Kazakistan, l'ombra dell'Islam di Emanuele Novazio

Kazakhstan, l'ombra dell'Islam Il Cremlino, spaventato dall'estendersi della rabbia razziale, cerca di frenare il contagio fondamentalista Kazakhstan, l'ombra dell'Islam Come per i recenti disordini nel Caucaso, la protesta sembra aver seguito un piano preordinato - Penuria e disoccupazione si saldano agli odi etnici - Primo bilancio ufficiale degli scontri: tre morti, 53 feriti e 57 arresti DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA — C'è un fondo etnico, ma soprattutto c'è un'esplosiva miscela di rabbia per il razionamento e gli. alti prezzi, di insoddisfazione giovanile provocata dalla disoccupazione, e di risentimenti per i più «ricchi» immigrati da Georgia, Armenia e Azerbajian, dietro i disordini di Nevy Uzen, in Kazakhstan. Il primo bilancio ufficiale di tre giorni di scontri, comunicato ieri dalla Tass, parla di tre morti, 53 feriti e 57 arresti, ma la tensione s'è attenuata appena, nonostante l'arrivo di due battaglioni di truppe speciali, un migliaio di uomini, nonostante la costituzione di un «centro di crisi» affidato al ministro degli Interni kazako. E' cominciato per caso venerdì sera in una discoteca, quando un gruppo di giovani ha protestato per il conto troppo alto, ma è diventata una battaglia lunga tre giorni, con assalti alla sede del partito, alla stazione di polizia, a decine di case e di negozi, ai passanti, con slogan contro 'tutti i caucasici». Ancora una volta, come due settimane fa nel vicino Uzbekistan, seguendo un piano organizzato con cura, par di capire. Ancora una volta, con bande armate di pietre, bastoni e sbarre di ferro ma anche di pistole e bombe molotov: con strumenti che si doveva aver preparato in anticipo, dunque. Ancora una volta, con obiettivi scelti fra i più rappresentativi e simbolici del «potere». E' questa somiglianza, questa contiguità non solo geografica fra pozze di violenza e morte, a inquietare di più 11 Cremlino. C'è un disegno complessivo, dietro le cento vittime di Ferganà e quelle di Novy Uzel?, o si tratta di un contagio nato per caso, di una violenza trasmessasi spontaneamente perché quelle regioni dell'Asia centrale, colpite più di altre da penuria e disoccupazione come ieri riconosceva il politbjuro, sono una polveriera capace d'incendiarsi e saltare alla più piccola scintilla? O le due cose insieme, e dunque una emergenza che salda tensioni di varia provenienza, che fornisce facile occasione e alimento a «provocazioni», a chi vuole spandere terrore per raccogliere violenza? Oli elementi a sostegno delle ipotesi più gravi sono tanti. Come a Ferganà, a Novy Uzel c'è una sinistra sovrapposizione di motivazioni: l'apparente casualità delle prime violenze e subito dopo una perfetta organizzazione di bande bene annate che si muovono per le strade come formazioni di guerriglia, che tengono le fila delle inquietudini sociali e delle tensioni razziali. A Ferganà erano i meskheti, una minoranza relativamente benestante, a condensare gli odi razziali, a Novy Uzel, una cittadina di 50 mila abitanti fon¬ data vent'anni fa intorno a qualche pozzo di petrolio e con un'età media inferiore ai trentanni, i bersagli sono gli immigrati arrivati dalla Transcaucasia, ventimila persone spesso pagate meglio ai pozzi o diventate i proprietari di cooperative alimentari dai prezzi troppo alti, e considerati dunque come gli sfruttatori arrivati dall'«estemo». E' in questo miscuglio dalle trame ancora oscure che la violenza è divampata e lo scenario uzbeko si ripete. Come i meskheti che vogliono tornare in Georgia ma che nel frattempo sono stati sgomberati in varie località della Russia, i caucasici del Kazakhstan hanno chiesto di venire portati in terre più sicure: settecento donne e bambini sono già partiti, ma le strade verso la stazione, informava ieri la Tass, hanno dovuto essere protette da cordoni di soldati, e i convogli scortati dalle truppe. Fino a quando? Dopo tre giorni di scontri e violenze, la situazione sta tornando normale, scriveva ieri sera l'agenzia, ma la tensione resta, e 'bande di teppisti' continuano a dar battaglia. Qualche fabbrica ha ripreso a funzionare, qualche autobus a raccoglier passeggeri. Ma tutto è come sospeso, e nessuno crede davvero alla pace. Emanuele Novazio

Luoghi citati: Armenia, Georgia, Mosca, Russia, Uzbekistan