Democrazia, il grande equivoco della Tienanmen

Democrazia, il grande equivoco della Tienanmen Democrazia, il grande equivoco della Tienanmen «Sono triste*. Così stava scritto su uno dei tazebuo che sono apparsi agli inizi del maggio rivoluzionario a piazza Tienanmen. Oggi la tristezza ilegli studenti cinesi sarà ancora più profonda. Erano tristi perché su di loro gravava la cappa del dispotismo feudale ma inutilmente hanno tentalo di rimuoverla. Ancora incombe. Tristi siamo anche noi perché il loro slancio generoso non ha dato frutti, almeno immediati. La tristezza è anche aggravata dal fatto che il feudalesimo che li opprime da duemila anni costringe anche noi a ricorrere al passato, il loro, per spiegare il loro presente. Tuttavia il loro passato questa volta offre poche chiavi per interpretare non tanto i fatti quanto le motivazioni, gli atteggiamenti emotivi, le scelte tattiche della protesta popolare. Va bene che dalla insurrezione dei Boxer alla Rivoluzione culturale, tanto per rimanere nel nostro secolo, la storia della Cina si è sempre mossa dietro la spinta di ondate umane. Ma quest'ultima ondata come mai si è ritirata senza raggiungere l'apice e quindi senza abbattersi se non sulla testa di Zhao Ziyang? E perché si è sollevata? Per chiedere una Cina democratica e pluralista con libere elezioni a suffragio universale? No, qui c'è stato un malinteso, e forse il ricorso al passato della Cina può aiutare a chiarirlo. Bisogna infatti ricordare che in Cina la parola democrazia continua a avere oggi come un tempo la stessa valenza di utopia. D'altra parte l'utopia cinese classica è quella della Grande Armonia e la democrazia è intesa appunto come grande armonia. Scrive Andrew Nathan, che ha di recente pubblicato uno studio sulla democrazia cinese nel XX Secolo e sui rapporti tra individuo e Stato, che i cinesi tendono a considerare il governo di popolo come un mezzo per accrescere la ricchezza e il prestigio della nazione e non come un metodo per esercitare il controllo pubblico sul governo. Nel 1898 il riformista Liang Qichao descriveva la democrazia come il fiorire di mille società di studio che doveva¬ no pubblicare riviste, fondare biblioteche e scuole, essere l'anello di collegamento tra governanti e governati. Democrazia era per lui «Diecimila orecchie un solo udito, diecimila volontà un unico fine». Settant'anni dopo, al Muro della Democrazia, che fu abbattuto da Deng Xiaoping. uno dei dissidenti ora in carcere declamava: «In una atmosfera di vera democrazia si avrà rimila di tutto il popolo, condizione ideale perché una nazione possa trovare la stabilità e il progresso». A questa democrazia che è armonia, non un mezzo per delimitare entro i confini del ragionevole gli inevitabili conflitti di interessi, i cinesi aspirano da cento anni e lottano per conquistarla da settant'anni, ben consapevoli del fililo che Tienanmen non è Hyde Park Corner. Hu Qili, uno dei leader riformisti, due anni fa aveva detto: «Nella nostra società è impensabile che tutti possano dire la loro e poi, quando hanno finito, andarsene a casa tranquilli avendo rispettato le aiuole". Invece questa volta si vorrebbe far credere che a Tie¬ nanmen le cose siano andate pressappoco così, all'inglese, tutti a casa tranquilli e niente punizioni. Chi ci crede? Eppure, se mai fosse vero, bisognerebbe essere ancora più tristi perché vorrebbe dire che i manifestanti sono stati giocati d'astuzia. Credevano di volere una cosa nuova, di dare un deciso strappo, sono stati invece risucchiati nella vecchia concezione di armonia universale. Inoltre si sarebbero prestati, sia pure inconsapevolmente, a fare un atroce scherzo a Zhao Ziyang e con lui a tutti quanti nel mondo intero hanno palpitato per la democrazia cinese con i loro cuori collegati via satellite alla piazza di Tienanmen, il cuore della Cina in fermento. Si tratta in fin dei conti dello stesso scherzo che era già stato compiuto ai danni di Hu Yaobang, il segretario del partito che venne deposto nel gennaio del 1987 in seguito a grandi manifestazioni studentesche sia pure di portata inferiore a quella che si è appena conclusa, ovvero sgonfiala. Così, è triste constatarlo, il movimento studentesco sembra destinalo a scavare la fossa ai suoi croi dopo averli creati. Come mai? Forse perché è troppo profondo il divario tra la loro concezione di democrazia di tipo occidentale e l'esigenza di armonia universale che è la grande utopia della millenaria civiltà da loro contestata. In realtà, comunque fossero andate le cose, cioè se avesse vinto Zhao Ziyang al posto di Li Peng — altre soluzioni non erano immaginabili e questo già è indicativo — il grande Paese si sarebbe trovato di fronte ai problemi di sempre: sovrappopolazione, disoccupazione, corruzione. Zhao non avrebbe creato dicci milioni di posti di lavoro per gli altrettanti studenti che nei prossimi tre anni si diplomeranno, come non potrà farlo Li Peng. Sono davvero tanti quelli che oggi hanno ventanni in Cina, i nati all'epoca della Rivoluzione culturale, quando soltanto parlare di controllo delle nascite era un crimine controrivoluzionario, come sono tanti i mali della Cina e tante le vie della repressione. Renata Pìsu

Persone citate: Andrew Nathan, Deng Xiaoping, Zhao Ziyang

Luoghi citati: Cina