Morale della fuga di Lorenzo Mondo

Morale della fuga IL NUOVO ROMANZO DI PONTIGGIA Morale della fuga Un giocatore invisibile che coltiva l'arte della fuga e si lascia sorprendere appena in un raggio d'ombra. Ho citato in un solo periodo i titoli di tre romanzi di Giuseppe Pontiggia per evidenziare, attraverso una specie di corto circuito, la continuità di una tematica che ricorre anche nel suo ultimo libro, La grande sera (ed. Mondadori). Pontiggia è uno scrittore colto, dotato di solidi strumenti crìtici, in grado quindi di fingere un tipo di romanzo che, nel corso della lettura, finisce per rivelarsi invariabilmente altra cosa. L'affondo nei riti e nei comportamenti della società contemporanea — quella emergente e che colora di sé un segménto del tempo — è così informato e agiato che lascia pensare, per un momento, al progetto di un romanzo realistico. L'accadere di un fatto oscuro, inquietante, che mobilita una serie di attitudini investigative, lascia intuire la trama serrata di un romanzo poliziesco. G accorgiamo invece che la soluzione non esiste, oppure è già implicita nei dati offerti in partenza, e che i veri portatori del mistero sono coloro che intendono svelarlo. Inoltre la sobrietà descrittiva, sia che riguardi gli ambienti o le persone, sta lì a dimostrarci che l'autore non si lascia imprigionare dagli stracci del tempo, è sensibile soprattutto alla realtà interiore. Provate a immaginare un coleottero morto sul bordo di un prato. Le elitre e il ventre sono gemmei e intatti, da certi piccoli scuotimenti e vibrazioni sembra addirittura vivo. In realtà è pieno di formiche che Io disseccano e lo trasportano dal di dentro. Il romanzo di Pontiggia è pieno di questi gusci vuoti, invasi dalle formiche di una coscienza che giudica e si autogiudica. Proviamo a calarci, per esserne persuasi, nella magra densità della Grande sera. In un pomeriggio di giugno, in una grande .città, Uh uomo manca al convegno con l'amante. Non era mai accaduto, e l'attesa prima, poi la ri-, cerca, che cominciano sotto cattivi presagi, diventano affannose e turbate. Ne sono coinvolti a raggio sempre più largo affetti domestici e clandestini, i famigliari, gli amici, i soci in affari. Il punto di raccordo per tutte queste persone è offerto dal fratello Mario che un poco alla volta si rivela una copia depotenziata e avvilita dello scomparso. Gli somiglia fisicamente; per quanto ne sappiamo, parla come lui intercalando nel discorso brevi sentenze. Fallito nella vita matrimoniale, disamorato del suo lavoro di critico cinematografico (è un apostata della fede giovanile nello specifico filmico), segnato precocemente dalla vecchiaia dello spirito, percorre la mappa di tutti gli appuntamenti esistenziali del fratello, facendo affiorare per contrasto qualche tratto della sua fisionomia nascosta. Ogni incontro, per una sorta di amebica generazione, ne determina altri che ci avviluppano in un piccolo universo urbano disegnato con precisione crudele, appena velata di humour. Pontiggia ci accompagna con passo sornione in una serie di ambienti e situazioni godibili per se stesse, anche se cospirano all'equilibrio e al senso complessivo del romanzo. Oltre all'appostamento nei pieda-terre in cui il fuggitivo (a questo punto ci è concesso chiamarlo così) soleva diluire la possessività delle due amanti, partecipiamo con la moglie Giuba a una serata di poesia erotica e con l'amico Colleoni, mentitore per costituzione, alle mistiche essudazioni di una palestra Zen. A un ricevimento mondano facciamo la conoscenza del finanziere Terragni, nel quale l'hobby della teologia è soltanto la proiezione del suo smarrimento per i problemi insolubili della contabilità celeste e cosmica. L'investigatore privato Bonghi, rovesciando il vezzo dei favolisti, immagina gli uomini, che avversa profondamente, come se fossero animali: e finisce così con l'aggirarsi in una perenne preistoria popolata di bruti. Imbriani, analista selvaggio, fatica a rintuzzare le contestazioni della cliente di cui è innamorato. Tra rigovernature matrimoniali e rapacità competitive, ci troviamo davanti a esistenze frustrate, e ' afose, maniacali, quando non siano francamente sinistre e disperate. Qualunque sia la causa della scomparsa, non si può che essere solidali con il grande assente che si è sottratto a una ragnatela così soffocante. Non è un caso che il giovane nipote Andrea — detesta la menzogna, la doppia vita, i valori di cui le anime mone rimpiangono il tramon^ to — alla fine del romanzo si allontani di soppiatto dalla casa dei genitori. Le stesse persone che si sentono tradite dal l'abbandono, sono costrette ad ammirare quella scelta, il coraggio di scuotersi di dosso una falsa vita: è un barlume di consapevolezza che già basta a riscattarle. Accade un poco, nella scomparsa, ciò che accadeva all'improvvisa apparizione dello straniero in Teorema di Pasolini. Tutto diventa più forte e chiaro se si presta attenzione ai modi espressivi di Pontiggia. Procede per brevi capitoli in cui abbozza generalmente il personaggio attraverso elementi caratteriali e morali pi ttosto che fisici: passa poi alla presentazione in presa diretta, alla riprova che nasce dal confronto con gli altri, attraverso un dialogo che diventa pressoché esclusivo e si distende con grande naturalezza. Ancora più singolare è il fatto, già avvertibile in minore misura nel Giocatore invisibile, che la pagina di Pontiggia rivela, a una attenta schermografìa, che i personaggi parlano per aforismi e sono soprattutto definiti da aforismi. Basta aprire il libro per trovare, in una scala ricchissima di tonalità, il sorriso e la perfidia, l'asettica ma talora partecipe rilevazione di un gesto, di una pena comune. «Non facciamo che passare da un'età decisiva a un'altra, finché un attimo decide, questa volta definitivamente, di tutto». Questo è Mario che annovera le proprie sconfitte. E questa è Giulia, nel momento in cui si lascia persuadere a sua volta di non scrivere più: «C'è una solidarietà, letale e affettuosa, con chi decide di rinunciare all'essenziale; i più vi riconoscono la propria condizione e contribuiscono, con una omertà silenziosa, a replicarla negli altri» In tralice, è anche possibile cogliere una dichiarazione di poetica: «Se voleva apparire sincero doveva non esserlo scopriva così alla fine di esserlo stato: principio non solo dell'arte di amare, ma di ogni arte»., Si potrebbe facilmente trarre dalla Grande sera quadernetto di massime, a dimostrazione di quanto sia meditato, costruito questo romanzo che corre invece così limpido e leggero. A confer ma anche che sotto le spoglie del narratore Pontiggia si occulta un affabile per quanto severo moralista, un raro — per i nostri anni e per la nostra letteratura — scrittore di «caratten» Lorenzo Mondo