Eroe e gentiluomo di A. Galante Garrone

Eroe e gentiluomo PAOLO GRECO A100 ANNI DALLA NASCITA Eroe e gentiluomo Oli studenti che frequentarono la torinese Facoltà di Giurisprudenza fra il 1935 e il 1959 ricorderanno certo il loro professore di diritto commerciale, Paolo Greco. Nato a Napoli il 26 giugno 1889 aveva portato nelle università di Milano e di Torino, nel cuore stesso della moderna «civiltà delle macchine» e delle imprese economiche, 11 meglio delle tradizioni giuridiche meridionali, che fin dal Settecento avevano toccato vertici di rara altezza. Il suo rigore scientifico si alleava a trasparente calore umano. La sua straordinaria limpidezza nel parlare trapassava intatta nei suoi scritti sul contratto di lavoro e sulle società commerciali: testi giustamente rinomati. Memorabile ancora oggi è il suo libro dedicato ai diritti sul beni immateriali: forse la sua opera migliore, e — come un giorno mi confidò — quella a lui più cara. Greco era anche un eccellente avvocato. A lui ben si attagliano le parole che scrìsse nel 1953 per la morte in montagna di Livio Bianco, grande avvocato e grande comandante partigiano: «Fu avocato nel senso più completo ed elevato dell'espressione, che comprende il diritto e la morale, la dottrina e la rettitudine, il vigore polemico e la dignità dei modi'. Come i giuristi fuor del comune, aveva il coraggioso intuito delle vie nuove del diritto: come nella famosa causa civile da lui sostenuta, a fianco di Bianco, per la sciagura del Torino a Superga. Ma in lui su tutto primeggiava la passione dell'insegnamento, della sua scuola, della ricerca scientifica. Va subito detto che egli non fu soltanto un puro giurista. Portava con sé, fin dalla giovinezza, un interesse umanistico di ampio respiro, testimoniato dalle sue carte private. Solo a Torino, tuttavia, nella seconda metà degli Anni Trenta, maturò in lui una nuova apertura culturale, un'acuta sensibilità politica — nel senso più ampio del termine — per i problemi dell'ora. La crisi era ormai nell'aria; e si riverberava nella coscienza, e nello stesso pensiero scientifico, dei giuristi migliori. Lo si scorge bene, per citare, di questi ultimi, imo solo, negli scritti pubblici e privati di un Calamandrei. Un'analoga maturazione si operò, nella Torino di quegli anni, dal 1935 in poi, in Paolo Greco. E vi concorse, certamente, l'aria che si respirava nella sua Facoltà giuridica, a fianco di insegnanti come Einaudi, Jannaccone, Solari, Segrè; e ancora vi aleggiava lo spirito di libertà di un Ruffini e di un Carrara, che pochi anni prima avevano rifiutato il giuramento. Ma più di tutto lo amareggiava e Inquietava l'ubriacatura di tanta opinione pubblica, abbacinata dall'impresa etiopica. Fu dei non molti italiani che ne presagirono le funeste conseguenze. Ormai l'Italia precipitava verso la tragedia. Senti come pochi la bruciante vergogna delle leggi antisemite del 1938. Ho sotto gli occhi un commovente «componimento» dell'8 dicembre 1937 (si noti: pochi mesi prima del disfrenarsi dell'abietta e servile campagna razziale), sul toma «Riflessioni sul popolo degli Ebrei», scritto dalla sua tredicenne primogenita, Adriana (precocemente scomparsa nel dopoguerra), su evidente ispirazione del padre, ma con sorprendente autonomia di giudizi, e freschezza ingenua di scrittura. (Quanti «intellettuali» che allora finsero di nulla, o, pèggio, plaudlrono, oggi arrossirebbero nel leggerlo!). Questa maturazione in senso antifascista di Oreco approdò cosi a un pugnace liberalismo democratico, che andava al di là degli scritti, pur tanto da lui apprezzati, di Croce e di De Ruggiero Non ci stupimmo, noi giovani allora, di vedere quest'uomo di gracile apparenza, che aveva ormai superato i 54 anni, alla testa della Resistenza come rappresentante del partito liberale nel Cui del Piemonte. Fu di un favoloso coraggio, sempre sereno, tranquillo, sorridente, arguto. Tina Rieser, allora militante, scrisse alla sua morte: «Per me era uno scanzonato eroe della Resistenza e insieme il prototipo del gentiluomo napoletano'. Non occorre dire tutto quel che allora fece: è una parte, la sua, ormai consegnata alla storia. Voglio soltanto ricordare — per mettere in luce quanto egli sapesse anche staccarsi dalle direttive dei partiti—che fu decisivo, in seno al Cln, il suo voto, accanto a quello dei comunisti e del partito d'azione, a sostegno degli scioperi del 1944 (i primi scioperi di protesta nell'Europa dominata dai nazisti): contro il voto dei socialisti e dei democristiani. Egli tendeva, soprattutto, a mantenere, in seno al Comitato, l'operante coesione delle diverse forze. Avrebbe poi scritto, dopo la guerra: «Liberali e comunisti, capitalisti e proletari, cattolici e miscredenti, repubblicani e monarchici, pur beccandosi fra di loro, rimasero sempre solidali nel combattere un regime che si era posto al di fuori di ogni sentimento, di ogni ideale umano». Lo stesso equilibrio, e la stessa fedeltà agli ideali della Resistenza, egli dimostrò, a guerra finita, nel riprendere la sua attività di giurista. Mi limito a ricordare lo studio «I rapporti economici nella Costituzione italiana», del 1950: oggi ancora attualissimo. Dovrebbero leggerlo e meditarlo certi improvvisati novatori. A. Galante Garrone

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