«Stato, non uccidere»

«Stato, non uccidere» Appello a 100 Paesi dov'è rimasta la pena di morte «Stato, non uccidere» In questi giorni Amnesty International sta lanciando contemporaneamente in tutto il mondo una nuova campagna per l'abolizione della pena di morte. Attualmente sono 53 i Paesi che l'hanno cancellata dal loro codici: altri 27, pur prevedendola, da dieci armi non l'applicano più e vengono perciò considerati abolizionisti di fatto. Negii ultimi dodici anni il movimento abolizionista ha acquistato forza: un ventina di Stati — tra i quali Francia, Spagna, Olanda, Canada, Portogallo, Germania dell'Est — si sono aggiunti all'elenco degli abolizionsti. Tuttavìa il cammino da percorrere prima di vedere la scomparsa totale della pena di morte è ancora molto lungo: un centinaio di Stati la mantengono in vigore e continuano ad applicarla, per punire non solo l'omicidio ma anche reati minori e che non comportano alti di violenza. In alcuni Stati (Amnesty esemplifica citando Iran, Iraq, Turchia, Etiopia, Giordania, Somalia, Cina) la pena capitale è usata come strumento di repressione politica. Questa campagna di Amnesty cade nell'anno centenario del Codice Zanardelli che abolì la pena di morte in Italia, n nostro Paese fu uno dei primi Stati abolizionisti. Ma il fascismo reintrodusse la pena capitale nel 1926, quando creò il Tribunale speciale per i crimini contro lo Stato, e cinque anni dopo, con il codice Rocco, la estese a reati comuni. Nel 1944 fu abolita nell'Italia libera e nel 1948 un'apposita legge ne ribadi la soppressione, in conformità con il dettato costituzionale. Eppure sette anni fa il msi si fece promotore dell sua reintroduzione, con una campagna che vide schierarsi gli italiani a favore o contro con scelte di carn po che spesso non coincisero con singole posizioni ideologiche o partitiche. Nel lanciare il suo appello ai governi dei cento Paesi che conservano la pena di morte Amnesty fa forza'sull'argomento che tale pena viola i diritti umani fondamentali riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti d eli 'uomo : il diritto alla vita e il diritto a non esse re sottoposto a punizioni o trattamenti crudeli, inuma ni e degradanti. Tuttavia, nella discussione prò o con tro la pena di morte, gli argomenti addotti a favore dell'abolizione (l'esperienza mostra che la pena di morte non è un deterrente efficace per la criminalità; inoltre gli eventuali errori giudiziari sono resi irreparabili) ven gono respinti da chi è favorevole ad essa e sostiene che la pena deve essere pari al reato commesso. Che deve avere funzione deterrente di ammonimento e di esempio, per scoraggiare i delinquenti. Questi sostengono che la pena di morte «è giusta» perché è corrispettiva al delitto commesso; gli abolizionisti affermano che essa quanto meno «non è utile», perché non ha forza adeguatamente intimidatrice. In una questione cosi importante e vitale si vorrebbe poter individuare un argomento razionale in base al quale prendere posizione. Ma il pensiero moderno non è ancora riuscito a fare completa chiarezza sul problema teorico della pena di morte, n Beccaria, 1784, so- stenne che la pena capitale non è «né utile né necessario: era sufficiente, per lui, nell'interesse della società, che le pene deterrenti fossero certe e avessero carattere di intimidazione. Ma Kant e Hegel sostennero la posizione contraria: «Se egli ha ucciso—dice Kant—egli deve morire. Non vi è nessun surrogato, nessuna commutazione di pena che possa soddisfare la giustizia». Robespierre, invece, il maggior responsabile del Terrore ri voluzionario, era contrario alla pena di morte: purtroppo mai causa migliore fu sostenuta da un avvocato meno credibile. Gli antichi, non si poserò neppure il problèma se essa fosse lecita. Secondo Plato ne, la pena deve servire da medicina per guarire il colpevole: ma se costui è inguaribile — e questo si deduce dalla natura e dalla gravità dei crimini commessi — «la pena per costui sarà la morte; e l'esempio della sua morte sarà efficace per gli altri». Si riteneva che lo Stato fosse paragonabile a un organismo vivente e che, come quando un membro del corpo è irrimediabilmente malato lo si amputa per sai vare il vivente, altrettanto si dovesse fare con il criminale macchiatosi di gravi delitti Seneca afferma che la leg¬ ge dello Stato si propone tre scopi: emendare II colpevole infliggendogli una condanna a tempo, quando le sue colpe non sono enormi, o rendere migliori gli altri cittadini con l'esempio delle condanne capitali e garantire la sicurezza pubblica. Perciò Nerone, che (come ci racconta il suo consigliere Seneca) pur non vorrebbe mandare a morte certi malfattori, infine si decide ad apporre la firma sotto le condanne capitali: l'interesse dello Stato (ciò che si riteneva fosse l'interesse dello Stato) doveva stare al primo posto. n pensiero cristiano dei primi secoli in alcune sue manifestazioni radicali condannò la pena di morte, giungendo sino a definire l'uccisione dei malfattori nei giochi gladiatori come «un omicidio voluto dallo Stato» e a vietare ai cristiani di assumere l'accusa in tribunale quando l'accusato avesse commesso un delitto passibile di condanna a morte («non c'è differenza tra l'uccidere con la spada e l'uccidere con un'arringa»). 'Pertanto — affermava Lattanzio—a riguardo drl comandamento divino di non uccidere non si può introdurre nessuna eccezione: uccidere un uomo è sempre un delitto». Di qui, con rigore, ricavava come conseguenze la condanna e 11 rifiuto del servizio militare, della pena di morte per i malfattori, dell'infanticidio e dell'aborto. Tutto questo Lattanzio sosteneva prima dell'editto di Milano; ma poi, in regime costantiniano e tanto più in seguito nell'impero divenuto cristiano, queste posizioni furono parzialmente abbandonate: si continuò a condannare l'infanticidio e l'aborto, ma non più il servizio militare e la pena di morte. Poiché oggi nessuno è più disposto a considerare lo Stato come un valore assoluto e si riconosce invece preminente il valore di ogni singola persona umana, un ulteriore passo avanti della sensibilità di tutti potrà ridurre la distanza tra certi settori dell'opinione pubblica e le acquisizioni culturali e giuridiche più avanzate, contrarie alla pena capitale. Si tratta di arrivare a riconoscere che a nessuno, né agli individui né agli Stati, può essere attribuito il diritto di vita e di morte nei riguardi di un uomo. L'argomento decisivo per condannare la pena di morte — come ha detto Norberto Bobbio — «non può essere desunto che dall'imperativo morale "non uccidere da accogliersi come un principio che ha valore assoluto». Italo Lana Per i primi cristiani la condanna capitale era sempre «un delitto» Per Cesare Beccaria due secoli fa non era «né utile né necessaria» Per Norberto Bobbio «un imperativo morale» nega il diritto di vita e di morte agli Stati