Messaggio di morte a Don Chisciotte
Messaggio di morte a Don Chisciotte Messaggio di morte a Don Chisciotte (Per Falcone stessa strategia del delitto Chinnici: la mafia prende di mira giudici isolati dallo Stato) L'intenzione era quella di ripetere la strage che uccise il giudice Chinnici. Modalità c tecniche analoghe, incuranza per gli estranei che sarebbero stati coinvolti, grande effetto simbolico. La scelta della vittima, il giudice Falcone, avrebbe caricato di significato l'attentato mafioso: la mafia è sempre forte, inarrestabile, vendicatrice. Il fallimento dell'attentato, dovuto alla attenzione degli uomini addetti alla sicurezza del giudice, muta di poco la gravità dell'accaduto, poiché non cambia il messaggio lanciato dalle organizzazioni mafiose. Ouando Chinnici venne ucciso l'atmosfera attorno ai magistrati che istruivano i più gravi processi di mafia era molto pesante. Chinnici, nei mesi che precedettero la sua morte, era sfiduciato e pessimista. L'indifferenza e le critiche che accompagnavano il gruppetto di giudici istruttori di Palermo che egli aveva organizzato per seguire i processi di mafia gli facevano sentire il peso dell'isolamento. E nell'isolamento era inutile l'impegno giudiziario contro la mafia. Dopo la sua morte si disse che i grandi delitti di mafia non provocano, ma certificano la sconfitta della vittima, concludendo il ciclo iniziato con la diffamazione, con l'irrisione, con la riduzione all'impotenza. E puntualmente la mafia si rifa viva e progetta la strage, dopo che Falcone e gli altri magistrati che non cessano di indagare sulle attività della mafia sono stati logorati, divisi e depotenziati. Di loro si è detto che non sanno fare il loro mestiere, che sono dei fanatici esibizionisti e che pensano alla carriera. La struttura di lavoro che avevano creato è stata ridimensionata. Da una immagine di organizzazione e funzionalità dello Stato, si e passati a quella di isolati Don Chisciotte. Durante l'estate scorsa nel Consiglio Superiore della Magistratura si svolse una vera battaglia a favore e contro i gruppi di lavoro dei magistrati inquirenti e in particolare, poiché si trattava dell'ufficio istruzione di Palermo, dei cosiddetti pool antimafia. Alla fine il Csm riuscì a produrre un documento, che sembrò apprezzabile per l'equilibrio e per il deciso appoggio alle realtà organizzative che la magistratura era riuscita a darsi. Quel documento terminava con l'avvertimento che il Consiglio avrebbe vigilato affinché l'efficienza dei gruppi di lavoro non venisse diminuita. Ma quella vigilanza — se mai effettivamente esercitata — non ha dato frutti. Il clima di smobilitazione ha continuato a crescere. Che cosa sia avvenuto tra le forze di po¬ lizia è meno noto, ma è ben chiaro, dopo l'incredibile vicenda di Contorno, che non esiste il coordinamento cui dovrebbe dedicarsi l'Alto commissario Sica, secondo le direttive del ministro Gava. I vertici, le conferenze stampa e le relazioni alla Commissione parlamentare antimafia servono a poco c danno l'immagine di un attivismo parolaio, che si contrappone all'attivismo concreto della mafia. Sullo stesso piano — quello delle parole inutili — si pongono le sollecitazioni a misure di guerra, che, se non altro, sono irrealizzabili. Non si vede invece il solidale impegno di tutte le istituzioni e articolazioni dello Stato, che potrebbe innescare la necessaria mobilitazione della gente, dando una indicazione morale univoca. La lotta politica non cambia registro. Nelle consultazioni per il nuovo governo, si parla forse della lotta alla mafia? E c'è anche da chiedersi se in Sicilia, nelle recenti elezioni la ricerca dei voti e delle preferenze ha seguito il vecchio metodo e si è ancora affidata alla collaudata rete mafiosa. Se cosi fosse — mentre il sindaco Orlando viene sbeffeggiato come protagonista dell'antimafia — non ci si stupirebbe che, per gli uomini che lavorano per lo Stato, l'aria che tira sia pessima. Vladimiro Zagrebelsky
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