La tartaruga vince Achille

Film e ghigliottine 1789: LA RIVOLUZIONE AL CINEMA Film e ghigliottine La Rivoluzione francese rome Rivoluzione dell'immagine. Questa suggestiva e inconsueta affermazione — che Jean Garrigues ha fatto propria e sviluppato in un saggio sulla ima/ttri* rivoluzionaria pubblicato recentemente (in .'.. i J-. Li Ra-Ji.il ,}< au XX" i/u/i a cura di }.-€.. Bonnct e Ph. Roger, Flammarion, Parigi) — può servire come tracria e guida lungo il percorso accidentato e tortuoso del cinema dedicato alla Rivoluzione francese, o meglio di quei moltissimi film che alla storia e ai personaggi di quella rivoluzione si sono ispirati, con maggiore o minore fedeltà. Come scrive Garrigues, «il 1789 fu anche una rivoluzione dell'immagine. Rivoluzione formale, perche essa inventò l'arte popolare, immediata e impegnata, liberando la stampa e la caricatura, moltiplicando i supporti della t leativita, sino a i|uello strano Fantasiopio, antenato del cinematografo, presentato nel |7«JH a Parigi da Robertson-. Un supporto della fantasia che ebbe allora tutte le caratteristiche di fascinazione dell'immagine semovente, degli effetti drammaturgici, del buio della sala ili proiezione, che cent'anni lopo avrà il ci| nenia, più quello di Georges Mélics che quello di Louis Lumière. Leggiamo quésto resoconto tratto da L'Liprii da Ij.:> del 28 marzo I7«>8: -Robertson versa tu un braciereffammeggiante due bicchieri di sangue, una bottiglia di vetriolo, dodici gocce di acquaforte e due copie dei Jnurn.il Jti /••-/»;,. //Arri. Nello stesso istante si erge a poco a poco un piccolo fantasma livido, armato di pugnale, con un lierrctto rosso in capo: il fantasma di Marat che fa un ghigno tcrrificar'e e scompare-. O quest'auro, tratto da /.. Cuurttr dti V'i.e citaro dallo stesso Robertson nei suoi Mcmoim: -Robespierre sorge dal sepolcro, tenta di sollevarsi. La folgore piomba sul mostro e lo incenerisce nella tomba. Ombre di personaggi amati vengono ad addolcire la scena: di volta in volta compaiono Voltaire, Lavoisier. Jean-Jacques Rousseau. Diogene, con la lanterna in mano, e alla ricerca dell'uomo e per trovarlo passa per cosi dire attraverso le file. In mezzo al caos si vede sorgere una stella lucente al centro della quale stanno queste parole: "IH brumaio". Subito le nubi si disperdono lasciando vedere il pacificatore. Egli offre un ramo d'olivo a Minerva che l'accetta, ma per intrecciare una corona che depone sul capo del giovane eroe francese. Inutile dire che l'ingegnosa allegoria e sempre accolta con entusiasmo». Sembra una sequenza di uno di quegli incantevoli film di Méliès, colorati a mano, che ancor oggi fanno la delizia d'un certo pubblico. Una sequenza che raccoglie in se alcuni degli elementi caratteristici d'un genere di spettacolo popolare, fortemente simbolico, un poco inquietante ma sostanzialmente rassicurante, come fu, e in larga misura è, il cinema. Una imagtrit dinamica della Rivoluzione francese e dei suoi orrori che, in altre forme, ritroveremo in non pochi film sull'argomento realizzati fin d,i quando il cinematografo era ancora in fasce, A cominciare eia un paio — appunto La mori dt Marat e Im moti dt Robtipitm — che Georges Hatot realizzò in Francia nel 1897. Gò per dire che esiste, o meglio è esisti;*, una tradizione figurativa e drammaturgica estremamente popolare e schematica della Rivo¬ luzione francese e dei suoi protagonisti, le cui origini vanno ricercate alla fine del Settecento. Una tradizione che si è come travasata nel cinema con poche variazioni, se non quelle del gusto, della tecnica, di un mutato rapporto co! pubblico; sicché non pare strano riscontrare persino in un film di tutto rispetto come il Oanton di Andrzcj V.ii.I.i quell'esaltazione sulfurea e funerea dei misfatti della Rivoluzione che già Rolicrtson, ducccnt'anni fa, poneva al centro delle sue -fantusmagotie-. I film sulla Rivoluzione francese pare siano a tutt'oggi ben più di duecento, senza contare quelli realizzati per la televisione «•«•••»)!• 'f-tiiviììàj Consolato e all'Impero, come ci informa puntualmente Sylvie Dallc-t nel suo documentassimo libro Li Kcmlulitin francai* ti le anima I ,!i tions des Qujtrc-Vcnrs. Parigi). Ma la maggioi parte di essi, spesso realizzati nei primi vent'anni della sturia del cinema, non fanno altro che replicare. nella ripetitività degli stessi scenari, nella schematicità delle stesse azioni drammatiche, quei pochi te-, mi che, ditettamentc o indirettamente, ruotano attorno alla ghigliottina come emblema stesso della «terribilitàdelia Rivoluzione. Se si pensa che il Danioit di Wajda si apre e si chiude con l'immagine insistita, livida, ossessiva, della ghigliottina — la sua impalcatura, la lama tagliente, il corpo del condannato, la testa rotolante nel cesto —, non pare che siano stati fatti molti passi per superare il simbolo e immergersi finalmente nella realta. Quasi che, tic-Ila Rivoluzione e della sua storia articolata e complessa, proprio la ghigliottina dovesse rimanere la sola immagine forte, e che su di essa ricadesse il significato ultimo di uno dei movimenti politici e sociali che più hanno influito sullo sviluppo, addirittura sulla stessa definizione stori¬ ca, del mondo contemporaneo Si dirà che il film di Wajda, per lo stretto legame che vi ti scorge con i fatti di Polonia, deve essere letto e interpretato appunto simbolicamente. O che i numerosissimi film delle origini, o quelli successivi, da G rifrìtti ( /'.. dnt affamili. 1921 ) a Delannoy (Maria Antonietta, rtgina di Franila, 19)3) a Mei Brooks {La noria più paz za dtl mondo, 1982), sono troppo debitori deIJc convenzioni dello spettacolo popolare o del romanzo J'appendice. o addirittura della farsa, per offrire materia di discussione, di indagine critica. E si dirà anche che, ad esempio, Ettore Scola con // mondo nuovo ( 1982) ha tentato di sviluppare un'analisi storica ben altrimenti approfondita. Per tacere di Jean Renoir, che nel 1937 diresse un film, La Marsiglitst, che ancor oggi e considerato dalla maggior partedelia critica (e anche della critica storica) un'opera di grande respiro, non solo artistico, ma appunto analitico e dialettico. Ma queste sono rare eccezioni, pochi titoli sparsi nel man mauntim della filmografia rivoluzionaria. Una filmografia the, a scorrerla anche solo fuggevolmente, riserva ben poche sorprese: quasi un lungo e ripetitivo elenco di sogLUCti, trattati secondo consuetudine, infarciti di luoghi comuni e di banalità. Come se la Rivoluzione francese non offrisse altra materia nanStiva e drammaturgica, non sollevasse la curiosità del pubblico cinematografico, non fosse, come di fatto fu, un grande scenario per la rappresentazione della fine i'un.i società e della nascita di una nuova. Cosi, nella ricorrenza bicentenaria di quella rivoluzione altri libri, oltre ai due citati, sono usciti sull'argonicnto, sotto l'aspetto cinematografico, ma nessun film, a quanto risulta, è comparso sugli schermi. Una conferma di questo disinteresse per lo -spettacolo- della Rivoluzione, ma al tempo stesso di un altro e complementare interesse di tipo storiografico, pet ciò che e stato fatto, che è ormai anch'esso storico e storicizzabile. Come se il cinema non potesse più aggiungere nulla a quanto già sappiamo o crediamo di sapere, e che dei film sulla Rivoluzione s< possa e si debba parlare soltanto al passato. In altre parole, come se lo spettacolo cinematografico, duecent'anni dopo, non potesse che ripetere e aggiornare le sorprese e le paure delle «fantasmagorie- di Robertson Gianni Rondolino < .crani Depardleu, protagonista del -Oanton» di Wajda fascE

Luoghi citati: Delannoy, Francia, Parigi, Polonia