E la Signorina risanò il bilancio di Donata Gianeri

E la Signorina risanò il bilancio PICCOLA GALLERIA DI DONNE «AL VERTICE >: MARCELLA NOVO, AMMINISTRATORE DELLA ZUST E la Signorina risanò il bilancio H signor Amministratore Delegato esce certamente dai canoni stabiliti per i suoi predecessori: niente aspetto grave e sussiegoso, niente calvizie autorevole, niente doppiopetto fumo di Londra. Invece: capeùi biondi a caschetto, tailleur di gabardine, camicetta di seta, scarpe col tacco. E poi: un grosso anello di brillanti, una spilla di perle, le unghie appena fatte, un velo di trucco. Insomma, quel pizzico di civetteria che non guasta, considerando che il signor Amministratore Delegato è una signora. Anzi, una signorina- Marcella Novo, da 31 anni a capo della Zùst Ambrasetti e di altre otto società satelliti, appartiene a quella generazione in cui si faceva una netta differenza tra i due termini. E poiché lei non si è mai sposata è ancora oggi la Signorina, per antonomasia. La Signorina, dunque, è piccola, sottile, la voce educata ma ferma e sembra scomparire nella soffice poltrona in pelle di un ufficio sterminato e supermoderno, con le piante sul davanzale, la piccola libreria, il tronchetto della felicità accanto alla scrivania e un grosso gufo impaglialo che domina dall'alto di uno scaffale seguendo con i rotondi occhi di vetro la conversazione. Spiega con pudore che non si è mai concessa, prima, a interviste personali: fa parte della politica aziendale, precisa, la Zùst essendo una ditta solida e vieux-jeu nel senso piemontese del termine, cioè contraria a qualsiasi interferenza dei mass-media nella privacy dei suoi dirigenti. La signorina Novo è entrata alla Zùst Ambrosetti nel '30, dopo una breve esperienza alla Fiat. Da quel momento in poi, il lavoro è stato la sua vita: la sua vita, il lavoro. Le sue giornate alla scrivania, dice, iniziano alle 7,30 del mattino con la lettura dei quotidiani, quelli economici in testa, e finiscono alle 19. Questo da quando, nel '58, è stata nominata Amministratore Delegato; il primo Amministratore Delegato donna, in Italia. In un'epoca in cui le rivendicazioni femministe erano di là da venire e le donne al vertice si potevano contare sulle dita. Fu per lei uno shock, signorina? «Uno shock, perché? Tutto quanto è avvenuto nella mia carriera, è avvenuto abbastanza casualmente: per un seguito di circostanze fortunate, voglio dire. Vede, io ho cominciato dalla gavetta, proprio come usava un tempo. Avevo 16 anni quando dovetti interrompere gli studi per motivi di famiglia; facevo la seconda al classico, non evevo nessun diploma in mano. Quello sì, per me, fu uno shock. Ma non mi persi d'animo. Così, mi iscrissi a un corso accelerato di dattilografia, stenografia, comptometria, quindi entrai alla Fiat. Nel '30, passai all'Ambrosetti che allora navigava in acque non proprio felici: e quando venne ceduta a Giovanni Zùst, spedizioniere svizzero, ero già dirigente. 11 signor Zùst aveva un delfino designato, che però mori in un incidente d'auto, per cui decìse di vendere l'azienda ai dirigenti e poiché ero l'unica persona di cui si fidasse, mi nominò Amministrato- re Delegato dandomi subito compiti precisi e piuttosto ardui: dovevo garantirgli il pagamento delle azioni e l'assoluta integrità del bilancio. Credo di non averlo deluso». Nel '58 una donna al vertice aveva possibilità di dialogare alla pari coi maschi, di ottenere credibilità, fiducia? «Ammetto che all'inizio qualche attrito ci fu : furono in molti ad andarsene dicendo che non potevano rimanere in una ditta con un amministratore delegato femmina. Ma quelli che rimasero, instaurarono subito con me un rapporto perfetto. Quanto a un dialogo alla pari con gli uomini, creda, non è mai possibile: neanche oggi. Io qui vengo trattata benissimo, godo del massimo rispetto, ma sento che non c'è mai una fiducia assoluta, sento che in caso di divergenza di opinioni sarebbero subito pronti a far fronte comune contro di me; e non soltanto gli uomini, anche le donne. Perché una donna al vertice, spesso, non trova alcuna solidarietà presso le sue simili». Vuol dire che una donna al vertice, è sola? «Io ritengo che quando si arriva al vertice si sia sempre soli, non importa se uomo o donna. Per fortuna, sono una che è sempre bastata a se stessa, che non ha mai avuto paura della solitudine. D'altronde, se si vuol mantenere la propria autonomia, bisogna sentire le idee di tutti, raccoglierle, rielaborarle. Inoltre, quando occorre, bisogna saper essere tranchantes». Vuol dire quel polso di ferro che tutti auspicano, quella benedetta mentalità maschile? Come si fa, per esempio, ad essere tranchantes nelle decisioni economiche? Non ho mai pensato che una donna potesse avere una base economica. «La donna ha una gran mente economica, in senso pratico. Un uomo, magari, ha la tendenza al rischio ed è pron¬ ltstpssEnsmtmcelp to a spìngersi sino al limite estremo, correndo magari il pericolo di buttare tutto all'aria. Una donna, no: la donna è più oculata, non rischia mai al di là di certi limiti. La mentalità maschile è ancora molto diversa dalla nostra naturalmente: i maschi sono più forti, vogliono avere tutto subito, noi abbiamo dalla nostra la pazienza, la forza di persuasione. A volte, per esempio, mi rimproverano di essere troppo materna, troppo femminile. E magari, hanno ragione. Ma ci sono altre occasioni in cui ho ragione io». L'idea che tutta questa mole di responsabilità faccia capo a lei non la sgomenta per nulla? Non è mai colta da incertezze, dal panico di dover essere sulla breccia, di non potersi mai tirare indietro, mai permettersi di mollare e mostrarsi stanca? «Beh, accade spesso che io sia stanca; ma devo vincermL Essere stanca è un lusso che non mi posso concedere. Devo star sempre sulla breccia, come dice lei, e fronteggiare le situazioni a viso aperto. Ora, comunque, credo che il mio compito possa considerarsi esaurito. Ho raggiunto l'età e la tranquillità sufficienti per pensare a ritirarmi. Abbiamo fatto un'ottima combinazione con un'industria francese, la Stva/Sceta che mi permette di andarmene tranquilla. Mi sento come una madre, che ha ormai accasato bene la figlia». E ha già deciso se il suo successore sarà uomo o donna? «Uomo, senz'ombra di dubbio. E questo non perché io non abbia fiducia nel mio sesso, ma semplicemente perché non mi è stato possibile allevare qualcuna che mi succedesse. Vede, per affrontare un ruolo come quello che ricopro io, occorre un lungo tirocinio: bisogna essere addentro a tutte le trafile per poter superare qualsiasi difficoltà. E io, le confesso, non sono riuscita a trovare un elemento femminile che potesse avere la pazienza e la dedizione che richiede questo mestiere: perché non bisogna dimenticare che le donne sono molto disturbate dalla vita familiare, i figli, le preoccupazioni casalinghe». Lei, signora, non è mai stata distratta da altre cose? «Diciamo che sono stata sempre molto sfortunata per quanto riguarda la mia vita familiare e questo mi ha permesso di concentrarmi tutta sul lavoro: come le dicevo, la mia carriera è in gran parte frutto del caso. Non mi sono sposata perché il mio fidanzato non era gradito in famiglia: quindi, più che una scelta è stata una fatalità. Perché, se mi fossi sposata, ora probabilmente non sarei seduta su questa poltrona, a parlarle. Vede, io sono una donna all'antica, di quelle che privilegiano la famiglia sul lavoro». Se si volta indietro, cosa prova? Rimpianti, nostalgie? «Io non sono una che si volta indietro. Bisogna guardare avanti, al futuro, sempre. E quando lascerò questo posto, sarà senza rimpianti. Ho tante cose di cui occuparmi e di cui mi sono privata sino ad oggi: leggere, viaggiare, andare a teatro, fare lunghe passeggiate col mio cane. MI riprometto, di cominciare a vivere...». Donata Gianeri Marcella Novo, amministratore delegato della Zùst Ambrosetti

Persone citate: Ambrosetti, Giovanni Zùst, Marcella Novo, Novo

Luoghi citati: Italia, Londra