«Gorbaciov, aiuta la Cina» di Emanuele Novazio

«Gorbaciov, aiuta la Cina» Pechino, in piazza Tienanmen tra i giovani che digiunano per la libertà «Gorbaciov, aiuta la Cina» «La democrazia è lo scopo comune dei nostri due Paesi» ■ Un ministro cerca invano di convincere gli studenti a riaprire il dialogo Cartelli e canzoni per espugnare la Città Proibita DAL NOSTRO INVIATO PECHINO — Sulla piccola fascia bianca che gli stringe le tempie c'è una promessa, una sfida: «Sono pronto a dare la vita», dicono gli ideogrammi che lui stesso ha disegnato, arrivando a Tienanmen. Hu Quing, 21 anni, studente all'Università più importante di Pechino, la Beida, fa lo sciopero della fame dall'alba, da quando ha sostituito una ragazza che non ce la faceva più e adesso è in ospedale, insieme ad almeno 234 suoi compagni. Conferma che vuole -andare fino in fondo», finché • il governo non ci darà una risposta chiara», finché -le nostre condizioni saranno soddisfatte». Conferma che tutti, in piazza, sono -decisi a resistere fino all'ultimo», decine di migliaia. Conferma: -Non siamo soli, la gente ormai è con noi». Hu Quing ha ragione, dalle prime ore del mattino Tienanmen si sta colmando di persone che scendono per il grande viale che taglia la città, lo Chanhan, ed è una svolta che potrebbe annunciarne altre, perché la protesta degli studenti, e lo sciopero della fame di 3 mila ragazzi arrivati al quarto giorno di digiuno, hanno un sostegno sempre più vasto, in tutta la città. E' come un fiume che sta per traboccare, arrivano a gruppi o a piccole folle, a piedi, su camion, con risciò o furgoni, ma quasi tutti in bicicletta, e li si sente da lontano, uno scampanellio gentile che diventa, quasi, un annuncio di battaglia. Da ieri, gli «altri» sono numerosi come mai prima d'ora, gli striscioni di protesta sono comparsi alle finestre dei grandi palazzi affacciati alla Chanhan, e fra gli studenti ci sono insegnati e minatori, ci sono operai, scrittori, esponenti di istituzioni prestigiose come l'Accademia di Scienze Sociali, un gruppo di 800 persone almeno, e poi artigiani, ricercatori, tecnici, perfino membri dello Jusian, uno degli otto piccoli partiti -democratici" ammessi dal regime. Ci sono sindacalisti, 600 funzionari che chiedono cantando -la riforma di un organismo controllato ufficialmente ma che deve diventare il vero rappresentante dei lavorato¬ E ci sono giornalisti: redattori del Quotidiano del Popolo, il giornale del partito, venuti a denunciare l'articolo col quale, il 22 aprile, gli studenti furono definiti -elemento di disordine», e poi redattori della radio, che a Tienanmen chiedono fra urla ed applausi le dimissioni del ministro dell'Informazione, e uomini del Guangmin, un giornale di Shanghai che sembrano voler fare ammenda per le affermazionidi qualche editoriale, sollevando un gran cartello in favore della protesta studentesca. Appena un gruppo si avvicina, gli aprono un passaggio nella folla sempre più fitta, gli cantano l'Internazionale, li salutano alzando gli striscioni o agitando le bandiere, e la piazza diventa un gran fragore dalle cento intonazioni, grida, canti, ordini di star seduti o di lasciar passare una barella, ordini di aiutare chi si sente ma¬ le, ordini di bere l'acqua o il latte e di coprirsi il capo o meglio ancora di stare al riparo delle tende bianche che sono arrivate nella notte, perché il sole è peggio del digiuno. E' una strana festa dai risvolti sempre più inquietanti e più drammatici, che continua sempre, quasi il respiro della grande piazza. Appena arriva un gruppo, qualcuno lo presenta e spiega perché ha deciso di venire a Tienanmen: «Siete gli eroi del nostro Paese», grida un professore della facoltà di Scienze, e loro gridano «inva gli insegnanti»; -oggi gli insegnanti imparano dagli studenti», grida un professore all'Accademia d'Arte drammatica, e qualcuno piange; -viva gli studenti» grida un giornalista, e centinaia levano il pugno, applaudono. Finché, ed è il ritmo che cadenza la giornata, un altoparlante o un piccolo megafono ripetono gli slogan guidando la protesta, la indirizzano, le danno enfasi e rabbia: «Siamo pronti a dare il sangue per il Paese», -via i corrotti», -non siamo contro la Cina ma lotteremo per la Cina», «resistete, avremo successo» dice la voce. E, sempre più spesso, -vogliamo che Gorbaciov ci aiuti», -perestrojka, glasnost», -la democrazia è lo scopo comune dei nostri due Paesi». Perché se la protesta ha origini ed occasioni più lontane e si alimenta della crisi dell'economia e delle ambiguità politiche che dalla crisi affiorano, la visita di Gorbaciov le ha fornito l'energia capace di trasformare un'occasione in una irripetibile opportunità, capace di sottrarre al più straordinario evento nella vita di uno Stato, il vertice di pace con un avversario, l'evidenza terribile del singolo. Era sulla grande piazza, ieri, che si affermava con più tenacia la gran forza dell'evento in corso a Pechino: fra i giovani, che per la quarta volta in due giorni hanno costretto il governo a cambiare programmi e a modificare cerimoniali riservati agli ospiti di rango. Fra gli studenti che sembravano coprire con le loro voci, sempre più nervose, le intenzioni più ambiziose della grande storia: perché anche loro fanno la storia. A sera, in una «conferenza stampa» improvvisata fra i gruppi di studenti stesi a terra e divisi da piccole corde fissate a dei sacchi, mentre la piazza era ormai colma e le strade d'accesso bloccate dalla gente in marcia e dal traffico impazzito, uno dei leader degli studenti, Wang Dan, ripeteva la sua ammirazione per Gorbaciov, un -grande riformatore e politico», ma respingeva ogni accusa per le tensioni che nella capitale: «La responsabilità è del governo, non è nostra, quel che vogliamo è chiaro, è il governo a restare silenzioso, le trattative non sono ripartite», diceva. Anche la breve visita del ministro Yen Min Lu, non è stato l'avvio di un dialogo, ma un semplice invito a badare alla salute. Poco lontano, qualche decina di ragazzi erano stesi su sacchi a pelo e brande, sotto la grande tenda vérde del pronto soccorso alzata ieri a Tienanmen e divenuta il simbolo, ormai, della più seria sfida al governo di Pechino da 13 anni almeno, l'emblema del fragilissimo equilibrio della crisi, della sua incerta evoluzione. Diceva Wang Dan: -Se dobbiamo morire moriremo al fronte, per la democrazia». Intorno applaudivano, il pugno alzato, verso la grandi tenda verde. Emanuele Novazio Mmìm Pechino. La folla di piazza Tienanmen partecipa alla colletta organizzata dagli studenti per i compagni in sciopero della fame

Persone citate: Gorbaciov, Wang Dan

Luoghi citati: Cina, Pechino, Shanghai