«Carceri d'oro, processo a Nicolazzi» di Ruggero Conteduca

«Carceri d'oro, processo a Nicolazzi» Il collegio istruttorio chiede alla Camera l'autorizzazione a procedere per l'ex ministro «Carceri d'oro, processo a Nicolazzi» Se il Parlamento darà via libera, dovrà rispondere di corruzione - Per i tre magistrati romani, che dopo il referendum abrogativo hanno sostituito l'Inquirente, non ci sono dubbi sui suoi rapporti con Bruno De Mico - Prosciolto il democristiano Clelio Darida: le accuse contro di lui sono incerte e contraddittorie ROMA — Dopo il democristiano Vittorino Colombo anche Clelio Darida, suo collega di partito ed ex ministro della Giustizia, esce dallo scandalo delle carceri d'oro. Rimane invece impigliato nelle maglie della giustizia il socialdemocratico Franco Nicolazzi, accusato dall'architetto milanese Bruno De Mico di aver chiesto ed ottenuto due miliardi per concedere appalti di costruzione di istituti penitenziari. Se il Parlamento concederà l'autorizzazione a procedere dovrà rispondere di corruzione. La decisione è del collegio istruttorio di Roma (costituito dai giudici Vittorio Bucarelli, Paolo Zucchini e Sebastiano La Greca) che ha sostituito, dopo il referendum abrogativo dell'Inquirente e l'approvazione della nuova legge costituzionale, il tribunale dei ministri. Per i tre magistrati, ai quali la disciolta Inquirente aveva trasmesso le conclusioni dell'istruttoria, non vi sono dubbi: i riferimenti, le confessioni, le circostanze che riguardano i rapporti fra Nicolazzi e De Mico trovano ampia verifica nella documentazione e nelle dichiarazioni di altri testimoni. Così non è. invece, per Clelio Darida sul quale, sostengono i giudici, l'architetto De Mico sarebbe stato impreciso, contraddittorio, fumoso, allo scopo, aggiungono, di alleggerire la sua posizione processuale accreditando la tesi della concussione e allontanando cosi da sé il sospetto di corruttore. Grande accusatore di ministri e funzionari nell'imbroglio della costruzione di tredici nuove supercarceri. De Mico, infatti, racconta di essere stato costretto a pagare per assicurarsi gli appalti. E quando comincia a confessare tutto ai giudici di Genova che hanno aperto un'inchiesta sul costruendo carcere di Pontedecimo. non si fa pregare e tira fuori i nomi di Vittorino Colombo, ex ministro delle Poste, Clelio Darida e Franco Nicolazzi, per sette anni titolare dei lavori pubblici. E' lo scandalo delle carceri d'oro. Il caso passa da Genova alla moribonda Inquirente, presieduta dal liberale Egidio Sterpa. Dal capoluogo ligure giungono a palazzo San Macuto casse intere di documenti, fra i quali i famosi tabulati sui quali l'architetto segnava l'importo delle tangenti versate a politici e funzionari pubblici. Dalla decodificazione dei floppy-disc si apprende che a Nicolazzi l'architetto ha versato due miliardi tondi tondi, a Darida 175 milioni. Ce n'è anche per Vittorino Colombo. Dagli interrogatori degli «indiziati- e dai confronti con De Mico, i commissari traggono alla fine alcune convinzioni: archiviazione per Colombo, rinvio a giudizio per Darida e Nicolazzi. Il Parlamento però, accoglie il primo suggerimento, ma propone per gli altri due ex ministri un supplemento di indagine. Nel frattempo, infatti, è giunta al presidente della Camera Nilde Jotti una lettera da parte del latitante Gabriele Di Palma, segretario di Nicolazzi, nella quale il funzionario ammette di aver riscosso i due miliardi ma di averli consegnati a Giovanni Cuoiati, all'epoca segretario amministrativo del psdi. Cuoiati naturalmente nega e Sterpa, dopo il -no- del parlamento in cui de, psi e psdi hanno votato compatti, si dimette per protesta da presidente dell'Inquirente. A dicembre, il caso passa nelle mani della magistratura e si arriva cosi anche al proscioglimento di Clelio Darida. Proscioglimento definitivo giacché la norma non prevede il ricorso in Cassazione. A favore di Darida hanno giocato le molte indecisioni e imprecisioni di Bruno De Mi- co. co. n collegio ha giudicato le sue dichiarazioni inidonee «a fornire, nell'insieme, una univoca interpretazione degli avvenimenti-. Scrivono i magistrati nella motivazione del proscioglimento: -Inizialmente il De Mico pone fuori causa l'onorevole Darida col dire che nessuna richiesta di denaro gli viene fatta dal ministro e che l'erogazione dei 175 inilioni era avvenuta solo per una sua acuta intuizione-. Solo in un secondo momento De Mico affermò che -fu l'onorevole Darida a richiedergli la somma di un miliardo, poi contenuta nel più limitato ammontare dì 175 milioni-. In una successiva versione, inoltre, De Mico parla di 150 milioni e non più di 175. Si contraddice anche sulle date. -Nella seconda delle sue deposizioni — scrivono i giudici — l'industriale fa risalire il suo iniziale contatto con l'onorevole Darida "grosso modo" al 1983, mentre poi, nell'ultima versione, riconosce che tale vicenda risale all'autunno 1982». -Orbene — precisa il collegio — questa voluta operazione di retrodatazione ha un preciso obiettivo: quello di accreditare la fondatezza di alcune indicazioni riportate nei tabulati, secondo le quali alla data 21 novembre 1982 figurano iscrizioni a favore della sigla "DA 2 DA" (Darida n.d. r.) per complessivi 50 milioni-. -Concordanti- vengono invece giudicate le indicazioni di De Mico su Nicolazzi e sul suo ex segretario Gabriele Di Palma. Per cui ora a pronunciarsi sull'ex ministro dei Lavori pubblici sarà chiamata la giunta delle autorizzazioni a procedere di Montecitorio. La richiesta è già partita dalla procura della Repubblica di Roma e i parlamentari avranno sessanta giorni di tempo per decidere. Se il permesso non verrà concesso, anche per Nicolazzi si spianerà la strada della definitiva archiviazione, in caso contrario il fascicolo sarà riconsegnato alla magistratura ordinaria per l'istruttoria vera e propria. Ma per quale reato? Corruzione senza dubbio, anche se i giudici non escludono l'ipotesi di concussione e interessi privati in atti d'ufficio. Dei passaggi in aereo chiesti ripetutamente, se non pretesi, da Nicolazzi all'architetto, si sta ancora occupando la Cassazione per decidere se è competenza dei magistrati milanesi o se anche quella parte dell'inchiesta dovrà essere accorpata a quella principale in giacenza a Roma. Ma non è l'unico dubbio: uno forse ancora più grave riguarda i tempi del giudizio, dal momento che non sono ancora pronte le norme di attuazione della legge costituzionale che assegna alla giunta della Camera di appartenenza la facoltà di concedere l'autorizzazione a procedere. Oltre al caso Nicolazzi, infatti, sia a Montecitorio che a Palazzo Madama sono in lista di attesa diverse delicate questioni che riguardano altri ministri. Ruggero Conteduca

Luoghi citati: Genova, Roma