La memoria non è un archivio: ricrea il passato di Maria Grazia Bruzzone

La memoria non è un archivio: ricrea il passato Teorie e casi controversi nel saggio di Rosenfield La memoria non è un archivio: ricrea il passato IRENEO Funes, racconta Borges, dopo una caduta da cavallo vedeva e ricordava tutto con una precisione tale che «il presente gli era quasi intollerabile tanto era ricco e nitido e cosi pure i ricordi più antichi e banali". Prigioniero di un mondo vertiginoso, Ireneo viveva nel buio di una stanza dove gli riusciva difficile anche dormire perché 'poteva ricostruire i sogni dei suoi sonni e tutte le immagini del dormiveglia'. Il paradosso di Ireneo è quello di una memoria totale e totalizzante, simile a un film senza fine rivedibile a piacere alla moviola. Ma funziona davvero così la memoria dell'uomo? Naturalmente no, o il nostro destino non sarebbe diverso da quello del personaggio di Borges. Eppure è contro questa concezione della memoria come archivio di immagini permanenti che si scaglia Israel Rosenfield, il brillante neurologo newyorkese allievo del premio Nobel Gerald Edelman, nel suo libro appena tradotto da Rizzoli, già best-seller negli Stati Uniti. Un'intera scuola di neurofisiologi, psicologi, scienziati dell'intelligenza artificiale crede infatti che i ricordi siano delle «tracce mnestiche» lasciate dalle nostre percezioni e conservate da qualche parte nel cervello. E seguendo una corrente di pensiero che risale allo studioso dell'Ottocento Paul Broca, ritiene infatti che le varie funzioni mentali come parlare, scrivere, riconoscere i caratteri della scrittura o le forme degli oggetti siano localizzate in specifiche aree del tessuto cerebrale. Secondo questa scuola gli stimoli visivi, tattili, uditivi, motori si trasformano nel cervello in rappresentazioni più o meno esatte del mondo fisico. E ogni percezione risulta dal confronto con queste «immagini» già apprese e memorizzate. Rosenfield confuta drasticamente teorie del genere passando in rassegna un secolo di studi sulla memo-. ria e la percezione. Racconta i casi clinici paradossali che hanno fatto epoca suscitando feroci controversie. Come la storia di Tan, il paziente di Broca che impreca pur avendo perso l'uso della parola in seguito a una lesione cerebrale. O come quella incredibile di Monsieur C. che Dejerine ritiene colpito da «cecità verbale» perché, pur parlando normalmente, non riesce a leggere neppure la propria scrittura. Rosenfield annota i dubbi di Freud sulle idee «localizzazìoniste». Turbato dall'inattendibilità della memo- ria, Freud aveva cercato di spiegarla postulando il concetto di inconscio. Anticipando convinzioni recenti, aveva osservato come frammenti del passato di una persona si manifestano nei sogni o in rapporto a sintomi nevrotici ma sono riconosciuti come ricordi solo quando sono associati ad emozioni. Un'idea non diversa da quella dì Marcel Proust che nella Recherche associa l'onda di ricordi a impressioni precise come un pavimento sconnesso o il sapore delle madeteines. Ma per entrambi al presente si sovrapponeva sempre un passato di «scene visive», specchio di quelle effettivamente vissute. Il contrario di quel che afferma Rosenfield per il quale la memoria è sempre un'attività altamente creativa, fatta di procedure che continuamente generalizzano e «ricategorizzano» il passato nei termini del presente. La base biologica di questo approccio è il «dar¬ winismo neurale» di Edelman, una teoria che alla base della percezione e della memoria ipotizza un meccanismo di selezione non diverso da quello studiato da Darwin. Le connessioni fra i dieci miliardi di neuroni che compongono la corteccia, secondo Edelman e Rosenfield, variano secondo la storia di ogni cellula e secondo i rapporti che ciascun gruppo di neuroni ha stabilito con gli altri. L'informazione nel cervello è distribuita in molte «mappe» neuronali che si sovrappongono e dialogano fra loro in modo da creare categorie di cose o avvenimenti. E in parti diverse del cervello ci sono diversi tipi di mappe che vengono continuamente riorganizzate. Ciò fa sì che i ricordi si sviluppino da ricreazioni sempre nuove del passato, le quali ci danno quel senso di continuità che Freud aveva attribuito all'inconscio. Difficilmente i ricordi possono essere esatti perche le persone non sono mai esattamente ciò che erano anche solo qualche istante prima, né gli oggetti si percepiscono mai due volte allo stesso modo. Proprio come aveva intuito tre millenni or sono Eraclito quando asseriva che «non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume-. Maria Grazia Bruzzone Gerald Rosenfield, «L'invenzione della memoria», Rizzoli, 249 pagine, 30.000 lire. Disegno di Topor

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