Una stagione all'inferno con i film di Pasolini

Una stagione all'inferno con i film di Pasolini Dal 15 al Museo del cinema la personale del regista Una stagione all'inferno con i film di Pasolini INATTUALITÀ' di Pasolini? La bella personale che il Museo del Cinema gli dedica a partire dal 15 giugno (durerà fino al 13 luglio) non è soltanto una conferma dell'annunciato rigore delle scelte di chi lo programma: completezza delle rassegne presentate, predisposizione di apparati critici e informativi (in questo caso, un'ampia selezione video di programmi televisivi e interviste con Pasolini di grande interesse e rarità: dal 5 ali'8 luglio), rispetto di quella filologia della visione che è purtroppo scrupolo assai poco diffuso ai giorni nostri. E' anche e soprattutto un'occasione per tornare a interrogarsi sull'autore forse più eterodosso espresso dalla cultura cinematografica italiana, a quattordici anni dalla sua tragica scomparsa e dall'inizio del processo di canonizzazione che ha finito col sottrarlo all'inferno delle opere In odore di empietà per consegnarlo all'empireo dei santi protettori dei Poeti e dei Diversi. In realtà, se a qualcosa Pasolini era rimasto sempre fedele nel corso di un'esistenza a dir poco conflittuale, questo era proprio l'impefe-no a restare «dentro l'inferno con marmorea volontà di capirlo». Li, dunque, converrebbe lasciarlo per ri¬ spetto suo e della sua opera. Non è un caso neppure che la personale di Pasolini venga dopo quella di Rosselli ni, che ha inaugurato il Cinema Massimo. I due registi non rappresentano solo le personalità incontestabilmente più forti espresse dal cinema italiano dall'inizio della sua storia. Rappresentano due modelli diversi, per molti lati assolutamente inconciliabili, per altri invece complementari. Per un verso. Accattone, che è il film d'esordio di Pasolini (1961). deve qualcosa a Rosselllni per esplicita ammissione del suo autore: «Dirò che tenevo presente tra i testi che amo di più quelli di Rosselli ni, ma del Rosselllni di San Francesco giullare di Dio che mi sembra il suo capolavoro, oltre che Roma città aperta-. E la lezione neorealista continuerà a farsi sentire se non altro nel Pasolini poeta della fisicità, nei suoi straordinari volti di attori presi dalla strada, nell'attenzione scenografica per il paesaggio e gli ambienti, anche quando questi vengono sussunti nell'orizzonte pittorico prepotentemente soggettivo, che ricollega la dimensione figurativa del suo cinema alla grande tradizione della pittura di Giotto. Masaccio. Pontormo. Caravaggio. D'altra parte, il cinema di Pasolini rappresenta una delle più radicali istanze di superamento del neorealismo (l'altra è impersonata da Antonioni). in virtù di un'attenzione profonda agli aspetti stilistici e tecnici del linguaggio cinematografico, che ne denuncia la contemporaneità con quella «forte e generale ripresa del formalismo» che sono state le nouvelles vagues degli Anni 60 (lui le definiva «Internazionalismo irrazionalistico»). A differenza però del cinema dei vari Godard, Truffaut e Antonioni. quello di Pasolini non ha fatto scuola, non ha prodotto imitatori o allievi, non ha generato vocazioni (a m;no di non voler considerare la paternità del filone «boccaccesco», innescato dal suo Decamerone: ma sarebbe un discorso lungo...). E' un aspetto dell'inattualità di Pasolini di cui si diceva all'inizio, un sintomo tra tanti della profonda estraneità maturata nei confronti della cultura italiana dominante. Non nel senso in cui si può parlare di un corpo estraneo catapultato dall'esterno, né tantomeno di un autore incapace di correlarsi al suo tempo, che anzi non si trova nel Novecento Italiano qualcuno più sensibile di lui agli stimoli e alle sollecitazioni che realtà, cronaca e storia of¬ frono di volta in volta alla sua febbrile attività intellettuale. L'inattualità di Pasolini è da intendersi piuttosto come la forma consapevole di una assoluta e irreducibile opposizione alia degenerazione del presente, agli orrori del consumismo, ai genocidio delle culture, all'omologazione degli individui e dei corpi. É' la denuncia deli'-univeiso orrendo» della società neocapitalista, che troverà sfogo, negli ultimi anni delia sua attività, nell'aspra polemica degli Scritti corsari e che, nel suo cinema, si e tradotta sin dall'inizio in una sofferta e contraddittoria ricerca del modo di •tornare indietro», recuperando dal passato non tanto il mito di un'innocenza ormai definitivamente perduta, quanto il senso di un'immagine altra nei confronti de) presente. Sino all'estremismo disperato del suo ultimo film, uscito postumo: quel Salò che è forse il suo capolavoro e che rimarrà per sempre un film - maledettoper l'insostenibilità delia sua visione. Oggi che l'omologazione di cui parlava PasoUni appare un fatto più che un processo in atto, l'inattualità della sua opera si rivela tanto più radicale quanto necessaria. Alberto Barbera

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