Il «Camaleonte» della mafia di Francesco La Licata

Il «Camaleonte» della mafia La vita di Contorno: da boss a pentito, sempre nel segno dell'insicurezza Il «Camaleonte» della mafia L'incarico di guardaspalle di un capo clan gli permette di fare carriera - Poi le cosche rivali uccidono tutti i suoi fedeli - Buscetta lo convince a collaborare con la giustizia - «Totuccio» obbedisce, ma già pensa alla vendetta ROMA — Ritorno alle origini o doppio pentimento? Salvatore Contomo, prima gregario, guardaspalle, devoto e fedelissimo del boss Stefano Bontade, poi pentito per vendetta e ora, a sorpresa, trovato dalla polizia mentre cerca di rimettere su la sua cosca. Ma allora, mentiva quando si dichiarava convertito alla giustizia ordinaria? Oppure, passato il momento della celebrità, dopo tre maxiprocessi e uscito deluso dalla sua esperienza di grande accusatore, ha provato a ricominciare a farsi giustizia da sé? La rispostaci può cercare forse nella sua storia. Sempre precaria, instabile e avventurosa la vita di questo '•picciotto- che era entrato nella mitologia mafiosa sin da ragazzo, quando per l'abilità nella fuga, ma soprattutto per il coraggio dimostrato nelle «azioni militari», si era guadagnato il soprannome di Coriolano della Floresta, eroe di un romanzo popolare di grande successo. Nato, cresciuto e formatosi a Brancaccio, borgata ad altissima densità mafiosa per l'influenza delle vicine Ciaculli e Villagrazia, Totuccio Contorno sin da piccolo affida tutte le sue «chances" all'amicizia che lo lega a Stefano Bontade. rampollo del «patriarca- di Villagrazia don Paolino. I due sono inseparabili. Totuccio non è soltanto un subalterno del boss: vigila sulla sua incolumità, gli dà consigli. E' uno dei pochi gregari che possa permettersi il privilegio di avere un rapporto, un contatto diretto col capo. E la sua fedeltà è puntualmente ripagata. Totuccio ottiene l'autorizzazione a condurre in proprio un piccolo business nell'ambito del contrabbando di sigarette. Un regalo di nozze per il gregario che mette su famiglia. Sarà proprio l'amicizia con don Stefano che gli permetterà di conoscere e apprezzare — come lui stesso ha sempre sottolineato — le qualità di Tommaso Buscetta che tanta importanza avrà nel pentimento di Coriolano. Tutto fila liscio per un bel po'. Siamo all'inizio degli Anni 70 e la mafia naviga a gonfie vele verso il grande affare del secolo: la droga. Attorno ai miliardi dell'eroina si crea un blocco formidabile che dà origine ad un lungo periodo di pax mafiosa, un unanimismo che — svelerà in seguito lo stesso pentito — era però imposto dalla legge degli affari e non da identità di vedute tra le famiglie di Cosa Nostra. E il fuoco che covava sotto la cenere si manifesta alla fine dello stesso decennio. Si apre la stagione delle stragi, comincia una sanguinosa guerra che provocherà più di mille morti e la sistematica eliminazione di quanti, nella società civile, si contrappongono alla piovra e alla sua capacità di corruzione. Palermo viene trasformata in una città sudamericana: decimato lo staff dell'apparato investigativo, della magistratura. Muore il capo del governo regionale, il capo dell'opposizione. La sfida culmina con l'eliminazione di Dalla Chiesa, l'uomo forte inviato dallo Stato per mettere ordine e per bonificare la palude. E muoiono gli amici di Salvatore Contorno. Bontade, Inzerillo, Teresi, Panno, i Mafara: tutti spazzati via dalle sventagliate di Kalashnikov dei corleonesi. Chi non muore tradisce e quindi Coriolano rimane completamente solo. Non può fidarsi di nessuno. Ai poliziotti dirà: -Ti facevano chiamare dal tuo migliore amico, anche dai tuoi parenti per scovarti ed ucciderti'. Ma lui di inviti a discutere non ne accetta. Fugge in continuazione, non dorme mai nello stesso letto. Abbandona la moglie incinta, non si fa vedere perché sa che i suoi nemici aspettano proprio una debolezza di questo tipo per farlo fuori. Finché capisce che per lui è proprio finita. Accade la sera del 25 giugno del 1981, nel suo quartiere, a Brancaccio. Totuccio sfugge miracolosamente ad un agguato, riesce a salvare anche la vita del bambino che era in macchina con lui e ferisce uno dei sei o sette killer che lo fronteggiano. Ha la conferma che è venuto il momento di cambiare aria. Si sposta, va a Roma, solo e braccato. "Cercavo Pino Calò per ucciderlo', confesserà poi al giudice Falcone, parlando dell'uomo poi processato come il cassiere di Cosa Nostra. Non trova nessuno dei suoi nemici e deve rinunciare ai propositi di vendetta. Fa perdere le tracce per quasi un anno, tra¬ scorso a cercare di inserirsi nei traffici della Capitale. Quando la polizia lo scova è già proprietario di una villa a Bracciano e titolare di un discreto pacchetto del commercio di cocaina ed hashish. Non ha perso l'abitudine alla prudenza: la sua auto, infatti, si avvia con un telecomando a distanza. Coriolano non ha dimenticato la vocazione bombarda dei suoi nemici. In carcere ha tutto il tempo per pensare alla sua condizione: i familiari sterminati da nemici che gli fanno il vuoto attorno, la moglie sola, in pericolo e con un figlio piccolo partorito qualche mese prima in condizioni di clandestinità. Non dorme la notte, anche perché teme che l'uccidano in cella. Cosi arriva la tentazione del pentimento. Tentazione incoraggiata dai funzionari di polizia che periodicamen- te vanno a trovarlo per ricordargli che quella scelta l'aveva fatta per primo addirittura don Masino Buscetta. Già, Buscetta, il vecchio amico, un altro dei fedelissimi di Stefano Bontade. "Fatemelo vedere» dice Contorno ai poliziotti. I due si incontrano, parlano. La mitologia mafiosa vuole un Coriolano che alla fine, in ginocchio, baciando la mano al boss, ubbidisce all'invito: -Totuccio, adesso puoi parlare». E ne ha cose da dire, Totuccio. Parla per ore, giorni, settimane. Ha una memoria di ferro: ricorda particolari che lasciano di stucco il giudice Falcone che lo ascolta. Continua a parlare quando gli uccidono il resto dei parenti e gli distruggono la casa: un villetta fra i limoni di San Ciro, al limite fra Brancaccio e Ciaculli. Il suo apporto alle indagini viene riconosciuto essenziale, come quello che era stato dato da Buscetta. Eppure Coriolano non ha avuto la stessa sorte dell'altro grande pentito. O quantomeno non ha ricevuto lo stesso trattamento. Don Masino negli Stati Uniti protetto dal governo americano, con faccia nuova e nuova identità, stipendio e un buon lavoro. Contorno premiato con la libertà. Premiato? E' un premio lasciare libero un pentito della mafia, uno che ha già fatto intendere più volte di non aver completamente abbandonato le sue origini? Probabilmente non era difficile prevedere cosa avrebbe fatto Coriolano in libertà provvisoria, a un'ora di volo dalla sua Brancaccio. Il mafioso ritrovato, appunto. Ma forse la storia infinita di Salvatore Contorno non è conclusa con la sua ultima cattura. Coriolano, infatti, potrebbe pentirsi un'altra volta, magari promettendo rivelazioni sul suo breve soggiorno palermitano. Cosa potrebbe offrirgli, questa volta, lo Stato? Francesco La Licata

Luoghi citati: Bracciano, Palermo, Roma, Stati Uniti