Fuller s'illumina di nero di Fulvia Caprara

Fuller s'illumina di nero Incontro al MystFest con il regista di «Street of no return» Fuller s'illumina di nero A 78 anni beve, fuma, si appassiona - E' ancora un vulcano di attività: ha terminato «The Madonna and the Dragon» e sta per girare una serie dalle opere della Highsmith Definisce il film tratto dal romanzo del suo amico Goodies «un melodramma brutale» DAL NOSTRO INVIATO CATTOLICA — Come molti personaggi dei suoi film, Samuel Fuller, 78 anni, regista, attore, scrittore, indomabile vecchio dal folti capelli bianchi e dal viso bruno di sole, beve bloody Mary alle 11 di mattina, mastica un lungo sigaro, batte i pugni sul tavolo, alza la voce, si torce in grandi risate e detesta ogni tipo di schema, ogni tentativo di catalogazione della realtà, tutto quello che è banalmente normale. Anche al MystFest, dove è arrivato per celebrare il ricordo del vecchio amico David Goodìes e per presentare in anteprima il suo ultimo film Street ofno return, tratto appunto dal romanzo dello scrittore americano scomparso nel '67 a soli 49 anni, Fuller non si è smentito: incontenibile, ironico, vitalissimo, in giacca bianca, pantaloni neri, stivaletti, ha cominciato subito con l'attaccare, durante il convegno su Ooodies di ieri mattina condotto da Corrado Augias, certi accenni di inquadramento dell'opera dell'autore. "Goodies non voleva essere catalogato, quando scriveva era come se stesse costruendo un puzzle, raccontava le emozioni dei suoi personaggi partendo da un presupposto che io condivido completamente. Nella vita di ognuno di noi c'è sempre una pagina nera, un mi- stero nascosto dentro il cervello. Ed è proprio in questa zona che bisogna indagare». Ex cronista di nera, soldato durante la seconda guerra mondiale in Europa e in Nord-Africa, autore di titoli famosi nella galleria del genere «noir» (come II kimono scarlatto) e in quella della cinematografia di guerra (Il grande uno rosso), attore in II bandito delle 11 di Godard, L'amico americano di Wenders, Fuller preferisce comunque raccontare piuttosto che esporre concetti. E quando racconta lo fa con tutto se stesso. •Nel '46 ero sceneggiatore per la Warner e lì ho incontrato David Goodies; qualche tempo dopo ci rivedemmo, lui venne a mostrarmi dei ritagli di giornale, tutti gli articoli che avevo scritto quando ero redattore al New York Evening Journal, sulla storia di una rivolta razziale scoppiata ad Harlem. Così nacque il libro di David e poi il ' mio film, quando Jacques Bral mi fece avere la riduzione cinematografica che aveva tratto dal romanzo. Adesso che il film è uscito, mi piacerebbe tanto che Goodies fosse qui, magari per potermi dire che la sua storia era tutta diversa da quella che io ho raccontalo». Interpretato da Keith Carradine e Valentina Vargas, con la partecipazione di Andrea Ferréol, Bernard Fresson e Bill Duke, Street of no return è, nella definizione di Fuller, «un melodramma brutale che colpisce forte e che fa male» centrato sulla figura del protagonista, un classico personaggio da romanzo «nero» barbone con un passato scintillante di cantante di successo, e sulla descrizione di un fenomeno sociale di drammatica attualità. "Allo scoppio della rivolta razziale abbiamo dato una motivazione concreta - dice Fuller — che sta nella nascita e nello sviluppo di un'enorme transazione finanziaria che riguarda la distribuzione del "crack" lungo le strade delle città americane. E' un fatto molto comune, di cui però sì parla assai poco sulle prime pagine dei giornali». Fuller racconta, tra passione e divertimento, come è riuscito a trasformare Keith Carradine nel disperato Michael, come ha stravolto i bei lineamenti morbi¬ di dell'attore figlio d'arte, come lo ha fatto entrare nella psicologia di un fallito, bevitore. "Tuo padre era tanto amico di John Barrymore, ricordati di lui. Cerca di immaginare le trasformazioni che può subire un uomo giovane di successo che improvvisamente perde tutto e comincia a vivere un'esistenza da incubo, pur conservando dentro la sua gentilezza, la sua sensibilità». E Fuller parla anche da attore: «Lo faccio solo per gli amici e quando mi è capitato sono sempre stato molto contento. Mi sento a mio agio se devo interpretare un soggetto, se c'è una storia in cui calarmi e naturalmente non potrei recitare se mi trovassi semplicemente nella condizione di dover imparare a memoria qualcosa». Galoppa avventurosamente tra i ricordi, Samuel Fuller, apre larghe parentesi, scherza, tira fuori dalla tasca il trafiletto di giornale che racconta una piccola, ma importantissima storia. Dopo la breve vacanza al MystFest (dove ieri è stato anche proiettato nell'ambito della retrospettiva dedicata al tema della Città Nera Underworld del 1960), tornerà al lavoro di montaggio del nuovo film intitolato The Madonna and the dragon. Scritto dal regista insieme con Jean-Pierre Sinapi e Daniel Tonachella, pro¬ dotto da Jean-Francois Lepetit e interpretato da Lue Merenda, Jennifer Beals e Patrick Bauchau, il film è stato girato nelle Filippine e racconta le avventure di un fotografo francese e di una ragazza americana dell'alta società miliardaria. L'incontro tra i due, sullo sfondo avventuroso del colpo di Stato contro Marcos e della lotta del popolo al fianco di Cory Aquino (detta appunto la Madonna), è al centro di questo nuovo lavoro di Fuller. "All'inizio tra i'due c'è la guerra, poi scoppia l'amore, i due protagonisti decidono di sposarsi e, soprattutto la ragazza, subisce un profondo mutamento esistenziale». Nei progetti del vulcanico regista c'è anche a breve scadenza (dopo il film, che sarà pronto all'inizio dell'autunno) l'avvio di un nuovo lavoro: il primo episodio di una serie dedicata al pubblico televisivo e basata sulle opere di Patricia Highsmith. Lavoro-vita, insomma, lavoro-passione, perché come dice Fuller: "La macchina da presa ha la capacità di mostrare cose e persone ed è molto migliore di qualsiasi altro mezzo al mondo; ti dà l'atmosfera, l'umore, la velocità, l'altezza, la profondità... Può entrare dentro le persone, nei loro occhi, e continuare fino alle cellule e ai muscoli del cervello». Fulvia Caprara Lee Marvin nel film di Fuller «U grande uno rosso»

Luoghi citati: Cattolica, Europa, Filippine, New York