Biagio di Giorgio e le Madonne incantate

Biagio di Giorgio e le Madonne incantate A VENEZIA PER RISCOPRIRE UNO DEI GRANDI PITTORI DALMATI DEL PRIMO '400 Biagio di Giorgio e le Madonne incantate VENEZIA — Si chiamava Blaz Jurjev Trogiranin, tradotto Biagio di Giorgio da Traù (Trogirì. Era uno dei migliori pittori dàlmati del primo '400, vagante tra una città e l'altra della costa, da Spalato a Traù, da Sebenico a Zara. L'ultimo rappresentante del <-gotico fiorito- in una terra sofferta e inquieta, strozzata dai turchi da un lato e da Venezia dall'altro. Tempi duri, in cui Biagio di Giorgio riesce tuttavia ad avviare botteghe e a diffondere tra conventi, confraternite, chiese di città e campagna, polittici dorati e colorati, Madonne dagli occhi incantati, crocefissi assorti. E oggi, quasi per un gioco del destino, è proprio la Serenissima a dedicargli la prima mostra italiana e a presentarlo con tutti i suoi quattordici dipinti, cui se ne aggiungono una decina di scuola o bottega, nella chiesa di San Bartolomeo (sino al 4 giugno). Un catalogo (ed. MCG) raccoglie ì risultati di una cinquantina d'anni di ricerche. Biagio di Giorgio da Traù, attivo dal 1412 al 1448, non è famoso. Stimato ai suoi tempi, è uno dei tanti maestri dimenticati, che la moderna storiografia sta ricostruendo. Uno di quei pezzi di mosaico che. aggiunti agli altri, finiscono col fornire il disagno storico, sociale e artistico di un'intera regione. Dagli Anni Venti del '900 a oggi, storici dell'arte, conservatori, archivisti jugoslavi, hanno messo in luce, attraverso documenti e opere, un'intensa e dinamica atti- vita sulle coste della Dalmazia, quella della scuola pittorica dàlmata, vivace, che pur ispirata a Venezia o alle città marchigiane, ha caratteri propri, che si protraggono con originalità dalla fine del 1300 alla metà del 1500, per poi scadere. Durante la dominazione veneziana, dal Venti al Sessanta del 1400, emergono quattro personalità, il Maestro del Crocefisso di Tkon, Nicola Vladanov di Sebenico, Dvjam Vusckovié e Biagio di Giorgio da Traù. Biagio è il maggiore e il più documentato. Ma per molto tempo un enigma: mentre i documenti d'archivio profilavano una precisa, anche se non completa biografia, il bagaglio di opere che Karaman, Fiskovió e Prijateli (autore della prima monografia sul pittore nel 1965) raccoglievano e ricomponevano sotto il nome di Biagio o della botte¬ r à i o l r e o , , i ù o i e n, e l al e¬ ga, era anonimo. Nel 1961 una piccola ma preziosa firma in caratteri gotici («Biagio dipinse il 2 giugno 1436..) spuntava sotto il San Giacomo scolpito nel polittico con San Giacomo e Santi (Museo d'arte sacra, Traù), eseguito per la confraternita del santo nella chiesa di Bua, vicino a Traù. Un'opera a cinque scomparti, non tra le migliori, ma che confermava in gran parte il corpus anonimo raccolto. Il pittore, ancora oggi abbastanza problematico, riemergeva così più chiaramente. Dove e quando nasce? Forse a Lapac, nella Lika, nell'entroterra tucino alla pianura di Krbava, nell'ottavo o nono decennio del 1300. Si forma probabilmente a Venezia all'inizio del 1400 presso artisti come Niccolò di Pietro, Zanino di Pietro, Iacobello da Fiore, Gentile da Fabriano, esponenti del gotico internazionale. Ma non perde d'occhio le Marche, al di là del mare. Nel 1412 «Magister Blasius pictor» è a Spalato, allora il centro più importante del Paese, dove s'impegna a ornare, con stelle e fiori, la volta in legno dell'altare maggiore della chiesa di San Francesco. Ha certo bottega con collaboratori e intagliatori, da cui esce quel suo grande e bel Crocefisso di oltre due metri, fatto per la stessa chiesa, tutto giocato sui toni verdi, e con un trasparente e caratteristico perizoma. Ma l'insofferente Biagio non si ferma a Spalato. Fa lunghe tappe a Ragusa, Traù, Curzola, Sebenico e Zara, alla ricerca di lavoro e libertà. Negli anni 1419 e 1420 è a Traù, ma nel 1421, quando la città passa a Venezia, fugge a Ragusa ancora libera. Qui porta la famiglia (avrà un paio di mogli nobili, Draga e Anka), diventa il pittore ufficiale del Comune, che gli passa 30 perperi per l'affitto della casa e della bottega (che diventeranno 60 quattro anni dopo, ma mai gli SO richiesti). E assume il garzone Martin Petkovic. Si ferma sette, otto anni: ma di questa lunga permanenza non rimane che un altro Crocefisso (chiesa di Stagno), un capolavoro di sapore veneziano, dipinto per una confraternita di monache francescane. A Traù, dove ritoma nel 1429, forse deluso per gli SO perperi non concessi, e nell'isola di Curzola, dove lo troviamo nel 1431, nascono i polittici più belli, le Madonne più affascinanti e tutta una serie di santi, lunghi e sottili, gentili e cortesi, inseriti in nicchie dorate dai pinnacoli fiammeggianti, in dialogo tra loro, ma chiusi e ammutoliti verso chi li guarda. Colpiscono gli occhi sgranati che ricordano stranamente Alvaro Pirez, attivo in quegli anni in Toscana, ma che sono originali di Biagio. Lavori realizzati per confraternite benedettale e francescane, con cui il pittore ha strette relazioni- la splendida Madonna col bambino e santi (Museo di San Marco, Curzola), eseguito prima del 1431 per la cattedrale di quella città, che il Longhi, nel 1946, aveva riferito alla cerchia di Zanino, la preziosa Madonna allattante, dallo sguardo perplesso e assorto per San Giovanni Battista di Traù (oggi al Museo dì arte sacra), la Madonna del roseto del 1433. di rara poesia, con quel cespuglio di rose fiorite e le dita affusolate. I due polittici con San Giacomo e santi, firmato e datato 1436, e Santa Caterina e santi, caratteristici con quel pannello centrale scolpito e dipinto. La grande Imago Pietatis, per la chiesa di Ognissanti di Curzola, insolitamente drammatico e grottesco. E anche due curiose pagine miniate del Libro della confraternita dello Spirito Santo di Traù. con ì ritratti dei confrati tra cui è probabile ci sia quello di Biagio stesso. Il pittore rimane in quella città sino al 1442: paga debiti, incassa quattrini, fa da tutore al contratto nuziale di una serva (note sempre divertenti), riceve eredità. Percorsi di vita non lontani da quelli dei nostri artisti: erano i tempi. Ultima tappa, Zara, dopo Sebenico. Qui passa gli ultimi sei anni di vita, prendendo la cittadinanza, dipinge per i frati di San Francesco e il 26 ottobre 1447firma la Madonna del Castello «Blasius de ladra pirud» (-Biagio di Zara dipinsi-). Una strana Madonna, dagli occhi stretti e lunghi simile a un'icona bizantina e non in linea con il resto. Ha diviso per anni la critica, ma adesso la si accetta come ultimo lavoro del 'vecchio Biagio- che copia per volere dei committenti una più antica immagine sacra. Può darsi. Ma siamo agli sgoccioli nel 1443 Un bel testamento, pieno di lasciti religiosi. Sono le ultime notizie. Nel 1450 è già morto. Maurizia Tazartes Biagio di Giorgio da Traù: «San Giacomo e Santi» (tempera su legno), in mostra a Venezia