Con Majorana, in via Panisperna di Piero Bianucci

Con Majorana, in via Panisperna Il fisico Gian Carlo Wick ricorda gli anni delle ricerche sull'atomo, sotto la guida di Fermi Con Majorana, in via Panisperna «Quando arrivai a Roma frequentava assiduamente l'istituto, poi lo si vide sempre più di rado, ebbe una crisi, era depresso» - «Le sue affermazioni favorevoli al nazismo? Non aveva capito cosa stava succedendo in Germania» TORINO — Con Segrè, Majorana, Arnaldi, Rasetti e Pontecorvo, era anche lui uno del «ragazzi di via Panisperna» che negli Anni 30 sotto la guida di Enrico Fermi esplorarono il nucleo atomico. E' Gian Carlo Wick: un teorema porta il suo nome, nei libri di fisica è citato per la teoria mesonlca delle forze nucleari e per gli studi sulla simmetria nelle particelle elementari sviluppati in collaborazione con il Nobel Tsung Dao Lee. Metà della sua carriera l'ha fatta negli Stati Uniti, passando per il Carnegie Institute of Technology, Berkeley, il celebre Istituto di Princeton e la Columbia University. Da qualche anno è tornato a Torino, dove è nato pòco meno di ottant'annl fa da un padre insegnante e una madre celebre nel mondo letterario: Barbara Allason. Sono passati quarantanni dalla scoperta della scissione del nucleo atomico. Come ricorda quell'avventura intellettuale? -Questa è una scoperta che il gruppo di Fermi ha sfiorato e si è lasciata scappare. E' anche una storia istruttiva sui rapporti tra fisici e chimici. Già nel '36 una chimica tedesca, Idan Noddack, riteneva di aver trovato elementi chimici derivati dall'uranio, di peso atomico inferiore. Il gruppo di Roma non ci credette, perché sembrava impossibile che il nucleo di uranio potesse espellere cariche molto grosse. Ricordo che ne parlai anche con Irene Curie, moglie di Joliot, e neanche lei ci credeva. Poi Otto Hann, Strassmann e Lise Meitner hanno trovato nel dicembre del '39 che dall'uranio derivava, per scissione, il bario... Fermi seppe della cosa da Bohr a New York...». La fissione nucleare per produrre energia è stata abbandonata in Italia in seguito al referendum. Altri Paesi, come la Francia, producono la maggior parte della loro elettricità con la fissione nucleare. Come vede queste scelte? ■•Mi pare che si sia esagerato sui rischi dei reattori nucleari, sottovalutando i pericoli che derivano da altre fonti di energia come il carbone e il petrolio. Cernobil è un caso eccezionale, ho. letto il rapporto sull'incidente e non c'è dubbio che i responsabili di quella centrale hanno fatto bestialità fuori della media». Lei ha visto il film di Gianni Amelio «I ragazzi di via Panisperna»? «Sì, ma non mi ha convinto. E' un film approssimativo, impreciso. E non rende il clima di entusiasmo, di eccitazione per le cose nuove che si stavano scoprendo. Il personaggio di Majorana è inattendibile. So che hanno consultato la figlia di Fermi, lei avrà fatto togliere qualche stupidaggine, ma non abbastanza...». Ricostruiamo gli anni della sua formazione. Nascendo dalla scrittrice Barbara Allason sarà cresciuto in un ambiente umanistico. Come è approdato alla fisica? «Ho conosciuto molta gente del mondo letterario. Per esempio Benedetto Croce:veniva a trovarci quando passava per Torino, noi sia¬ mo andati a trovarlo a Napoli. A mia madre però devo soprattutto lo stimolo a studiare le lingue. Alla fisica non ho pensato subito, l'idea di fare lo scienziato era lontanissima da me. Mi sono iscritto al Politecnico, pensavo di fare l'ingegnere. Poi, dopo i primi due anni, dato che le materie che più mi piacevano erano matematica e fisica, ho cambiato». Come si insèri nel gruppo romano di Fermi? «Dopo la laurea vinsi una borsa di studio e andai in Germania, dove nel 1931 lavorai con Heisenberg. E li mi sentii dire: perché è venuto qui e non è andato a Roma da Fermi? In effetti i fisici di Torino non mi avevano molto incoraggiato ad andare da Fermi. Avevo lavorato con Wataghin, che era l'unico a conoscere la fisica atomica: fu lui a consigliarmi un libro- di Sommerferld: che segnò la mia iniziazióne alla meccanica dei -quanti. -Pe- rucca era una bravo fisico sperimentale, ma non sì occupava di fisica nucleare. Qualcuno mi disse che sì, potevo andare da Fermi, ma che era un po' un pallone gonfiato. Ecco perché andai prima in Germania. Fermi, tra l'altro, lo avevo già conosciuto a Gottinga, quando venne a tenere una conferenza. Dopo un anno passato a Torino come assistente di Somigliana, Fermi mi chiamò a Roma. Era il 1932». Che cosa ricorda di Majorana? «Quando arrivai a Roma Majorana frequentava ancora l'istituto di via Panisperna. Ci siamo conosciuti bene. Il primo lavoro che mi fece fare Fermi riguardava il momento magnetico del protone, e Majorana mi diede dei consigli. Poi lo si vide sempre più raramente, ebbe una crisi, era depresso...». Qualche mese fa è stata pubblicata una lettera di Majorana sul concorso che nel 1937 portò in cattedra lei, Racah e Giovannino Gentile, figlio del filosofo, mentre Majorana fu nominato a Napoli «per chiara fama», fuori concorso. C'è chi dice che Majorana si offese, che quella fu la causa scatenante della sua scomparsa. C'è anche chi dice che Gentile andò in cattedra perché figlio del più potente intellettuale del regime... «Come siano andate le cose non lo seppi da Fermi perché era estremamente corretto e io concorrevo a una di quelle cattedre. Majorana in un primo tempo non sembrava interessato alla cosa. Fermi allora fece una terna che appariva scontata: Wick, Racah e Gentile. Poi invece Majorana ha deciso di concorrere. Quando si riunì la commissione, Fermi disse che l'ordine di merito era: primo Majorana, poi Wick, Racah e Gentile. Non c'erano grandi differenze tra noi tre, e a Fermi dispiaceva molto che Gentile rimanesse escluso. Fu Polvani a trovare la soluzione, con la nomina di Majorana fuori terna. Sciascia ha attaccato Fermi per questa vicenda, ma ingiustamente, soltanto in base a un pregiudizio negativo». Majorana reagì male come fa intendere in una sua lettera a Gentile? «Majorana era molto amico di Giovannino Gentile e quanto a meriti scientifici lo collocava al di sopra di Racah. Nessuno sa che cosa abbia pensato, ci vorrebbe uno psicanalista. So però che si chiuse in casa, non si tagliava più i capelli, era molto depresso. Probabilmente a Napoli si trovò poi isolato...». Che ne dice delle sue affermazioni favorevoli al nazismo? «Non si interessava molto di politica, nella sua famiglia c'erano le solite idee borghesi sul fascismo. Credo che non abbia mai riflettuto bene su questi problemi e in ogni modo è chiaro che non aveva capito che cosa stava succedendo in Germania. Tra l'altro già nel '33 molti fisici ebrei erano stati allontanati dai loro posti». E Segrè e Pontecorvo? «Fu Segrè a far istituire la cattedra di fisica teorica a Palermo che poi occupai io. Ci rimase male, un anno dopo, quando mi spostai a Padova. Poi ci ritrovammo negli Stati Uniti a Berkeley. Pontecorvo lo conobbi a Roma quando si lavorava sui neutroni lenti. Stavamo nello stesso pensionato, eravamo molto amici. La cosa strana è che allora non era affatto di sinistra, mi rimproverava persino di criticare troppo i fascisti. Poi frequentò suo cugino Sereni, che era stato in carcere, e si converti al comunismo». A Padova si occupò di raggi cosmici? «Sì, Bruno Rossi mi aveva chiamato per questo, ma poi dovette emigrare in seguito alle leggi razziali e io lavorai con Gilberto Bernardini. Ricordo che avevamo gli strumenti per i raggi cosmici sul Plateau Rosa e che ci andavamo vestiti da sci, suscitando le critiche della gente: pensavano che andassimo a divertirci, mentre tanti giovani erano al fronte». Nel 1940 la chiamarono alla cattedra di fisica teorica di Roma. «Si, fu Fermi, lasciando l'Italia, a suggerire il mio nome. E rimasi fino al '46, quando andai negli Stati Uniti-. Come venne a sapere deila bomba atomica? «Come gli altri: dai giornali. Mi chiamarono alla radio e ini diedero dieci minuti per commentare la notizia. Prima avevo soltanto una vaga idea che ci stessero lavorando. Uno studente americano mi aveva detto che Fermi lavorava in gran segreto in un posto che si seppe poi era Los Alamos. Quando gli alleati arrivarono a Roma, un uòmo dei servizi segreti americani, Moe Berg, mi chiese che cosa sapevo di analoghe ricerche dei tedeschi, sotto Heisenberg. In realtà con Heisenberg non avevo mai parlato di queste cose. Sulla pila atomica di Fermi non era stato pubblicato niente, ma si sapeva che forse era possibile una reazione nucleare a catena». Perché decise di trasferirsi negli Stati Uniti? «Fu ancora Fermi a suggerire il mio nome all'Università Notre Dame, nell'Indiana. Sapevo che 11 c'era un acceleratore di particelle e che Chicago non era lontana, e quindi avrei potuto incontrare Fermi ogni fine settimana. Accettai per un anno, ci rimasi due, e poi andai in California con Segrè». In luglio al Cern di Ginevra si inaugurerà Lep, un acceleratore di particelle lungo 27 chilometri. Quali sono le sue impressioni sulla fisica contemporanea, così kolossal, con queste macchine che costano miliardi di dollari e che probabilmente sono arrivate al limite estremo per costo e dimensioni? «Era già colossale la fisica che ho visto a Berkeley: la frattura rispetto alla fisica artigianale di via Panisperna ormai era avvenuta. Fermi stesso sostenne la politica delle grandi macchine nazionali; in Europa il Cern e nato su imitazione di questa Big Science, e si è lavorato ancora più in grande. Oggi, poi, c'è una fisica teorica, come la teoria delle stringhe, lontanissima da ogni possibilità di verifica sperimentale. Non posso dire che questa fisica mi piaccia molto, ma non la conosco. Un mio collega una volta disse che dopo i sessant'anni un fisico deve astenersi da ogni giudizio sulla fisica contemporanea: bene, credo che avesse ragione. Quanto ai limiti di costi e dimensioni, oggi ci troviamo di fronte a un muro che sembra invalicabile, ma poi all'improvviso forse si troverà il modo di aggirarlo. E' già successo, succede sempre nelle cose della scienza. In fondo alla fine del secolo scorso si usava dire che la fisica era finità...».°"f''>'""*K " Piero Bianucci