Indimenticabile Ginzburg

Faust, l'ultimo sogno La nuova opera di Manzoni in prima mondiale alla Scala Faust, l'ultimo sogno Il compositore, nel «Doktor Faustus», s'è ispirato al romanzo di Thomas Mann Magnifiche scene e regìa di Bob Wilson, che accentuano il senso onirico del lavoro - Grande esecuzione di Gary Bertini - Salda la compagnia vocale MILANO — Uno schietto e merit .atissimo successo ha salutato alla Scala il battesimo di Doktor Faustus di Giacomo Manzoni: un allestimento scenico di Robert Wilson di eccezionale efficacia, una direzione musicale di Gary Bertini tesa e pungente, hanno fatto dell'attesa prima del compositore milanese uno spettacolo perfetto, regolato come un organismo di precisione, che non poteva servire meglio la presentazione del lavoro. Queste -scene dal romanzo di Thomas Mann-, Manzoni le portava dentro di sé da molto tempo e lo si sente bene: dal tono essenziale con cui ha organizzato la scelta entro la sterminata materia, senza nulla concedere alla mitologia manniar.a di decadenza borghese, guglie di Lubecca e libri mastri. E' avvertibile invece il doppio registro, narrativo e riflessivo, lo stacco ironico di tempo degli accadimenti e tempo della narrazione: e in questo senso è decisiva l'integrazione, il connubio fra la partitura musicale e regia e impianto scenico di Wilson : al di là della felicita inventiva, dello splendore figurativo, della sollecitazione spaziale in ogni dimensione, Wilson con luci e colori pellucidi, con l'isolamento inquieto di oggetti, crea un sei:so onirico che accoglie i personaggi come stilizzate figure di una danza; inoltre egli stesso, come mimo nella parte del narratore Serenus Zeitblom, introduce con magistrale bravura qualcosa di stridulo, stabilendo un incontro teatralmente avvincente di creature vive e fantasmi, di figure dalla fisionomia materiale ed altre dai tratti celati o sfuggenti. Tale doppio registro nella musica è realizzato da Manzoni nella vicenda di un intimismo lirico (che attinge al vocabolario espressionistico, puntillismi, tensioni, scricchi, deflagrazioni! e di un declamato narrativo di segno più eloquente e realistico. Della storia del povero Adrian Leverkuhn. Manzoni illumina tre momenti: l'inizio , l'episodio lacrimevole del nipotino, e la conferenza finale con la terrificante confessione: undici quadri in tre atti, con un interludio e un epilogo, un insieme che esprime meglio che in tutti i suoi lavori precedenti la passione di Manzoni per l'idea di struttura e la sua capacità di variazioni e parafrasi. La primissima esecuzione di un'opera nuova non e sempre la sede più adatta per capirne a fondo la natura; a me tuttavia e parsa sopra tutto felice la dimensione intima, quella del¬ la poesia lirica, del sogno immobile: la libertà espressiva di cui Manzoni da prova nella triplice parte di soprano, ora Esmeralda, ora una voce che intona l'Ode a un usignolo di Keats, ora la donna velata che libera il commovente epicedio finale, è di qualità finissima, fervida, capace di far gravitare su di sé tutta una scena: anche la bravura di Sylvia Greenberg, voce purissima e ipersensibile, deve aver rafforzato questa impressione. Con l'episodio del bimbo Echo <af- fidato alle voci di Sandro Torchio e Francesca Albini) Manzoni aggiunge un anello alla gentile catena delle «tombe precoci», tanto cara a Mahler, ma qui non c'è ombra di «floreale funebre», nemmeno nella scena straziante della malattia e morte, che è una delle pagine più impressionanti dell'opera proprio per l'addensamento e la combinazione «a freddo» di fonti sonore diverse e roteanti. L'importanza della tessitura orchestrale, qui e in tutta l'opera, ha trovato in Gary Bertini un magnifico sostenitore: ha realizzato con amore le screziature della vasta partitura in ogni sfumatura, ha seguito con flessibilità il complesso rapporto con il ritmo del palcoscenico. I suspiria de profundis del protagonista, Marcel Vanaud, pur lavorati con finezza, mi sono parsi difettare di volume, incisività sonora; assai felice la distribuzione della parte del Maligno su tre voci, quelle di Giancarlo Luccardi, Mario Bolognesi e Fernanda Costa. Il coro, protagonista dell'interludio fra secondo e terzo atto (con un'apparizione scenicamente formidabile, sullo sfondo di una vertiginosa prospettiva del Reichstag in fiamme), è stato istruito con saldezza da Giulio Bertola. Giorgio Pestelli Marcel Vanaud e Sylvia Greenberg in «Doktor Faustus»

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