Nebbia al Giro per gli italiani di Gian Paolo Ormezzano

Nebbia al Giro per gli italiani CICLISMO Via domenica a Taormina, arrivo 1*11 giugno a Firenze Nebbia al Giro per gli italiani Si prospettano tre settimane difficili per i nostri corridori che non hanno alcuna possibilità di successo - E gli stranieri non offrono super campioni Non vogliamo assolutamente scherzare: questo 72° Giro ciclistico d'Italia, che comincia domenica a Taormina per finire 1*11 giugno a Firenze, ha per gli italiani cicloni! anche il problema dei cognomi dei loro, dei nostri corridori. Che non sono guerrieri. Anzi, sono buffi. I nomi nostri più importanti per successi dì tappa e dignitosa esistenza-resistenza in classifica generale sono quelli di Cipollini, Tomasinl, Baffi, Gusmerioli, Santaromita, Saligari, Canzonieri, Chiappucci, i nomi cioè emersi negli ordini d'arrivo di questi ultimi tempi. Nomi difficili da presentare ai lettori: si pensi soprattutto alle nove colonne dei quotidiani sportivi. La teoria del nome necessario al campione per sfondare anche come sound non è nostra. Quaranta e passa anni fa Carlin, giornalista-umorista e perciò giornalista serissimo, già scriveva che c'erano nomi da portieri, ad esempio, e Bacigalupo non era fra questi. Erano i tempi in cui la Scicolone si faceva Lazzaro e poi Loren. Nessun dubbio che Faustocoppi e Ginobartali erano di bella pronuncia. Ma anche Moser andava bene, anche Saronni, anche Visentini, paesan-dogale, e andrebbe bene Fondriest, se fosse da corse a tappe. Argentìn è al limite fra il buffo e il simpatico. Bugno può funzionare: ma deve ancora vincere una tappa del Giro, una corsa importante. Altri nomi non vediamo, anzi non sentiamo. Ripetiamo che non stiamo scherzando. Nel mondo attuale, nel villaggio globale, conta anche il sound del cognome. E il ciclismo italiano non ha neppure quello, per tanto che si pensi, si declami. Forse non c'è mai stato un Giro d'Italia così vuoto di premesse per il ciclismo italiano. Questo è un Giro silente, anzi muto. Sarà difficile anche affrontarlo giornalisticamente. Sport paesano, il ciclismo accetta il personaggio esterno, ostrogoto soltanto se è enorme, assoluto. I contadini francesi accettarono Copi, i villici italiani hanno accettato Merckx, dopo avere speso anni per impararne tutte le consonanti. Ma se il Giro finisce a Criquielion, a un Criquielion, modesto e calcolatore, non va bene. Meglio Roche, a questo punto. L'anno scorso ci ni il primo statunitense, Hampsten. Andrebbe bene quest'anno di nuovo Hampsten o il suo connazionale Lemond, o il primo sovietico (Konychev?). O quel colombiano che ha un cognome già popolare in Italia, Herrera? E' un Giro a priori difficile da narrare, impervio da seguire. C'è il rischio che i nostri corridori emergano soltanto extracicllsticamente. La faccenda di Gavazzi insegna: il trentanovenne campione d'Italia non prende il vìa, la sua squadra è affiliata in Australia. Lo sponsor, che è poi quello del «No all'aborto» e del «Dio ti ama» su maglie e cappellini, ha ottenuto più pubblicità con il triste caso di Pierino Gavazzi di quella che lo stesso Gavazzi gli avrebbe potuto procurare in gara. Fondriest al via interessa più come fachiro di fronte agli attacchini del resto del ciclismo italiano che come protagonista. Saranno tre durissime settimane di non ciclismo italiano (Dio, che speranza di sbagliarci: l'anno scorso Giupponi fu quarto, quest'anno firmeremmo per Giupponi quinto) e di difficile—per noi — ciclismo straniero. Nelle nebbie del previstissimo nulla, qualcuno riesce a scorgere il 1990, quando il Giro d'Italia addirittura si scontrerà con il mese preMundial (Italia '90 sarà dall'8 giugno all'8 luglio), e dirà che quest'anno il Giro è già fortunato. Qualcun altro, come noi, preferisce vedere il 72° Giro d'Italia come un terribile affascinante collaudo d'amore resìduo per uno sport che tanto amore ebbe e produsse. Gian Paolo Ormezzano