell'artista". La ricerca La ricerca ha riguardato le superflci dipinte per capire la tecnica pittorica e gli interventi di restauro, le pareti e le strutture murarie degli edifici (San Francesco e cappella di Monterchi) per individuare lesioni, traumi, dissesti, ed il microclima interno ed esterno per scoprire le infiltrazioni di umidità. Oli strumenti: ricerche storiche sistematiche negli archivi di Arezzo e Firenze e analisi chimiche, fisiche, termografiche, riflettografiche e fotografiche a infrarossi, fluorescenza a ultravioletti. I risultati, che saranno discussi e confrontati in un convegno internazionale ad Arezzo il 23 e il 24 giugno per stabilire strategie di intervento conservativo e forse di restauro, sono esposti fino al 31 luglio nel suggestivo sottochiesa di San Francesco. Pannelli documentari, audiovisivi, luminose e nitide multivisioni con un informatissimo catalogo (Alinari) raccontano la storia del gran lavoro dell'artista da un lato e di quello distruttivo del tempo e degli uomini dall'altro. La prima impressione è che la sopravvivenza degli affreschi, anche se sbiaditi, sia già un fatto straordinario. Maltrattati dagli eventi, ignorati per secoli dalla letteratura critica, se si eccettuano le note positive del Vasari e gli accenni del Lanzi, sono rivalutati soltanto nel nostro secolo da Longhi, Salmi ed altri dopo di loro. Piero li dipinge su commissione del mercante di seta Francesco Bacci, succedendo a Bicci di Lorenzo che aveva affrescato volta e sottarco della tribuna tra il 1447 e il 1452, anno della morte. Si ispira alla popolare Legenda aurea dì Iacopo da Varazze, che racconta la storia del legno della Croce di Cristo, suggeritagli dai francescani e dal colto umanista Giovanni Bacci. Ne dà un'interpretazione originale e modernissima, creando un capolavoro di prospettiva e colore e trasformando 11 soggetto medioevale in una storia laica e cortigiana. Conseguenza certo degli incontri con gli umanisti a Firenze nel 1439, al tempo del Concilio tra Chiesa d'Oriente e d'Occidente. Ed anche di contatti con artisti come Leon Battista Alberti, Donatello e soprattutto Domenico Veneziano. Ma le pareti su cui dipinge sono già lesionate. La chiesa di San Francesco, costruita nei primi settantanni del '300, nel cuore della città, sull'importante «domus» dei Cacciaconti, utilizzava molte strutture del vecchio palazzo. A fine '300 si manifestano i primi cedimenti delle fondamenta. Ne risentono abside e tribuna, che i frati indeboliscono ancora inserendo nicchie per contenere tombe. Così, quando Francesco Bacci nel 1416 dispone -che si faccia dipingnere etfighurare tutta la cappella grande della chiesa-, sulla parete di destra si devono tamponare le nicchie. Ma subito dopo, tre terremoti, nel 1427, 1448, 1456, provocano crepe e lesioni nella volta a crociera e nella tribuna, ancora oggi visibìli sotto gli affreschi. Nel '500 una nuova torre campanaria provoca, col suo peso, la caduta di pezzi di intonaco sui dipinti: la lunetta con la Morte di Adamo ne soffre. A -rassettarla», per 24 scudi, arriva nel 1553 il pittore Benedetto di Bernardino Spadari, personaggio sinora sconosciuto. Nel '600 e nel '700 la situazione si aggrava: nuove crepe e nuove infiltrazioni di acqua. Nell'800 le truppe francesi si installano nella chiesa, che nel 1811, con la soppressione del convento, è costretta ad ospitare nel coro un soppalco con orchestrina: tavoloni, chiodi, mensole graffiano gli affreschi. La mostra Ma a metà secolo, i primi pentimenti ed un restauro riparatore del fiorentino Gaetano Bianchi, che ridipinge «a buon fresco- fregi e cornici. E nel '900, finalmente, due restauri: quello del 1915 di Domenico Fiscali, che però consolida gli intonaci con troppo cemento (e con chiodi); risultato: abbondante solfatazione, e quello negli Anni '60 di Leonetto Tintori, discusso per l'uso di resine acriliche e l'eccessiva pulitura. Questo ed altro si legge nei pannelli rivelatori della mostra. Ma c'è anche un racconto poetico ed affascinante, quello del modo di dipingere dell'artista, delle sue «giornate di lavoro», della tecnica, del segreti nascosti sotto il velo di colore. Lo splendido ciclo è stato realizzato in 230 «giornate» (stesure di intonaco per il lavoro quotidiano), grandi o piccole, curate e lisce come nelle scene con l'Adorazione del legno della Croce o tirate giù a colpi veloci e irregolari come nella Morte di Adamo. Un volto maschile feroce, a bocca aperta, nella Battaglia di Eraclio rivela un particolare curioso: i segni della tela bagnata che il pittore usava per tenere umido l'intonaco e continuare a lavorare il giorno dopo alla stessa figura. Piero usa una tecnica «mista», descritta mezzo secolo prima dal Cennini, ma in quel momento all'avanguardia: su grandi campiture a fresco inserisce dettagli con colori a secco (biacca, cinabro, lacca rossa) legati da sostanze grasse. Sull'intonaco sono affiorati i disegni, realizzati con il sistema del cartone traforato, lo «spolvero» che si presenta molto diverso, fitto o rado, rivelando collaboratori. Certo, molta arte, ma anche molto lavoro: eppure il povero Piero aveva dovuto nominare dei procuratori nel 1473 e nel 1486 per essere pagato sino in fondo dai committenti. Sono i risvolti umani dei grandi miti. Maurizia Tazartes Arezzo. La cappella absidale della chiesa di San Francesco, dipinta da Piero della Francesca