Menem e Alfonsìn alleati per l'austerità di Mimmo Candito

Menem e Alfonsin alleati per l'austerità Il nuovo e il vecchio Presidente si sono incontrati per concordare la nuova politica economica Menem e Alfonsin alleati per l'austerità I due si consulteranno almeno una volta al mese fino al trapasso dei poteri (a dicembre) - Il leader del sindacato unitario chiede che siano raddoppiati gli stipendi - I militari approfittano della situazione e cercano di riguadagnare posizioni pretendendo la liberazione degli ufficiali incarcerati DAL NOSTRO INVIATO BUENOS AIRES — Ieri la Casa Rosada, con un rito inusuale per i rancori di sempre tra peronisti e radicali, ha ospitato contemporaneamente i due inquilini avversari, Menem e Alfonsin. L'incontro è stato «molto cordiale», e la cordialità non era solo formale: le speranze di un'uscita dallo sfascio dell'economia sono legate alla capacità dei due blocchi politici di accantonare le gelosie di partito e assumere congiuntamente la gestione delle inevitabili misure di austerità, ri presidente dell'Unione industriale ha tirato già le redini: «Non c'è tempo nemmeno per pensarci; o si prendono misure subito, o ci sarà una eslosìone sociale incontrollabile». Si teme qui la ripetizione di una protesta che, come a Caracas tre mesi fa, si trasformi in una rivolta di massa. E Ubaldini, il segretario del potentissimo sindacato unitario, ha chiesto al governo che si approvi subito il raddoppio del salario minino, da 4 mila australes (che poi sono poco più di 30 dollari) a 9000. Impiegati, maestri, segretarie, non parliamo poi degli operai o di quanti vivono alla giornata, campano oggi con un reddito che talvolta non arriva nemmeno a 40 mila lire al mese, che diventano meno di 30 mila per i pensionati. La povertà, l'indigenza diffusa, stanno diventando la nuova faccia di questo sfortunato e, un tempo, ricchissimo Paese, n dollaro se ne va ormai in salita verticale, senza nessun controllo, e gli speculatori stanno costruendo delle fortune da nababbi. La piaga di un'economia basata ormai soltanto sul gioco degli investimenti finanziari distrugge ogni possibilità produttiva; non si investe più, fabbriche e commerci chiudono, le carte di credito sono sospese da quasi un mese, chi ha qualche austral compra dollari a qualsiasi prezzo oppure lo mette in banca: oggi, gli sportelli stanno pagando un interesse annuale del 1350 per cento. La zecca stampa ogni giorno 2 milioni e mezzo di biglietti da mille australes (all'incirca 9 dollari), ma questa montagna di denaro non è sufficiente a coprire le richieste del mercato. In più, l'Argentina non paga ormai da un anno e mezzo gli interessi del suo debito estero di 60 miliardi di dollari e rischia di essere esclusa da qualsiasi forma di aiuto internazionale. Per questo, l'incontro tra Alfonsin e Menem ha portato intanto un primo risultato concreto: la delegazione argentina che nei prossimi giorni andrà a trattare col Fondo monetario il rinnovo dei debiti a scadenza sarà composta da radicali e peronisti; e si sa che mentre i radicali chiedono soltanto la riformulazione delle scadenze, Menem ha invece basato la propria campagna elettorale sul principio che non un austral deve essere più pagato all'estero per i prossimi cinque anni. Menem e Alfonsin hanno stabilito anche di incontrarsi una volta al mese per una valutazione continua dell'andamento della crisi. «Anche più di una volta al mese, se sarà necessario», ha detto Menem, e lasciava capire che le cifre e i numeri che gli ha passato il Presidente uscente hanno la dimensione di una catastrofe. In questo quadro di forte tensione, tentando di incunearsi tra le fratture che inevitabilmente si apriranno e si allargheranno nel corpo sofferente della società, i militari cominciano a tirar nuovamente su la testa. Ieri l'ammiragio Arosa, celebrando l'anniversario dell'Armada, ha riaffermato con vigore che «questo processo dì transizione democratica è solo il risultato della guerra che le forze armate hanno condotto e vinto contro la sovversione». E ripetendo che «è tempo di sanare le vecchie ferite», non solo ha chiesto la liberazione di tutti i militari in galera ma ha anche sbattuto In faccia ai due Presidenti la sua verità: che i 30 mila morti, torturati, desaparecidos, non sono le vittime di un comportamento illegale ma lo scotto inevitabile di una guerra. Nello stesso giorno, con una simultaneità che a qualcuno comincia già a far venire i brividi, i carapintadas di Rico e Seineldin hanno minacciato pubblicamente che se Menem non manda via tutti i generali che sono al potere, «perché compromessi con l'alfonsinismo», e gli hanno anche dato una scadenza («entro dicembre»), gli ufficiali più giovani si ribelleranno. Torna l'Argentina di sempre? Ancora no, certamente, la vittoria di Menem è stata troppo netta, e il carico di speranze della gente troppo forte, perché ci siano già spazi per qualsiasi manovra destabilizzante. Ma se la crisi si approfondisce e le attese e le speranze si trasformano in delusione e rabbia, allora i giochi dei militari non saranno più fogli semiclandestini nella caserme ina. nuovamente, «i sacri destini della patria». Mimmo Candito

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