«E' una guerra santa ai russi» di Emanuele Novazio

«E' una guerra santa ai russi» « Un fronte panislamico si organizza per cacciare gli europei dall'Asia Centrale» «E' una guerra santa ai russi» Mentre Rafsanjani discute il riavvicinamento di Mosca all'Iran, il vice ministro dell'Interno dell'Uzbekistan fornisce una spiegazione ufficiale delle violenze causate dai musulmani a Ferganà e in Kazakistan DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA — Ad alimentare le violenze in Uzbekistan, che in due settimane hanno fatto cento morti e un migliaio di feriti almeno, è stata una campagna per «lanciare un fronte islamico che riunisse le nazionalità musulmane dell'Asia Centrale», dietro i disordini, la battaglia e la guerriglia per le vie di Ferganà c'era un progetto di «guerra santa», un piano ben organizzato per cacciare gli abitanti di origine europea che ha fatto, però, quasi soltanto vittime musulmane. E' un'accusa gravissima e ufficiale, che meglio precisa e argomenta quelle più generiche di Michail Gorbaciov al «fondamentalismo islamico», un'accusa forse non a caso rilanciata con clamore mentre è a Mosca il Presidente del parlamento iraniano Rafsanjani. Delle parole di Gorbaciov, delle sue accuse contro i «denti mostrati dal fondamentalismo nei torbidi d'Asia Centrale» anzi, l'intervista del vice ministro degli Interni uzbeko Eduard Didorenko. pubblicata ieri da Krasnaia Zvesdà, è la prima, dettagliata, inquietante se pur parziale spiegazione. Dice Didorenko: -A partire dall'autunno scorso alcuni ambienti hanno compiuto passi vigorosi per costituire un fronte unitario panislamico il cui scopo principale era ridar vita a un'isteria ?iazio7ialistica di tipo medievale, alla discriminazione e alla cacciata delle popolazioni europee dalle Repub¬ bliche dell'Asia Centrale». Quando i meskheti, una piccola popolazione musulmana deportata in Uzbekistan da Stalin, rifiutarono di aderire al «Fronte», s'iniziarono la caccia all'uomo e i pogrom: la maggior parte delle novantanove vittime di Ferganà e altre località uzbeke sono per l'appunto meskheti, uccisi e mutilati da bande di uzbeki. Ma Didorenko va oltre, lo schermo del fanatismo religioso copre altre responsabilità e, forse, piani d'altra intonazione. Gli organizzatori di questa campagna «anti europea» sono funzionari del partito e del governo locali, che il vice ministro non nomina tuttavia: gente esposta e in pericolo, persone che temevano di perdere il proprio potere, uomini forse già sotto inchiesta dopo la grande breccia aperta nelle omertà uzbeke dalla lotta alla ■■mafia del cotone». Il vice ministro non precisa meglio, e l'intervista a Krasnaia Svesdà offre forse soltanto una lettura parziale della crisi. Perché, come molti segnali già avevano lasciato intendere, le violenze in Uzbekistan, e quelle nel vicino Kazakhstan, nascono da una esplosiva miscela di l'attori alle quali le esasperazioni etniche e i fanatismi religiosi sembrano aver fornito soprattutto il detonatore e la giustificazione: disagi sociali, difficoltà economiche riassunte dall'alta disoccupazione giovanile, oscure trame politiche. Ieri sera, l'agenzia Tass fa¬ ceva un elenco dei «fattori negativi» messi in luce dalla crisi in Kazakhstan, che ha fatto quattro morti e una trentina di feriti almeno, che ha costretto centinaia di Immigrati georgiani, azerbaidjani e armeni, a fuggire verso le più sicure terre del Nord, che ha lasciato una traccia ancora profonda e difficile da superare di violenza e di tensione. Parlava, la Tass, delle «difficoltà emerse durante lo sviluppo economico e sociale» di quelle regioni: «Problemi nell'edilizia», e dunque mancanza di case, «problemi nei servizi e nei consumi», e dunque penuria di beni di qualsiasi genere, «problemi nei rifornimenti alimentari e nelle opportunità di lavoro per chi finisce la scuola», insomma razionamento e disoccupazione giovanile. E poi «infrastrutture sottosviluppate-, e -obiettive difficoltà di carattere naturale e climatico che mercanti di pochi scrupoli e truffatori d'ogni genere hanno sfruttato a loro piacere-, -mercato nero, abusi nel sistema commerciale-. E. 'in cima a tutto-, pesanti responsabilità delle autorità locali che «non sono riuscite ad adottare misure capaci dì risolvere questi gravissimi problemi-. Un quadro cupo, un'emergenza per molti aspetti simile a quella uzbeka, facile da provocare e sprattutto facile da sfruttare, facile da infiammare. Facile, in una parola, al contagio. Emanuele Novazio

Persone citate: Eduard Didorenko, Gorbaciov, Michail Gorbaciov, Rafsanjani, Stalin