Debito e deficit pubblico di Mario Salvatorelli

Debito e deficit pubblico I nostri soldi Debito e deficit pubblico • Ho letto ili recente un urticulo sit un giornate (si elice il peccalo, non il peccatore), nel quale si affermava che il "deficit pubblico è il problema dei problemi", per l'Italia. Pensavo che il nostro problema dei problemi, invece, fosse il "debito pubblico". O no?". Il lettore, Giorgio Hrrico, clic mi scrive da Genova, ha ragione. Purtroppo, il "peccato» — ammesso che sia tale — di usare indifferentemente deficit e debito, talvolta nel senso del primo, talaltra del secondo, è molto diffuso. Le parole sono chiare in proposilo, eppure si continua a scriverle a sproposito. Deficit è ciò che manca (dal latino deficerc. appunto) dalle entrale per coprire le spese, nei bilanci annuali delle famiglie, delle imprese e, in questo caso, dello Stato, anzi nel concetto allargato di «pubblico», nel conto economico consolidalo delle amministrazioni pubbliche. Debito, invece, è quello che si forma, anno dopo anno, accumulando i disavanzi annuali, e che è coperto con l'emissione di «obbligazioni» che il Tesoro si assume nei confronti dei sottoscrittori e che si definiscono «titoli di Stato» (per il 79-ho per cento circa), nonché con la raccolta postale (olire il *> per cento), con il conto corrente di Tesoreria e relative anticipazioni straordinarie (5 per cento), con debiti esteri (3 per cento circa) e altri debiti. Sembra impossibile che si possano confondere due entità, così chiaramente diverse. Basti pensare che il debito pubblico aveva già superato il milione di miliardi di lire all'inizio dell'89 e ormai dovreb-b'essere vicino a 1 milione 100 mila miliardi, mentre il deficit pubblico quest'anno dovrebbe aggirarsi sui 130 mila miliardi (di cui oltre 100 mila solo per pagare gl'interessi del debito pubblico). Si pensi, ancora, che, mentre il deficit pubblico diminuisce, sia pure lentamente, in percentuale del prodotto interno lordo (dal 12,5 per cento dell'esercizio 1985 al 10,2 per cento circa del 1988), il debito pubblico, anch'esso lentamente (mica tanto, però), ma inesorabilmente si avvicina al 100 per cento del prodotto interno lordo (dall'83,7 per cento del 1985 al%,5difine '88). Talmente diversi, il deficit e il debito pubblici, sono, che, in pura teoria, uno Stato può chiudere un anno il suo «esercizio» con un deficit rilevantissimo, ma senza avere avuto, prima, una lira di debito pubblico (l'avrà, se non corre subito ai ripari), e un altro Stato può chiudere l'esercizio in pareggio, anche in attivo, pur avendo un notevolissimo debito pubblico. A questo proposito, il «deficit» pubblico si distingue in «primario», cioè al netto della spesa per interessi del debito pubblico, e in «secondario», cioè al lordo di questi interessi. E, nel programma di governo, com'è noto, c'è lo sforzo di arrivare a fine '92 (per l'apertura del Mercato europeo comune) con un deficit «primario» azzerato, come primo passo per il graduale rientro del debito pubblico. Altro esempio: il Tesoro britannico, negli ultimi anni, ha imboccato la strada del rientro dal debito, essendo riuscito a ridurlo dal 54,9 per cento del prodotto interno lordo del 1984 al 46,1 del 1988. e avendo promesse di portarlo intomo al 40 per cento nei prossimi anni. Sembra, però, che al di sotto di questa percentuale non si voglia scendere nel Regno Unito, per opportunità di finanziamento dei conti pubblici e di controllo dei mercati finanziari. Non mi sembra che queste siano cose astruse, da iniziati, solo che i «non iniziati» prestino ad esse un minimo di attenzione. Vivere di rendita «Ho 63 anni, e dall'eia di 15 lavoro nel mio negozio. Im casa dove abito è mia. Adesso sono slanca e vorrei chiudere. Avendo io 165 milioni, di cui 10 liquidi e 155 investiti in Cd e Boi, su quanto potrei contare di rendila mensile? E'giusto il mio calcolo di 500 mila lire?-. La signora G. Z., di Vercelli, ha fatto un calcolo, non solo giusto, ma addirittura «reale». Ha considerato, cioè, quanto può spendere mensilmente del reddito del suo capitale, dedotta la quota da accantonare (nel senso di «non spendere» ma da capitalizzare), investendola l'anno successivo, affinché il suo capitale e la rendita relativa conservino intatto il loro potere d'acquisto attuale. Infatti, considerando un rendimento del 9 per cento netto di quel capitale, pari a 1 milione 240 mila circa al mese, se si calcola un'inflazione annua media del 5-5,5 per cento, devo accantonare un po' meno di 9 milioni il primo anno per la ricapitalizzazione, e rimango con 6 milioni da spendere, esattamente 500 mila lire al mese. E così via per gli anni successivi. di Mario Salvatorelli

Persone citate: G. Z., Giorgio Hrrico

Luoghi citati: Genova, Italia, Regno Unito, Vercelli