Regio: anche il pubblico ha bisogno di certezze di Giorgio Pestelli

Regio: anche il pubblico ha bisogno di certezze Regio: anche il pubblico ha bisogno di certezze E' urgente che direzione e dipendenti tornino a collaborare II parere del critico vale quello che vale soltanto di fronte allo spettacolo in scena; tuttavia, anche quando lo spettacolo non si fa, può mettersi dalla parte del pubblico di cui è un rappresentante ed esprimere la proprio apprensione per la situazione in cui il Regio si è incagliato. La tempesta sindacale è una meteora nazionale, e certo non tocca solo Torino; ma qui ha assunto caratteri peculiari che vanno dall'anticipo con cui la crisi era stata annunciata al senso di fatalità con cui è vissuta dalla gente. Proprio due giorni fa, durante la bella conferenza introduttiva sulla Forza del destino tenuta da Gustavo Marchesi al Piccolo Regio, arrivavano, come messaggeri di Giobbe, le ultime notizie sullo sciopero che ha impedito ieri la prima dell'opera; la quale andrà in scena, si è detto in sala «... quando vorrà il destino», senza particolari reazioni del pubblico: il pericolo di questa indifferenza è che ci si stia accorgendo che del Teatro Regio si possa anche fare a meno. E' del settembre scorso l'annuncio che il Regio, in pareggio fino al 1986, era precipitato in due anni in un debito di circa dieci miliardi; ora, siccome lo Stato c gli altri enti pubblici met¬ tono a disposizione dei teatri lirici somme prestabilite e finalizzate bisognerebbe sapere che cosa ha prodotto l'errore di calcolo. Ma non c'è bisogno di essere degli economisti per capire che un teatro dove entrano circa 38 miliardi e ne escono 29 per le sole spese di personale, non ha molta libertà di manovra. Oltre a generali «aumenti dei costi produttivi», una causa dei conti in rosso è stata ravvisata nel «contratto integrativo con i dipendenti»; se ho capito bene, in particolare per via di quei concerti in decentramento di cui tanto si è parlato e che hanno consentito all'orchestra di aumentare in modo sostanzioso le proprie entrate; l'agitazione dell'orchestra alla notizia della rinuncia a questa attività è più che comprensibile, così come le rivendicazioni di altre categorie escluse da quel vantaggio; ma come si è potuto non pensarci prima? E qual è la domanda di quell'attività decentrata? Si è sentita solo la voce degli erogatori e non dei beneficiari di quel servizio culturale. Si è anche giustificata la rinuncia al blasone del pareggio con il «salto qualitativo», che ha provocato un pronto aumento del pubblico; ma la qualità non è una materia misurabile in cifre, ma solo sul metro del gusto, e per quanto riguarda il mio personale non posso dire che la fuga in avanti del Regio abbia prodotto una qualità superiore a quella del Regio quando era in pareggio. Un teatro può benissimo fare cultura con i mezzi e gli strumenti che ha a disposizione: come aveva sempre fatto il Regio, con la sua programmazione precisa, pluriennale, indirizzata su temi e proposte intelligenti. Al deficit si unisce ora il problema ancora aperto della sede in cui trasferire la prossima stagione, in attesa dei nove mesi necessari al nuovo impianto di condizionamento: anche qui, davanti a una perizia tecnica non si può dire nulla, ma solo essere delusi per le condizioni di un teatro noto per l'aggiornamento tecnologico. L'ultima agitazione delle maestranze è per la mancanza di certezza; la sente anche il pubblico, perché regali non ne fa più nessuno e gli sponsor per il «già fatto» non si trovano. Qui l'unica certezza è che direzione e dipendenti del Regio ripartano da capo a collaborare, rinunciando a progetti e pretese in contrasto con la realtà, e contando soprattutto su soluzioni interne, di chi veramente è interessato alla vita del teatro e del suo patrimonio artistico. Giorgio Pestelli

Persone citate: Giobbe, Gustavo Marchesi

Luoghi citati: Torino