Cara Arendt, caro Jaspers: è possibile essere ebrei e tedeschi?

Cara Arendt, caro Jaspers: è possibile essere ebrei e tedeschi? La Germania nazista e l'antisemitismo al centro del carteggio tra i due filosofi, lungo quarantanni Cara Arendt, caro Jaspers: è possibile essere ebrei e tedeschi? LA corrispondenza tra l'ebrea tedesca Hannah Arendt e 11 filosofo esistenzialista Karl Jaspers è, nella storia del pensiero, il primo ampio carteggio tra due filosofi, imo uomo e l'altro donna, che sia stato interamente pubblicato. Iniziato nel 1926 quando la Arendt, ventenne, studia a Heidelberg filosofia con Jaspers (dopo essere stata allieva di Heidegger), lo scambio epistolare viene interrotto dall'emigrazione della studiosa, trasferitasi in America, é dal «silenzio» di Karl Jaspers durante il nazismo, per riprendere con rinnovata intensità solo nell'autunno del 194S, quando si ristabilisce tra i due un legame che si avvia a trasformarsi in profonda amicizia. Il carteggio, che acquista consistenza e importanza solo a partire dal dopoguerra, rispecchia non solo i percorsi esistenziali e intellettuali dei due filosofi, ma soprattutto il loro modo di analizzare e di giudicare gli eventi di quarant'anni di storia europea, dall'ascesa di Hitler all'ambigua rimozione del passato nella Germania degli Anni Cinquanta e Sessanta. In Jaspers la Arendt, che aveva perduto presto il proprio padre, trovò non solo negli anni della giovinezza ma per tutta la vita l'«untco educatore che abbia mai riconosciuto come tale-; per il filosofo la studiosa rappresentò «uno dei grandi colpi di fortuna- fra le persone che egli incontrò in vita, l'individuo capace di scacciare -gli spettri del disprezzo per l'uomo», Il «Stocco di ghiaccio nord-tedesco», come lo stesso Jaspers si autodefiniva, trovò nella vivace, spregiudicata e appassionata intelligenza dell'allieva-amica un benefico contrappeso, anche sul piano personale e caratteriale. La generosa amicizia della Arendt, la quale non fece mai mancare ai coniugi Jaspers i pacchi americani contenenti viveri e generi allora inaccessibili come le cravatte che il filosofo mostrava di apprezzare molto, e che promosse instancabilmente la diffusione dell'opera dell'amico nel mondo culturale anglosassone, introdusse anche dal punto di vista umano nella vita spesso grigia dell'accademico tedesco una notevole dose di calore e di affettività. Nello stesso tempo l'«estremismo» spregiudicato che caratterizzava l'intelligenza e la speculazione della Arendt, talvolta oggetto della paterna critica di Jaspers, non mancò di esercitare effetti stimolanti sul pensiero del filosofo. La corrispondenza tra i due protagonisti della cultura del '900 è ora pubblicata, a cura di Alessandro Dal Lago dalla casa editrice Feltrinelli (215 pagine, 38.000 lire), mentre la Bompiani ristampa uno dei lavori teorici più importanti della Arendt, Vita adiva (287 pagine, 30.000 lire). Il Carteggio Arendt-Jaspers offre un intreccio esemplare di riflessione filosofica e analisi politica e una straordinaria rassegna della politica mondiale: la rivolta di Berlino, la Rivoluzione ungherese, le guerre in Corea e nel Vietnam, la Baia dei Porci e la crisi di Cuba, il muro di Berlino, la caduta di Krusciov e l'assassinio di Kennedy, la lenta ascesa della Cina e la difficile pace russo-americana. Il dialogo a distanza — interrotto soltanto da alcune visite di Hannah Arendt ai coniugi Jaspers a Basilea — si concentra tuttavia su alcuni temi cruciali che costituiscono l'ossatura della discussione, il leitmotiv dell'Incessante e reciproco interrogarsi dei due pensatori. Al centro c'è la «questione tedesca-, cioè la domanda ricorrente e densa di sempre nuovi significati sul senso dell'identità tedesca, su cosa significhi essere tedeschi, prima ma soprattutto dopo la fine del conflitto mondiale. A questa domanda, attualissima e scottante ancor oggi, è indissolubilmente legata l'altra: cosa significa essere ebrei e, in particolare essere ebrei in Germania, essere ebrei tedeschi. Se U primo interrogativo è soprattutto al centro della riflessione di Jaspers, che vi ha dedicato il saggio su Max Weber uscito nel 1932 con l'ambiguo sottotitolo «l'essenza tedesca nel pensiero politico, nella ricerca e nel filosofare»; il secondo è naturalmente materia della sottile analisi della Arendt, che vi dedica due dei suoi libri più discussi e famosi: La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (Feltrinelli, 1964) e Rahel Varnhagen. Storia di un'ebrea (Il Saggiatore, 1988). -Penso continuamente — scrive Karl Jaspers il 20 luglio 1947 — nel profondo del cuore, al significato che ha per me il fatto di essere un tedesco. Fino al 1933 non fu mai per me un problema. Ora però prende corpo una realtà che in Svizzera io sento con maggior forza che non a casa, a Heidelberg. L'intero mondo mi grida, ad una voce: -Tu sei un tedesco». Spero di dare, prima opoi, lamia risposta». Ma la speranza coltivata da Jaspers di divulgare e pubblicare, «un giorno, l'immagine di una Germania sognata» non si sarebbe realizzata. Il filosofo finirà, dopo una serie di amare disillusioni, per allontanarsi sempre più dalla Repubblica Federale staccandosene alla fine quasi del tutto. Già nel 1949 scrive -non appartengo a questi tedeschi» e nel 1952 sostiene di sentirsi «non tedesco» in senso politico, di esserlo -magari per quanto riguarda il passaporto, ma senza gioia». Per Hannah Arendt, ebrea, il rapporto con la nazionalità tedesca appare problematico fin dal principio, quando ne! 1933 esprimeva a Karl Jaspers le sue perplessità a proposito del libro del filosofo su Max Weber -Germania vuol dire per me lingua madre, filosofia e poesia. Di simili realtà posso e devo farmi garante». Ma, aggiunge con la consueta lucidità, -sono obbligata a prendere le distanze, e non posso essere né prò né contro, quando leggo la grandiosa frase di Max Weber in cui egli afferma che, per risollevare la Germania, sarebbe pronto a fare un patto con il diavolo in persona. Quella frase mi sembra proprio essere, con ogni evidenza, l'elemento decisivo». Non c'è dubbio che lo fu. Di 11 a poco la Germania avrebbe stretto, con il nazismo, proprio quel «patto con il diavolo» sinistramente evocato da Weber. La Arendt ancora una volta aveva visto giusto, con uno sguardo infinitamente più penetrante di quello del suo maestro che sarà costretto più volte, nel corso del serrato dibattito con lei, a rivedere e a smontare molte delle sue Interpretazioni storico-politiche. Hannah Arendt mostrava sempre una visione più concreta dei fatti laddove Jaspers, proiettando la visione in grandi dimensioni, si creava prospettive illusorie. Anche sul tema dell'ebraismo, dell'antisemitismo e del nazismo la Arendt ha concepito tesi estremamente lucide e spregiudicate che le hanno procurato spesso incomprensione, ostilità, isolamento. Ma sempre, nei momenti più difficili, come durante la campagna diffamatoria montata contro di lei dopo la pubblicazione del libro sul processo Eichmann, Jaspers le fu vicino e solidale, schierandosi pubblicamente e senza esitazioni al suo fianco, disposto anche a rompere amicizie per difenderla. Quelle di Hannah Arendt sono tesi che ancora oggi, quando vengono riproposte sotto altra forma e da altri interlocutori, incontrano difficoltà e diffidenza. L'analisi dell'uomo Eichmann non era, ad esempio, -una difesa del criminale di guerra» come sostenne Gideon Hausner, pubblico ministero al processo di Gerusalemme, ma al contrario, il tentativo di spostare il fuoco delle responsabilità dello sterminio degli ebrei dalla singola persona (con la sua presunta «diabolicità») al terreno di viltà, connivenze e conformismi su cui il nazismo potè svilupparsi. Anche nella polemica sul caso Eichmann si ritrova insomma l'equivoco del «comprendere» che equivarrebbe a «giustificare». Allargare il raggio delle responsabilità mediante l'analisi non voleva certo dire, per la Arendt, assolvere il singolo criminale Eichmann ma al contrario smontare il comodo alibi dell'unico diabolico responsabile per riconoscere colpe di tutti. Allo stesso modo, a proposito del nazismo, la Arendt si opponeva all'idea di male radicale in favore di una concezione «superficiale» secondo la quale «:{ male non è mai 'radicale', ma soltanto estremo», e non possiede -né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla sua superficie come un fungo. Esso sfida il nostro pensiero perché il pensiero cerca di raggiungerne la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male è frustrato perché non trova nulla-. Protagonista e agente del male non è dunque U singolo, satanico criminale, ma più spesso l'uomo qualunque, la massa degli individui comuni e.oscuri, la persona mediocre e anonima. E non sono forse queste le inquietanti 'verità' che ancor oggi la maggior parte dei tedeschi e della classe politica tedesca si rifiuta, in fondo, di ascoltare? Lalli Mannarini Hannah Arendt Il filosofo Karl Jaspers con la moglie nel 1968