Festa a rischio nel Kosovo di Tito Sansa

Festa a rischio nel Kosovo I serbi «invadono» Pristina per ricordare la battaglia contro il Sultano invasore Festa a rischio nel Kosovo Gli albanesi: non accetteremo provocazioni Un milione, forse due milioni di serbi invaderanno domani il Kosovo, la regione autonoma jugoslava abitata da una maggioranza di albanesi di religione musulmana. Sarà una invasione pacifica, mistica, assicurano gli organizzatori di Belgrado, per ricordare solennemente con una cerimonia religiosa (di rito ortodosso) e un comizio storico la battaglia di Kosovo Polje, alle porte di Pristina. Ma la polizia federale e l'esercito hanno preso le loro precauzioni, l'intera piana è circondata da giorni e vi saranno severi controlli per chi vorrà accedervi. Si teme infatti che qualche testa calda voglia approfittare della confusione per creare incidenti. Paradossalmente i serbi festeggiano non una vittoria ma una sconfitta. Quella che seicento anni fa, il 28 giugno 1389, le tre armate serbe agli ordini del re Lazar subirona a Gazi Mestan da parte dell'armata del sultano turco Murat. Quel giorno i due condottieri persero entrambi la vita, il re Lazar morì in combattimento mentre il sultano Murat fu assassinato nella sua tenda da un certo Milos Obilic. Fu quest'ultimo avvenimento a scuotere le fantasie popolari, tanto che quando la notizia giunse a Parigi le campane di Notre Dame suonarono a stormo. Domani, su iniziativa dei serbi immigrati in Francia, le campane della cattedrale di Parigi suoneranno di nuovo per ricordare l'avvenimento, che fu uno dei più tragici della storia dell'Europa: quel 28 giugno di sei secoli fa segnò infatti l'inizio della dominazione ottomana in Europa, che durò per mezzo millennio. Altre battaglie si svolsero nella vallata di Kosovo-Polje, e sempre i serbi furono sconfitti: nel 1448 il magiaro Janos Hunyadi, che comandava un'armata mista, fu vinto da Murat II e più recentemente, nel 1915, l'esercito serbo fu sgominato dalle truppe austroungariche. E fu Sarajevo Proprio a causa di queste disfatte militari, Kosovo-Polje è diventato per il popolo serbo il simbolo della loro nazione. Da secoli il 28 giugno viene ricordato dai serbi con cerimonie di sapore nazionalistico e di una di queste, il 28 giugno 1914, il serbo Gavrilo Princip approfittò per assassinare a Sarajevo l'arciduca Ferdinando d'Austria. Fu la scintilla che fece divampare la prima guerra mondiale. La migrazione di serbi verso il Kosovo (la più grande della storia, secondo gli organizzatori) è già cominciata. Dalla Germania, dalla Francia, dagli Usa, perfino dall'Australia, sono arrivati nei giorni scorsi a Belgrado migliaia di emigrati serbi e insieme con centinaia di migliaia di connazionali forniti di tende e di roulottes si sono messi in movimento da due giorni per dirigersi verso il Kosovo a bordo di migliaia di au¬ tomobili. Oggi seguiranno centinaia di autobus e diversi treni speciali. A Pristina non c'è posto per dormire e, siccome la popolazione albanese non è disposta a fornire alloggio ai poco amati serbi, non è possibile trovare alloggio presso privati. Le cerimonie di massa dovranno svolgersi tutte in un solo giorno, per permettere alle masse di rientrare. Le celebrazioni saranno due, una religiosa dinanzi allo splendido monastero bizantino di Gracanica, che è per il popolo serbo il simbolo della religione ortodossa, l'altra storico-politica a Gazi Mestan, dove l'armata serba fu massacrata dai turchi, e il sultano fu assassinato dal serbo Obilic. Dinanzi al monastero la cerimonia religiosa sarà celebrata dall'ottantenne patriarca di Belgrado, German, una figura mitica della Chiesa ortodossa serba, poi la folla si muoverà verso il mausoleo di Murat. Qui vi saranno cori, spettacoli artistici e soprattutto discorsi. Parlerà — e sarà il culmine della manifestazione — l'uomo nuovo del nazionalismo serbo, Slobodan Milosevic, che recentemente con la sua elezione alla presidenza della Repubblica serba ha consolidato la sua posizione. Milosevic — è il caso di ricordare — è anche presidente del comitato di coordinamento dei festeggiamenti. E chi conosce la sua abilità di tribuno e la sua imprevedibilità, teme che le sue parole possano eccitare la folla e portare a incidenti. Diritti umani Nel Kosovo la situazione è sempre molto tesa, come ha constatato una delegazione di deputati del Parlamento europeo inviata nella regione per controllare se i diritti dell'uomo venivano rispettati. Ritornati a Strasburgo, i parlamentari si erano dichiarati «delusi» perché le autorità avevano cercato di impedire che incontrassero alcuni intellettuali indipendenti albanesi, dissuadendoli perfino dal lasciare il loro albergo. «Gli albanesi sono in maggioranza a Pristina — ha detto un deputato — la stampa serba li accusa di violenze, ma in realtà essi hanno paura. Noi tutti siamo preoccupati che il 28 giugno qualcuno possa perdere la testa». Preoccupate sono anche le autorità del governo albanese a Tirana, alle direttive delle quali (anche se viene smentito) si ispirano i nazionalisti del Kosovo. Nella capitale albanese si ripete da anni che «il Kosovo è un problema interno della Jugoslavia» e che «ci interessa ma non ci riguarda». Ancora di recente Sofokli Lazri, consigliere politico del presidente albanese Ramiz Alia, mi ha detto: «Non miriamo all'annessione dei due milioni di albanesi del Kosovo, ci auguriamo una Jugoslavia stabilizzata. Noi albanesi, in Albania e nel Kosovo, rimaniamo tranquilli, senza reagire». Ma seguiranno i kosovari i consigli che gli vengono dalla ma- drepatria? E' probabile — dicono gli esperti — che non perderanno la calma di fronte all'invasione serba che (tutto considerato) durerà soltanto un paio di giorni e che non reagiranno neanche se provocati. Del resto, dopo i sanguinosi incidenti di marzo, che provocarono 24 morti (22 dimostranti e due poliziotti), gli albanesi del Kosovo sono senza guida: alcuni dei loro più eminenti politici sono in carcere in attesa di giudizio, altri, tra cui i più inquieti nazionalisti che erano stati mandati al confino, in località segrete (i cosiddetti «desaparecidos») sono stati saggiamente rilasciati su consiglio del nuovo primo ministro federale, il croato Ante Markovic, ma sono innocui perché strettamente sorvegliati dalla polizia. I «desaparecidos», che erano più di 400, sono attualmente solo una dozzina. Il 28 giugno è già stato due volte — a causa di questo angolo di Balcania — una data infausta per l'Europa e l'Occidente. Che i serbi festeggino pure le loro sconfitte, che preghino pure dinanzi alla «reliquia» di re Lazar tornata nel Kosovo dopo avere peregrinato per un anno ed essere stata esposta in centinaia di villaggi in tutta la Jugoslavia. Così pensano gli albanesi alla vigilia dell'invasione serba. L'ordine che si sono imposto è «rimanere calmi». Tito Sansa Pristina. Scontri tra polizia e manifestanti durante la recente crisi del Kosovo. Nella cartina: il teatro della battaglia avvenuta 600 anni fa