Il ritmo etico di Martinetti di Anacleto Verrecchia

Il ritmo etico di Martinetti DIMENTICATO IL FILOSOFO CHE NEGAVA UN FINE SCIENTIFICO PER IL MONDO Il ritmo etico di Martinetti La parola scienza, oggi, viene pronunciata con tono reverenziale e gli scienziati posano a demiurghi. Ma la scienza senza la sapienza è cieca. Per quanti progressi scientifici si facciano, nessuno potrà mai sollevare il velo che copre il mistero del mondo e noi continueremo a vivere avvolti da una nebbia con visibilità zero. Non sappiamo niente di niente, dice Karl Popper, e somigliamo a uno che cerchi in una stanza buia un cappello scuro che forse non c'è. Ci muoviamo dunque a tastoni. Le scoperte e le verità della scienza sono esteriori, cioè fenomeniche, non interiori o noumeniche. E il mondo ha semmai un fine etico, non scientifico. E' quello che pensava Piero Martinetti, il filosofo canavesano ingiustamente dimenticato. Qualche anno prima di morire, Martinetti scrisse un articolo: «La rinascita di Schopenhauer». Eccone alcuni brani: 'Gli scienziati non sono filosofi e disgraziata è l'età in cui l'ignoranza universale permette agli scienziati di prenderne il posto... Un divenire storico assoluto è dal punto di vista schopenhaueriano così inconcepibile come una natura fisica assoluta; e la storia d'un progresso indefinito, con la quale si cerca di coonestare moralmente in qualche modo il concetto di questo divenire è in realtà solo un'illusione ottimistica'. E ancora: «72 problema delle cose ci sta sempre davanti così misterioso e intatto come stette di¬ nanzi all'occhio dei primi veggenti... Il pessimismo schopenhaueriano ha quindi anche qui il suo riflesso positivo, cioè esso richiama l'individuo dalle esteriorità al suo mondo intimo, lo indirizza verso le conquiste interiori, verso le realtà spirituali che sono al di là e al di sopra della storia... Quindi è vano parlare di progresso: il mondo empirico sarà sempre quello che è stato. La tanto vantata raffinatezza della civiltà e della tecnica non è... che una vernice superficiale, la quale nasconde sempre le stesse miserie'. Sono parole che cadono come un tuono in mezzo ai saturnali dell'ottimismo scientifico ed è forse per questo che nessuno parla di Martinetti. Anche la sua coerenza e il ritmo etico della sua vita danno forse fastidio. Quando il fascismo, nel 1931, pretese un giuramento di fedeltà dai professori universitari, soltanto una decina eb¬ bero il coraggio di rifiutare e di abbandonare la cattedra. Tra i professori di filosofia, l'unico a rifiutarsi fu Martinetti. Con grande dignità e senza indulgere a pose retoriche, scrisse al ministro dell'Educazione nazionale: «Ho sempre diretto la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza e non ho mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così, ho sempre insegnato che la sola luce, la sola direzione e anche il solo conforto che l'uomo possa avere nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora, col giuramento che mi è richiesto, io verrei a smentire queste mie convinzioni e a smentire con esse tutta la mia vita: Martinetti si ritirò nel suo bel Canavese, a Spineto, una frazione di Castellamonte, vivendo in solitudine e a contatto della natura come gli eroi di Hólderlin. Andava a fare la spesa da solo e nella modesta casa di campagna non aveva luce elettrica, né stufa, per timore che qualche scintilla appiccasse il fuoco alla preziosa biblioteca, una delle più ricche biblioteche private. Talvolta, forse anche per irridere la spocchia degli accademici, comperava un pacco di dolci e andava a trovare un suo 'vecchio amico; un asino di proprietà dello stradino, cui diceva: «Caro collega, eccomi qua». Piero Martinetti era nato nel 1872 a Pont Canavese, ai piedi delle sue amate Alpi e ai confini del parco nazionale Gran Paradiso. All'università di Torino, ebbe come professori Pasquale d'Ercole, Giuseppe Allievo, Paolo Raffale Trojano e Arturo Graf. Il primo, che aveva conosciuto Nietzsche a Torino, era un pedante hegeliano; il secondo, un bigotto. Martinetti non si lasciò annebbiare né dalle chiacchiere del d'Ercole né dai quaresimali dell'Allievo: si laureò con una tesi sul sistema Samkya (Torino già in quei tempi era un centro di studi orientali, ora assurto a fama internazionale grazie all'attività di Oscar Botto). Dopo un lungo soggiorno in Germania e dopo aver insegnato in diversi licei, nel 1906 ottenne la cattedra di filosofia teoretica presso l'Università di Milano. Era un bell'uomo, sembra che a Milano esercitasse un grande fasci no sulle dame. Quanto alle idee di Marti netti, non si può sempre con dividere ciò che egli dice nel suo Breviario spirituale. Egli si ispira soprattutto agli A/o rismi sulla saggezza nella vi ta di Schopenhauer, di cui però gli mancano la splendida bilis, il sarcasmo, l'energia intellettuale e anche la grazia. Ma se paragonate a certe ciarlatanerie intellettuali della filosofia moderna, le opere di Piero Martinetti sono dei capolavori. Si riattacca anche alla grande tradizione filosofica orientale, nella quale non c'è posto per 10 «storicismo» e il «progressismo», i due birilli intorno a cui gira, a vuoto, il pensiero occidentale. Noi storicizziamo tutto, perché non siamo più capaci di -pensare. E' la cattiva eredità di Hegel, che Popper chiama giustamente la «più grande truffa intellettuale di tutti i tempi». Martinetti morì a Cuorgnè 11 22 marzo 1943. Da allora la sua statua non è mai stata portata in processione dai sacerdoti degli anniversari. Sarebbe veramente triste se il suo esempio di dirittura morale non avesse fatto scuola e non avesse lasciato alcuna eredità. Quanto alla fama, però, vorrei ricordare anche quello che una volta mi disse Karl Popper: 'Che cos'è la fama? La fama è un semplice accidente, un caso. Pensi a un Hegel, che è diventato molto famoso pur essendo un grande ciarlatano». Anacleto Verrecchia

Luoghi citati: Castellamonte, Cuorgnè, Germania, Milano, Pont Canavese, Torino