Se lo Stato va all'asta

Se lo Stato va all'asta Se lo Stato va all'asta MARIO FAZIO i La crisi del governo De Mita ha tra i suoi effetti il rinvio del provvedimento per la vendita a privati di una parte del patrimonio immobiliare pubblico. Incasso previsto nel 1990: circa mille miliardi di lire. Il rinvio è salutare perche il Consiglio dei ministri aveva agito in fretta, comportandosi come un debitore sull'orlo del fallimento che decide di svendere una parte dei beni di famiglia senza fare una scelta, senza preoccuparsi delle intenzioni degli acquirenti né delle conseguenze. Infatti manca un censimento analitico degli immobili di proprietà pubblica; va abbinato a uno studio, da svolgere con rigore scientifico, che consenta di distinguere gli immobili vendibili da quelli inalienabili non solo per vincoli di legge, contemplando anche la necessità di nuovi acquisti dove i vincoli non bastano. L'idea di cedere a privati terreni ed edifici fuori uso, appartenenti all'amministrazione centrale, ai Comuni, a istituti ed enti pubblici, fu lanciata da Andreatta alcuni anni fa. Nel 1985 la riprese Giuliano Amato, il quale nominò una commissione incaricata di fare un primo censimento. I risultati accesero le fantasie: una massa valutata 651 mila miliardi, oggi più di un milione di miliardi. C'è un po' di tutto, dalle case cantoniere ai caselli ferroviari abbandonati, a terre incolte, a centinaia di caserme e magazzini militari dismessi, a penitenziari situati su isole di straordinario pregio paesìstico e ambientale (Capraia, Gorgona, Pianosa, Asinara, Santo Stefano) a fortificazioni storiche, a palazzi di grande valore architettonico ridotti in pessime condizioni. Il provvedimento iniziale da mille miliardi, piccola cosa di fronte all'entità del patrimonio e all'indebitamento dello Stato, potrebbe avviare una corsa rovinosa alla svendita da parte di ministeri, Comuni, aziende pubbliche, se non si arrivasse al più presto alla definizione di principi e di metodi per la scelta dei beni da conservare e contemporaneamente a un programma per la loro gestione. E' noto che lo Stato e i Comuni non brillano nella cura dei loro beni. Subito si pensa alle ville e ai giardini storici di Roma, ma in mille città la sofferenza di ciò che è affidato alla mano pubblica è evidente, con le dovute eccezioni. Questo fatto non legittima però la messa all'asta di ciò che una società civile sa conservare e mantenere, avendo per i beni culturali e naturali doveri e finalità ben diversi da quelli di un privato. Proviamo a immaginare l'acquirente di un'antica caserma situata in un centro storico o di un forte nell'Arcipelago della Maddalena: sborserà miliardi soltanto se certo di poter compiere un affare, realizzando un centro commerciale o un villaggio turistico. Lo Stato, pur di ven dere, finirebbe con autorizzare l'alterazione o addirittura la distruzione di ciò che si era salvato per inerzia o per servitù militari. E' stata proposta un'agenzia speciale per le vendite: dovrà limitarsi al vendibile, senza commettere delitti. Per il patrimonio inalie nabile sarebbe utile un'agenzia modellata sull'esperienza privata del «National Trust» e su quella pubblica dei mmervatoim, capaci di amministrare con comj>etenza centinaia di chilometri di coste, migliaia di ettari di zone verdi, e anche di acquistarne con dena ro pubblico come fa il nmetvatoire delle co ste. Il prossimo governo ne tenga conto, non si limiti a citare gli esempi inglesi e francesi soltanto per promuovere grandi vendite al l'asta.

Persone citate: Andreatta, De Mita, Giuliano Amato

Luoghi citati: Roma