Lastre più sensibili le tappe del progresso

Lastre più sensibili le tappe del progresso Lastre più sensibili le tappe del progresso Il silicio manda in pensione le pellicole sciacquata con acqua distillata calda. Arago racconta che il pubblico era particolarmente impressionato «dalla rapidità del metodo»; nelle giornate invernali meno luminose appena 10 o 12 minuti erano richiesti per ottenere la fotografia di un monumento, mentre in estate, in una bella giornata LA fotografia, uno dei mezzi espressivi più diffusi e tecnologicamente più affermati nella nostra civiltà, compie 150 anni. Le sue applicazioni scientifiche sono innumerevoli. Tra queste, una delle più importanti riguarda la ricerca astronomica. Senza dubbio la fotografia è uno dei due sviluppi tecnologici che contribuirono a rivoluzionare la scienza del cielo durante la seconda metà del diciannovesimo secolo. L'altro, la spettroscopia, permise di ottenere informazioni sulla fisica e sulla composizione chimica delle stelle. Le lastre fotografiche, insieme agli spettroscopi, offrirono i fondamenti tecnologici su cui edificare la moderna astrofisica. Il primo resoconto pubblico sulla nuova tecnologia venne dato il 7 gennaio 1839, quando l'astronomo francese Francois Arago annunciò l'invenzione di Nièpce e Daguerre al meeting settimanale dell'Accademia delle Scienze di Francia. La parola fotografia, creata per indicare la nuova arte, si deve all'astronomo inglese John Herschel, che lo coniò lo stesso anno della scoperta, da lui definita «un miracolo». Con il procedimento di Daguerre le (costose) lastre fotografiche consistevano in un sottile film d'argento steso su una base di rame, sensibilizzata esponendo il lato con l'argento in un vaso contenente un po' di iodio, i cui vapori formavano uno strato giallo di ioduro d'argento dallo spessore inferiore ad un micron. Dopo l'esposizione, la lastra con l'immagine latente veniva sviluppata con un processo che Arago così descrisse: «In un secondo vaso la lastra è esposta a una corrente di vapori di mercurio provenienti da una capsula nella quale il liquido è riscaldato da una lampada a spirito a 75° C. Questo vapore produce subito un effetto curioso: esso aderisce alle parti della superficie della lastra che hanno ricevuto un'illuminazione intensa, mentre l'effetto è minore dove c'è stata meno lucere non aderisce per nulla in quelle non raggiunte dalla luce». L'Immagine così sviluppata veniva fissata e quindi ri¬ va, la lastra era immersa in una soluzione di nitrato d'argento, che trasformava lo ioduro in ioduro d'argento. Le lastre però dovevano essere esposte mentre il collodio era ancora umido e senza ulteriori sciacqui, altrimenti l'eccesso di nitrato d'argento cristallizzava nel- due periodi principali. Il primo, dal 1840 al 1880, è caratterizzato da successive variazioni nella natura del procedimento fotografico accompagnate da un rapido incremento nella sensibilità. Un passo decisivo si ebbe nel 1871, anno in cui Maddox introdusse l'uso della gelatina animale contenente bromuro d'argento, materiale che, fondamentalmente, è quello odierno. Fu esso a consentire una rapida diffusione della fotografia e a farla elevare allo status ufficiale di mezzo per la ricerca scientifica. Il secondo periodo, dopo il 1880, vede lo sviluppo del bromuro d'argento nella gelatina ed un guadagno meno pronunciato nella sensibilità. Ma vediamo, nella seguente tabella, quali sensibilità hanno caratterizzato i diversi periodi. Come termine di paragone, si tenga presente che le odierne pellicole «comuni», utilizzate per la fotografia di tutti i giorni, vanno da 100 a 1000 ISO. Fin dalla sua nascita la fotografia venne impiegata per una registrazione obiettiva dell'immagine degli astri, ma solo il Sole e la Luna diedero inizialmente risultati soddisfacenti. La prima fotografia di una stella risale al 1850, quando Bond e Whipple ottennero un'immagine di Vega (la brillante stella estiva) con una posa di 100 secondi tramite quello che allora era il più grande telescopio a lenti del mondo. Ma allora era possibile fotografare solo una o due dozzine di stelle, mentre l'occhio, applicato allo stesso telescopio, ne scorgeva milioni. I progressi si accumulavano rapidamente e nel 1857, con lo stesso strumento, era possibile fotografare tutte le stelle visibili ad occhio nudo (circa 6000). Il 1887 può essere considerato l'anno del «pareggio»: allora la fotografia permetteva di registrare la stessa quantità di stelle accessibili all'occhio attraverso lo stesso strumento. Ed oggi, se con i grandissimi telescopi della nostra epoca si possono osservare centinaia di milioni di stelle, con la fotografia ne emergono miliardi! Le potenzialità del «miracolo» di John Herschel continuano a stupire. dei secolo scorso (circa 1885) lo strato di collodio perdendo in tal modo le sue proprietà fotografiche, n tempo utile di esposizione era così drasticamente limitato a 10 o 15 minuti: con il collodio secco non c'era questo limite, ma la sensibilità esplicata era minore. La struttura di queste immagini, paragonata a quella delle moderne emulsioni era estremamente fine e praticamente senza grana, ma, anche quando si poneva la massima cura durante la preparazione, erano frequenti pìccole zone non sensibilizzate. Nella storia della fotografia si possono individuare l'n telescopio fotografico di Sole, questo tempo poteva essere dimezzato. Nel 1851 Scott-Archer introdusse il primo processo del collodio umido, che permise di accrescere la sensibilità di oltre 10 volte rispetto al procedimento di Daguerre. n processo consisteva nello spalmare una superficie di vetro accuratamente preparata con il «collodio», una soluzione di nitrocellulosa e ioduro di potassio in alcool Questa operazione richiedeva notevole destrezza, per trattare la lastra nel modo più uniforme possibile. Appena il collodio secca- Walter Ferreri -lutto?. NONOSTANTE i continui e talora stupefacenti progressi della fotografia classica, nell'ambito degli ossevatori astronomici professionali vengono sempre più usati rivelatori di immagini elettronici, e soprattutto i CCD. Iniziamo subito col chiarire che la sigla CCD racchiude le iniziali delle parole Charge Coupled Device, cioè dispositivo ad accoppiamento di carica. Si tratta di un piccolo chip di silicio semiconduttore, che ha la capacità di rivelare anche la radiazione elettromagnetica che cade nella finestra del visibile. La parte principale di un CCD si presenta come un piccolo quadratino scuro che comprende una grande quantità di elementi sensibui, denominati pixel. Ogni pixel, che è paragonabile al singolo granulo di un'emulsione fotografica, ha tipicamente forma quadrata con il lato di 25 micron. I pixel sono solitamente in numero di alcune centinaia per fila ed I coloranti che permettono di trasformare una fotografia elettronica in una stampa a colori l*ìi gmuaaia iiuuumui «juuiuiuu* |r» io sua unamnauva forma in una fotografia convenzionale. I CCD permettono di migliorare la sensibilità, ma non il potere di risoluzione un singolo CCD contiene centinaia di file. Ad esempio, 400x550 pixel, per un totale di 220.000 e un formato di 1 x 1,5 centimetri. Proprio il piccolo formato rappresenta attualmente la limitazione più grave di questo straordinario elemento sensibile rispetto alla fotografia. Quest'ultima, grazie soprattutto ai maggiori formati, può opporre una quantità di informazione ben maggiore, tipicamente 100 milioni di pixel, che pos¬ sono anche raggiungere o superare i 10 miliardi per le lastre a grana ultrafine preparate per i grandi telescopi di tipo Schmidt. Ma, da un punto di vista professionale, a questo rimarchevole svantaggio rispetto alla fotografia, si contrappongono notevoli vantaggi. Forse il principale è l'efficienza quantica. Ad un 3-4 per cento delle migliori emulsioni fotografiche, i CCD oppongono un impressionante 60-70 per cento. In parole povere questo significa che ogni 100 fotoni ricevuti i CCD ne evidenziano 60-70 e la pellicola fotografica solo 3-4! Un altro considerevole vantaggio dei CCD è la loro grande risposta spettrale: dal limite rninimo imposto dall'atmosfere (0,28 micron) ad oltre 1 micron. E' vero che anche le emulsioni fotografiche possono essere sensibilizzate per tutte queste lunghezze d'onda (dall'UV all'infrarosso), ma esse non sono adatte a registrarle contemporaneamente: cioè una pellicola o è preparata per un certo intervallo spettrale o per un altro. Anche la «latitudine di posa» (capacità di riprodurre contemporaneamente zone di differente brillantezza a parità di posa) è ineccepibile nei CCD, potendo essi evidenziare uno sbalzo dì luminosità fino al rapporto di 100.000 a 1, mentre i migliori materiali fotografici raggiungono il rapporto 1000 a 1. NASTRO CON I TRE COLORI PRIMARI TESTINA TERMICA MAGENTA -»»» » NA -»»♦ II II FOGLIO SU CUI L'IMMAGINE DEVE ESSERE STAMPATA CN R' f\ti CH, FV CN stabile e non si muova più. anche se viene di nuovo sottoposto a un riscaldamento meno forte ma prolungato, come può succedere in un'auto lasciata per ore sotto il sole o in un armadio posto vicino a un radiatore. Infine, per poter essere efficacemente depositato sul nastro porta-colori, il colorante, che è solido, deve essere molto solubile in un solvente opportuno. Per il giallo il problema è stato relativamente facile Tra le sostanziali caratteristiche positive dei CCD, non si può ignorare l'accurata proporzionalità della risposta ai fotoni ricevuti. Questo significa che con essi è possibile ottenere precisi dati fotometrici, al livello dei fotometri fotoelettrici, cioè nell'ordine del centesimo di magnitudine. Come potere risolutivo (capacità di riprodurre particolari fini) sussiste invece, per ora, una certa superiorità da parte della fotografia. I più piccoli elementi pixel attualmente disponibili misurano infatti 15 micron di diagonale, mentre le pellicole a grana più fine tra quelle di media sensibilità hanno granuli da solo 1-2 micron, ovvero una risoluzione potenziale 10 volte superiore. E' comunque molto probabile che entro la prossima decade lo svantaggio della minore risoluzione e del minore formato possano essere, se non annullati, perlomeno ridimensionati. w.f. ELEMENTO DELLA TESTINA TERMICA ♦ II NR. H3C CN N^-^N-Q-NRj R' 5 CN R' da risolvere: promettono bene le classi di composti 3 e 4 della figura (R e R' sono gruppi organici). Più difficile è stato arrivare a buoni coloranti che, oltre alle necessarie doti di stabilità, diffusione e intensità, fossero davvero magenta e azzurri; che avessero, cioè, le tonalità primarie pure. Per i primi si sono prodotte le classi 5 e 6 e per i secondi la classe 7. Tra le aziende più impegnate nel settore troviamo la Mitsubishi, l'Eastman Kodak e l'ICL Gianni Fochi

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