I segreti di Peter Brook di Masolino D'amico

I segreti di Peter Brook A TAORMINA, «PREMIO EUROPA PER IL TEATRO» I segreti di Peter Brook TAORMINA — La consegna a Peter Brook del secondo premio «Europa per il teatro» (11 primo fu assegnato alla regista e animatrice francese Ariane Mnouchkine), attribuito da una giuria intemazionale e consistente in 60 mila ecu più una scultura di Arnaldo Pomodoro, sta venendo solennizzata a Taormina con un programma di ben tre giornate. La più divertente promette di essere quella di oggi 7 maggio (la terza), con le testimonianze di parecchi collaboratori storici del festeggiato, attori come Olenda Jackson, Raf Vallone, Bruce Myers, registi come Andrej Serban e Charles Marowitz, autori come John Arden e Mar-garetta D'Arcy, seguite da una conferenza di Brook e un dibattito con il medesimo; ve ne riferirò a suo tempo. La seconda giornata, quella di ieri, culminata in un pranzo ufficiale con la consegna del premio, ha Invece dato spazio agli interventi degli eruditi, in tre sezioni intitolate a Brook e Shakespeare (per esempio, il critico del Guardian Michael BilUngton ha parlato della Royal Shakespeare Company, di cui il regista fu tra 1 fondatori), a Brook e la letteratura etica (per esempio, David Williams, autore di un libro sul premiato, ha detto del Mahabharata), e infine all'Estetica di Brook, intestazione generica sotto la quale si sono infilate tante cose. Naturalmente non c'era bisogno di ascoltare proprio tutti gli interventi per convincersi dell'importanza di Peter Brook nel teatro contemporaneo; neanche il partecipante più distratto avrebbe infatti potuto fare a meno di essere colpito da una carriera che non ha uguali. Nato nel 1925, a vent'annl Peter Brook dirigeva già il suo primo Shakespeare a Stratford-on-Avon; altri venti anni dopo, ormai acclamato come un maestro — e avendo dietro di sé pietre miliari come il Tito Andronico con Laurence Olivier e il Lear con Paul Scofield, oltre a fortunati adattamenti di autori contemporanei come Anouilh, Miller, Tennessee Williams; essendo di casa a Broadway e come regista lirico al Metropolitan e al Covent Garden; e avendo anche diretto alcuni film non banali — voltò risolutamente le spalle al teatro istituzionalizzato e Imboccò una strada del tutto nuova, sperimentale, che passando anche per la ricerca di una lingua teatrale primigenia, fatta di suoni elementari (il leggendario Orghost a Persepoli), si sarebbe conclusa con l'insediamento a Parigi, alla testa di un gruppo di attori di più nazioni, e la definitiva sostituzione dell'inglese natale anche se non ancestrale (1 genitori di Peter Brook sono ebrei russi) con un francese accentato, neutro, proposto un po' come la nuova koiné dell'Europa artistica. Irresistibile prologo a tutto ciò era stato il duetto con cui le cerimonie si erano aperte venerdì pomeriggio, un dialogo in francese, diretto dal coordinatore generale Georges Banu, fra Peter Brook e il suo vecchio amico e collega, anche come guru, Jerzy Grotowski. Stimolati da alcune domande del presentatore, anche tecniche come quella sul rapporto voce-corpo, domande alle quali si sono ben guardati dal rispondere altro che con aforismi o con aneddoti-parabola di tipo zen, i due affascinatori hanno detto cose non sempre scontate sulla propria idea del teatro, inteso in primo luogo come lavoro indefesso, incessante, incontentabile. Entrambi hanno parlato soprattutto degli attori. Grotowski in particolare ha dedicato parole ammonitrici al facile successo di certi giovani gruppi italiani: siete come calzolai, ha detto, le cui scarpe saranno giudicate fra cinque anni, quando non saranno più nuove (in altre parole, ora siete tanto carini ma se non imparerete bene il mestiere non durerete a lungo). Dal canto suo Brook ha detto che l'attore non deve cercare di essere se stesso, e nemmeno di essere un altro (di annullarsi nel ruolo), ma deve aspirare all'assoluto, all'ideale puro, all'impossibile, pur sapendo di non poterlo forse raggiungere maL Tanto lui quanto il regista, aveva detto in precedenza, non dovranno comunque mai perdere di vista il pubblico; l'arte del teatro è anche la ricerca del ritmo ideale, della comunicazione perfetta. Pro vammo a rallentare un disco con l'inno inglese per vedere quando diventava irriconoscibile, ha raccontato il ma go, e l'esperienza ci insegnò cosa si deve evitare. E qui forse, nella costante, concreta preoccupazione di arrivare alla gente, di stabilire un contatto con gli spettatori, Brook ha rivelato il vero segreto della presa perenne della sua opera, oltre forse alla ragione per cui gli apostoli dell'avanguardia più tetra lo hanno periodicamente giudicato superato; salvo quando è il caso, come nella lieta occasione odierna, di riannetterselo. Masolino d'Amico Taormina. Jerzy Grotowski (a sinistra) e Peter Brook durante il dialogo sul teatro, soprattutto inteso come incessante lavoro

Luoghi citati: Europa, Parigi, Persepoli, Stratford, Taormina