Zhao, l'erede sconfessato

Zhao, l'erede sconfessato Zhao, l'erede sconfessato Nella provincia del Sichuan c'è un proverbio: «Cerca Zhao e troverai il riso» . Il motto è stato coniato dai contadini negli Anni Settanta quando il leader dimissionario del partito governava la provincia natale di Deng, scelta come laboratorio per sperimentare le iniezioni di capitalismo nell'asfittico corpo del marxismo cinese. Questo tecnocrate di 70 anni ha percorso la classica carriera del burocrate, ottenendo la fama di esperto in agricoltura. Il primo incarico importante sulla scena nazionale rischiò però di stroncare sul nascere le sue ambizioni. Nel '66 quando il vento della Rivoluzione culturale cominciò a spazzare i vertici del partito, Zhao era primo segretario nella regione del Guandong. Il suo grande protettore era il presidente della Repubblica Liu Shao Ch'i: in teoria una carta sicura, dal momento che Liu era delfino di Mao e sembrava avviato a raccoglierne l'eredità. Ma per la banda dei quattro e le Guardie rosse era una colpa capitale e Zhao, bollato come «lacchè del capitalismo», finì tra i dirigenti epurati. Più fortunato di altri colleghi che scontarono i loro peccati borghesi con la vita riuscì a superare senza troppi danni la bufera della Rivoluzione culturale, tornando alla ribalta nel '71 come fedelissimo di Deng e tecnico numero uno del nuovo corso riformista. Da quel momento la sua carrie- ra non ha più avuto ostacoli: successore del grigio Hua Kuo-Feng, il dirìgente che cercava di salvare l'eredità maoista, nella carica di primo ministro, simbolegggiava nella nomenklatura cinese l'ala liberale. Una stile che Zhao amava simboleggiare anche nel vestire: mentre Deng era rimasto fedele alla giacca di taglio militare simbolo dell'austerità maoista, Zhao indossava abiti di stile occidentale, ben tagliati, anche se, precisava, rigorosamente «made in China». Zhao era popolare soprattutto tra gli intellettuali, che non avevano dimenticato come nell'83 si era opposto alla campagna contro «l'inquinamento intellettuale», uno dei tanti siluri con cui l'ala dura del partito cercava di sabotare le modernizzazioni; ma tifava per lui anche la nuova borghe¬ sia nata negli anni di Deng, burocrati e tecnici arricchiti, che ne apprezzavano la strategia della «porta aperta» agli investimenti stranieri. Tra i nemici del «paladino delle riforme», che dopo il congresso dell'87 era diventato il delfino ufficiale, non erano soltanto i burocrati decisi a difendere la purezza marxista contro i diavoli del profitto. Il «capitalismo cinese» che pure ha prodotto concreti vantaggi soprattutto nelle campagne, avanzava con troppa lentezza, portandosi dietro una pericolosa coda di corruzione, frodi, malgoverno. Proprio la regione dove Zhao aveva comandato per anni, era diventato il regno delle bustarelle. Gli appelli del capo del partito per la moralizzazione si sono risolti in un fiasco, che ha aggiunto delusione a delusione. Indebolito dal malcontento popolare, Zhao nell'aprile dello scorso anno dovette incassare una dura sconfitta: la nomina dell'uomo simbolo dei conservatori Li Peng alla guida del governo. Una coabitazione che si è subito rivelata impossibile. Quando gli studenti sono tornati in piazza, Zhao ha cercato, opponendosi alla repressione, di ritrovare il sostegno delle piazze. Ma ormai era troppo tardi: il «grande riformatore», sconfessato dal padre Deng, era stato abbandonato anche dai suoi figli. A cura di Domenico Quirico Zhao Zijang

Persone citate: Domenico Quirico Zhao, Feng, Mao

Luoghi citati: Liu