Un Caudillo galalite alla Casa Rosada di Osvaldo SorianoMimmo Candito

Un Caudillo galante alla Casa Rosada Un Caudillo galante alla Casa Rosada DAL NOSTRO INVIATO BUENOS AIRES — L'immagine più rapida e più espressiva della storia di Carlos Menem, che domenica è diventato presidente dell'Argentina, ce la dava ieri Osvaldo Soriano che con due parole soltanto — 'Un destino sudamericano' — metteva assieme l'avventura di un uomo e il futuro, chissà, di una terra in crisi. Menem, 56 anni, due figli, basso, abbronzato, con i suoi larghi favoriti grigi, la passione per le donne e le auto da corsa rischia di essere infilato a forza nelle gallerie dei ritratti del Terzo Mondo, dove la lettura degli elementi di una cultura specifica passa sovente nelle classificazioni del folklore. Appenderlo però in quella galleria significa anche tradire la comprensione dei fenomeni più profondi delle società latinoamericane, ignorare cioè che al di sotto del progetto globale di egemonia della Conquista spagnola si è formato, nei cinque secoli di storia quaggiù, un mondo che esprime una propria autonomia culturale, dove l'ibridismo e la ricomposizione delle forme espressive delle società europee si sono combinati lungo itinerari non necessariamente omogenei ai percorsi della vecchia Madre Patria. Il populismo delle nazioni dell'America Latina (dunque anche il peronismo argentino), e personaggi come Menem, rientrano all'interno di questo complesso di «specificità». Non c'è dubbio che Raul Alfonsin, il presidente uscente, rappresentasse ai nostro occhi senza alcun trauma l'immagine dell'uomo politico. Era l'Argentina europea, era il Terzo Mondo (anche se è difficile buttarci dentro questo contraddittorio ma certo non sottosviluppato Paese) che tende a omologarsi e imitare l'Europa. Menem è sicuramente l'opposto. Per come veste, come parla, le cose che fa e che ama, perchè è «Turco», come lo chiamano qui e intendono dire che è siriano, musulmano anche se pare convertito, sposato con una musulmana. L'Argentina è terra di emigrazione. Ce lo dimenticavamo — e se lo dimenticavano gli argentini — più spesso quando questa terra si esprimeva attraverso uomini bianchi, una cultura decisamente europea, un desiderio insopprimibile di identificazione con il mondo lasciato dall'altra parte dell'Atlantico. Torna prepotentemente a essere terra di emigrazione quando sul suo scenario appare come protagonista un uomo non omologabile a quel profilo, indio o Turco che sia. E' poi vero che Menem sia «anche» folklore. Le cronache raccontano divertite l'abbraccio con il quale sua moglie domenica sera lo ha salutato nuovo presidente, in una efficace mescolanza di arabo e sudamericano: 'Habib, te quiero», giurano i testimoni che Zulema gli abbia detto estasiata. E altri giurano che quando uno sprovveduto della corte ha salutato lei con un rispettoso 'Ola.jefa», che è come dire «Salve, capa», lui, il Menem, si sia rivoltato a chiarire: 'No. Olasubjefa». Ma queste e altre piccole miserie, in Europa non farebbero notizia e qui invece rischiano per alcuni di essere la sola, inadeguata, chiave di comprensione. Con Menem, e con i suoi tic atipici, prende possesso dell'argentina il mondo dell'interno, la sterminata provincia della pampa che appare esclusa dal dagherrotipo di un Paese che è sicuramente moderno, vivace, affascinante, europeo se si vuole. Quello che piuttosto c'è da chiedersi è quanto questa Argentina provinciale, popolare, contraddittoriamente proletaria, intensamente descamisada nei suoi bisogni collettivi, di classe, possa combinarsi con un progetto di recupero che deve passare attraverso il patto sociale. Quanto cioè la modernizzazione di un'economia dipendente sia compatibile con i desideri insopprimibili di una giustizia sociale. Un peronismo senza più Perón, ma ancora decisamente urbano, viene interpretato da un leader della provincia lontana. Ci sono molte ragioni per coltivare incertezze. E ieri il dollaro saliva di 10 punti nelle contrattazioni diffidenti dei cambisti di calle San Martin. Mimmo Candito La Rioja. Il futuro presidente argentino Carlos Saul Menem ha atteso i risultati elettorali nella sua casa giocando a tennis

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