L'ultima sfida a Pechino una statua della libertà di Fernando Mezzetti

L'ultima sfida a Pechino, una statua della libertà Alta undici metri e costruita in cartapesta, è stata innalzata dagli studenti di fronte alla Città Proibita L'ultima sfida a Pechino, una statua della libertà La piazza Tienanmen si è di nuovo riempita di giovani - Alcuni gruppi decisi a continuare la protesta fino alla riunione del Parlamento - Il premier Li Peng accusa gli Usa di aver fomentato la rivolta per sabotare il riavvicinamento con l'Urss DAL NOSTRO INVIATO PECHINO — Nell'impero dei simboli l'alba si sta levando su una nuova immagine della Tienanmen d'incanto arricchitasi nella notte di un nuovo monumento. La «dea della democrazia-: una gigantesca statua riecheggiante quella della Libertà, undici metri d'altezza eretta in poche ore dagli studenti su una piazza rianimatasi in insonne atmosfera di festa. n vertice di un partito spaccato cerca intanto di serrare i ranghi con lo spettro di complicità americane nel complotto di cui vengono accusati, pur senza farne i nomi, Zhao Ziyang e i suoi. Gli americani sarebbero entrati nel gioco perché irritati dal vertice Deng-Gorbaciov. Agganciandosi a uno striscione della manifestazione di domenica. «Questo è il 1789 della Cina-, il monumento rappresenta una donna dagli occhi a mandorla che impugna la fiaccola della libertà con tutte e due le mani, le braccia protese in ardente e insopprimibile richiesta. Fatta in cartapesta dagli studenti dell'Accademia di Belle arti la statua è stata portata ieri sera divisa in tre parti sulla Tienanmen. con un ingegnoso sistema di trasporto su tricicli collegati l'uno all'altro. Per il percorso di alcuni chilometri il lento avanzare dei tricicli è stato protetto da una folla dispostasi a quadrato intomo ad essi. La piazza su cui i bivacchi degù occupanti si erano sempre più assottigliati s'è di nuovo riempita in un clima di divertita eccitazione intorno alia grande impalcatura predisposta per erigere il monumento esattamente al centro fra il grande ritratto di Mao sull'ingresso della Città Proibita e la stele in onore degli eroi della Rivoluzione. Sabato alcuni leader degli studenti avevano annunciato che avrebbero sgombrato oggi dopo un'ultima manifestazione, ma molti gruppi sono determinati ad andare avanti sino al 20 giugno: data indicata per una riunione del Parlamento dal suo presidente Wan Li nella dichiarazione a lui attribuita a Shanghai, con cui, aderendo alla teoria del complotto, esalta la giusta linea di Deng Xiaoping. Pur avendo preso il sopravvento l'ala dura del partito non sembra aver ancora tutta in pugno la situazione. Pechino è ancora circondata dalle truppe che malgrado la proclamazione dello stato di emergenza, come si sottolinea per distinguerlo dalla legge marziale implicante il totale controllo militare, non sono entrate in città sia per dissensi di alti ufficiali, a cominciare dal ministro della Difesa, sia per l'azione di popolo. Ad esse, sottoposte ora ad intensa educazione ideologica, si sono unite forze fresche trasportate da altre regioni tra cui unità munite di missili terra- aria: armamenti che non sembrano i più adatti per far sgomberare una piazza o per sciogliere dimostrazioni. Nelle strade in occasione di tutte le grandi manifestazioni non si è avuto un solo episodio di disordine o di violenza, salvo il blocco del traffico. Ma dall'alto si intensifica il martellamento di allarmi e denunce di complotti contro il socialismo. Pare quindi di capire che la legge marziale o stato di emergenza sia stata proclamata non tanto per quel che non accadeva sulle piazze, ma per ciò che si svolgeva invece nel chiuso delle stanze del potere: cioè la più grave crisi politica della Cina post-maoista, una spaccatura verticale del partito e delle forze armate su due linee, n ricorso all'esercito ha l'aria di essere stata una misura di deterrenza d'un gruppo contro l'altro. Il partito come tale continua ufficialmente a tacere sugli eventi. Su di essi, senza specificarli, parlano in termini duri personaggi formalmente privi di potere reale, ultraottuagenari che tornano in prima linea, in uno scenario patetico e surrealistico, ma terribilmente rivelatore dello spietato scontro politico con le condanne di cospirazioni di vertice dirette a minare il socialismo. A Chen Yun si sono aggiunti l'ex presidente della Repubblica Li Xiannian e l'ex presidente dell'Assemblea del Popolo Peng Gen. Secondo la prassi dell'in¬ formazione selettiva è stato fatto circolare in questi giorni un documento interno tra dirigenti di un certo livello nel quale si dà conto degli eventi col crescendo delle accuse a Zhao e l'allusione a complicità straniere, specificatamente americane. In un incontro ristretto Li Peng secondo un documento, di cui sono filtrati alcuni passi, avrebbe detto: -C'è qualcuno dietro il movimento studentesco? Dobbiamo indagare bene su questo. Per esempio sappiamo bene che gli Stati Uniti non sono stati molto felici della visita di Gorbaciov in Cina-. Al centro di quell'incontro c'è stato l'editoriale del Quotidiano del Popolo del 26 aprile contro gli studenti. Su di esso Li Peng avrebbe detto: -Non possiamo ritirarci neanche di un passo perché altrimenti saranno gli avversari a guadagnare questo passo-. Gli ha fatto eco Yang Shankun: -Se la politica di Zhao Ziyang dovesse proseguire, sarebbe la fine del sistema. E allora il sogno di Dulles diventerebbe vero-. Con ciò il presidente della Repubblica si riferiva a una famosa affermazione del segretario di Stato americano negli Anni Cinquanta. Foster Dulles. secondo il quale il comunismo in Cina era una fase transitoria per far passare la quale al più presto gli americani avrebbero dovuto usare tutti i mezzi. Fernando Mezzetti

Persone citate: Chen Yun, Deng Xiaoping, Dulles, Foster Dulles, Gorbaciov, Mao, Popolo Peng, Zhao Ziyang