Bavaglio ai teologi?
Bavaglio ai teologi? Il magistero e la lettera dei 63 «ribelli» Bavaglio ai teologi? Scomunica a camorristi e mafiosi, dissenso teologico e rischio di chiesa parallela e magistero alternativo, contraccezione e sacerdozio femminile hanno riacceso in questi mesi e acutizzato in questi giorni tra vertice e base nella Chiesa un dibattito (che rischia di sfiorare il conflitto) che somiglia in qualche modo a quello che negli Anni Sessantasettanta fu chiamato il «Sessantotto della Chiesa». A denunciare e contestare l'eccessivo autoritarismo del vertice cattolico sono, in tutta l'Europa, i maggiori teologi. E le reazioni romane non sono meno dure delle contestazioni. Dure sui documenti dei teologi dei Paesi di lingua tedesca, poi anche di lingua francese e spagnola, le reazioni di Roma sono state durissime contro la «lettera» dei 63 teologi italiani. Il Papa ne ha approvato la condanna decisa dall'assemblea dei vescovi riuniti a Roma, e lui stesso ha denunciato il rischio e la pretesa di giungere ad una -chiesa alternativa» e ad un «magistero parallelo». D fenomeno, che potrebbe allargarsi ulteriormente, rivela comunque, oltre i lati sgradevoli e rischiosi, vitalità e crescita d'impegno a precisare, tutti e meglio, l'identità e il ruolo dei vescovi e dei teologi. Ma sta forse tramontando il ruolo del teologo libero ricercatore per lo sviluppo della dottrina autentica e della giusta prassi nella vita e nella cultura della Chiesa? Ad oltre 25 anni dalla conclusione del Concilio torna davvero il tempo dell'obbedienza pronta e totale non solo sul dogma ma anche nel confronto delle libere opinioni? Le risposte non sono facili, né sarebbe onesto preconfezionarle prò o contro il vertice o la base: significherebbe la paralisi della teologia morale, con conseguente confusione ed appiattimento della vita ecclesiale. La ricerca teologica è necessaria al magistero ed al ministero del vertice come l'ossigeno. Ed è comprensibile che il teologo ricercatore, spesso simile, di fronte alle molte ipotesi in continua evoluzione, allo «speleologo», possa a volte «sporcarsi le mani»; ma altrettanto dannoso sarebbe che i vescovi, maestri della fede per investitura di Cristo, reclamassero, in un modo o in un altro, una specie di «infallibilità» personale anche in materia di libere opinioni. Va forse scomparendo quella collaborazione preziosa fra vescovi e teologi che fu una delle maggiori ricchezze, e uno dei più alti esempi di cultura cristiana e di coraggio evangelico cui assistemmo durante la preparazione e lo svolgimento del Concilio? n rispetto dell'unità comporta ed esige un identico rispetto delle diversità. E chiunque, pastore o teologo, prima di demonizza¬ re le accuse altrui, deve dimostrarle infondate, senza trincerarsi dietro esorcismi apodittici e pregiudiziali, o dietro sfide inutili o eccessive. Vinta questa perniciosa tentazione, l'autorità, la collegialità, il primato e la ricerca, la critica e l'ortodossia possono tornare a collaborare e ad arricchirsi insieme. Ma a tutti occorre la libertà. Edward Schillebeekx, uno dei maggiori teologi del Concilio, è sceso in difesa dei 63 teologi italiani dissenzienti e ha precisato: 'Rivendicare la libertà della ricerca teologica non significa ribellarsi al magistero della Chiesa. Lo sapeva bene Paolo VI, che durante il suo pontificato non ha mai usato il pugno duro. Da dieci anni in qua, invece, quasi tutti i teologi che hanno qualcosa di significativo da dire sono finiti nei guai con Roma". La storia dei sospetti e delle sanzioni — recentemente anche degli insulti —di cui è stato bersaglio il maggior teologo moralista vivente, Bernard Hàring, non è ancora finita. Lo dimostra il dossier «Fede, storia, morale» (Boria). I contrasti fra l'autorità ecclesiale e i teologi del dissenso non debbono e non possono comunque indurre soltanto al pessimismo, all'irritazione, tanto meno al livore, né da una parte né dall'altra. Sono pur sempre un segno più positivo che negativo. Il senso morale non è affatto smarrito, se tanto se ne discute nelle sue implicazioni di teologia morale e sociale, e di rapporti fra l'autorità del Papa e la collaborazione dei vescovi con lui al governo della Chiesa universale. Una catastrofe sarebbe invece che questo senso fosse davvero scomparso o in via di scomparire. Se l'autorità non avrà paura del «nuovo» — come troppo spesso succede in qualsiasi istituzione — e se la teologia non rinnegherà il suo «cuore antico» nella dottrina della Fede, una nuova grande cultura, una teologia ri-creativa è aperta — come fu quella di Tommaso D'Aquino otto secoli fa nei confronti del pensiero dei filosofi e dei saggi greci — e insieme arricchiranno sia la fedeltà che la vita del cristiano. L'importante è non aver paura della novità, non dimenticando la parola di Dio nell'Apocalisse: -Io faccio nuove tutte le cose e voi non ve ne accorgete?-. E' necessario un ricupero del grande dialogo dal quale nacque il Concilio. Ed è prudente non dimenticare che molti dei teologi che lo arricchirono e lo garantirono nella sua ortodossia e nella sua fecondità erano stati privati in precedenza della cattedra sotto Pio XII. Alcuni di quei «vecchi» ma non spenti teologi li ritroviamo oggi nei gruppi del dissenso. Ancora, come allora, -liberi e fedeli in Cristo". Nazareno Fabbretti
Persone citate: Bernard Hàring, Boria, Edward Schillebeekx, Nazareno Fabbretti, Paolo Vi, Pio Xii, Tommaso D'aquino
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