Nel cervello alla ricerca delle radici della schizofrenia di Ezio Giacobini

Nel cervello alla ricerca delle radici della Nel cervello alla ricerca delle radici della VERSO la fine del secolo scorso è stata definita la storia della malattia mentale chiamata schizofrenia. Il neuropsichiatra tedesco Emil Kraepelin, i cui studi ebbero grande influenza sulla definizione clinica di questa malattia, attribuì la causa della demenza precoce (nome da lui coniato per questa malattia) ad un danno localizzato nei lobi frontali del cervello. Kraepelin pose l'accento della malattia non sui sintomi caratteristici quali le allucinazioni o i deliri, ma sull'«indebolimento volitivo» che porta l'individuo ad una funzione sociale difettosa. Egli sottolineò poi l'incapacità del paziente a pianificare la deficienza di reazioni emotive e la perdita di facoltà critiche. Sintomi che — secondo Kraepelin — denunciano un disturbo del lobo frontale. Più tardi, lo psichiatra svizzero Bleuler — che propose il termine schizofrenia per definire meglio la demenza precoce di Kraepelin — avvertì che le allucinazioni, i deliri, le manie di questi pazienti non erano in fondo che manifestazioni secondarie della malattia mentre la disorganizzazione del processo mentale e la difettosa coordinazione dei pensieri rappresentavano il problema principale. Sulla base di tali considerazioni anche Bleuler ammise la possibilità di un difetto del lobo frontale in questa malattia. Un terzo grande ncuropsichiatra, Alois Alzheimer — che diede il nome ad un altro tipo di disturbo, la demenza senile — aveva descritto già nel 1913 la mancanza di cellule nervose in strati particolari della corteccia cerebrale del cervello di soggetti schizofrenici. Le idee di Kraepelin, Bleuler ed Alzheimer, non più seguite da successivi risultati, caddero nel dimenticatoio. La scoperta di farmaci ad azione antischizofrenica negli Anni 50 deviò notevolmente l'attenzione dei clinici e degli studiosi dal lobo frontale ad altre strutture cerebrali. Negli ultimi anni, tuttavia, si nota un ritorno di interesse per il lobo frontale nel campo delle ricerche sulla schizofrenia. I farmaci cosiddetti neurolettici, abbondantemente usati in psichiatria nel trattamento della schizofrenia, si sono rivelati utili ed efficaci, però non al punto di guarire l'ammalato. Principalmente non sono riusciti a raggiungere la radice della malattia ma solo ad attenuarne i sintomi. In particolare gii psicofarmaci non riescono ad agire sulla funzione cognitiva, sulla debole motivazione, sulla difficoltà a provare il piacere e sulla mancanza di giudizio e responsabilità che porta ad un deterioramento dei rapporti sociali. Quali sono gli indizi che orientano la moderna psi¬ chiatria verso il lobo frontale come ai tempi della psichiatria classica? Principalmente due. Il primo è l'evidenza di un abbassamento della funzione di questa parte del cervello denunciata da un basso metabolismo (consumo di glucosio). Il secondo deriva da nuovi studi della struttura del lobo compiuti sia con la tomografia computerizzata (Tac) che con studi di istologia dopo la morte del paziente. Tra i primi studiosi a dimostrare una riduzione del flusso sanguigno cerebrale a livello frontale furono i neurobiologi svedesi Ingvar e Franzèn che usarono tra l'altro un gas radioattivo — lo xenon — mediante iniezioni nella carotide ed osservazione simultanea in diversi punti della corteccia cerebrale. Essi osservarono che negli schizofrenici — sia in condizioni di riposo che di stimolazione — si notava una riduzione del flusso cerebrale nella zona corri¬ spondente alla corteccia prefrontalr Negli ultimi dieci anni dieci laboratori diversi hanno confermato ì dati degli svedesi usando delle nuove tecniche di misurazione, compresa quella dell'inalazione di xenon. Questi nuovi risultati dimost rano che la debole funzione del lobo centrale è più evident e in circostanze in cui venga richiesto al paziente di lare uno sforzo mentale, come ad esempio durante un test che misuri l'attenzione dell'individuo. Alla misurazione del flusso cerebrale si è aggiunto recentemente l'uso di una nuova tecnica che permette di misurare il consumo energetico sotto torma di glucosio, il cosiddetto Pet o tomografia computerizzata a emissione di positroni. Anche il Pot dimostra un abbassamento della funzione del lobo frontale degli schizofrenici. Si deve però notare che con questa tecnica i risultati si sono dimostrati meno univoci. Esistono quindi ancora dei dubbi da chiarire circa questi nuovi dati. Gli studi anatomici ed istologici seguiti a quelli classici di Alzheimer all'inizio del secolo hanno prodotto i dati più vaii. Alcuni autori hanno confermato la riduzione del numero delle cellule nervose nel lobo frontale vista da Alzheimer, alt ri no. Un nuovo articolo del 1986 (Benes et al.) riporta una chiara differenza a questo proposito tra cervelli di individui normali e corvelli di schizofrenici, con deficenza di cellule nei secondi. Si deve notare che il lobo frontale non è la sola regione cerebrale ad esser considerata come substrato patologico della schizofrenia ma altri studi hanno descritto cambiamenti della struttura di altre aree del cervello incluso il lobo temporale e l'ippocampo Secondo alcuni lo lesioni del lobo frontale sarebbero solo responsabili di un difetto di comunicazione tra queste ed altre parti quali il lobo cosiddetto limbico. Si costruisco così una nuova ipotesi basata su dati biologici (flusso sanguigno cerebrale, consumo di energia, dati di anatomia e istologia cerebrale) che ci fà intravedere un nuovo periodo negli studi della schizofrenia. Gli Anni 50 e 60 sono stati dominati dai successi della psicofarmacologia e dalla scoperta di farmaci capaci di controllare allucinazioni e deliri. La speranza e che ora si riuscirà forse a muovere un attacco più a fondo por comprendere le cause di questa malattia mentale, analizzando la funziono cerebrale c in particolare quella della connessione frontale-limbica con nuovi metodi e nuove idee. H risorgere di una nuova interpretazione delle vecchie teorie rende questi studi particolarmente affascinanti. Ezio Giacobini

Persone citate: Alois Alzheimer, Benes, Emil Kraepelin, Kraepelin