INCONTRO CON LA POETESSA ESULE RATUSINSKAJA di Luciano Curino

I miei poemi scritti sul sapone INCONTRO CON LA POETESSA ESULE RATUSINSKAJA I miei poemi scritti sul sapone DAL NOSTRO INVIATO MILANO — La poetessa russa Irina Ratusinskaja, processata nel 1982 per le sue poesie di «contenuto antisovietico», doveva scontare una pena di sette anni di lavori forzati e cinque di esilio Interno. La condanna doveva dunque terminare nel 1994. Irina è tornata Ubera, graziata da Gorbaciov, nell'autunno '86 alla viglila del vertice di Reykjavik. Nel lager ha scritto circa 150 poesie. -Scrìvevo su pezzetti di carta che riuscivo a trovare e che distruggevo dopo avere bene impresso la poesia nella memoria. Nei quattro mesi che ho passato in cella d'isolamento non avevo carta e scrivevo sul sapone con una scheggia di fiammifero. Imparati quei versi, strofinavo il sapone fino a far scomparire ogni traccia e ne scrivevo altri: Trentacinque anni, è nata a Odessa, laureata in fisica, sposata: 11 marito è stato privato del lavoro per il suo impegno a favore dei diritti civili. Vive in esilio a Londra, il Times l'ha definita uno dei maggiori poeti sovietici viventi. Ha pubblicato Grigio è il colore della speranza, diario dei suol anni nel lager. Un bel libro. In Italia è uscito da Rizzoli e lo ha recensito Serena Vitale su Tuttolibri VII marzo. L'altra sera Irina Ratusini skaja e Piero Ostellino lo hanno presentato a Spazio Krizia. «£' la straordinaria testimonianza di chi è stato ,in un gulag di lavoro duro dove c'era il problema di ■ conservare la propria di\gnità-, ha detto Ostellino i Nel suo libro la poetessa scri- ve: 'Non sono riusciti a metterci né in ginocchio né carponi: noi non volevamo perdere la nostra fisionomia umana!». — Perché nel suo libro dice che bisognava cercare di non odiare 1 propri aguzzini? •L'odio distrugge l'anima e rivola anche paura. Se si odia una persona vuol dire che, in un certo senso, se ne ha anche paura. Di questo avevamo parlato tra noi c avevamo deciso che odiare sarebbe stato pericoloso, non dovevamo assolutamente dimostrare di avere paura. Abbiamo fatto così e abbiamo visto che loro, i carcerieri, sentendo che non c'era da parte nostra odio, non sapevano più a che cosa appigliarsi, non capivano e sono stati loro ad avere paura di noi». — Lei afferma che il detenuto politico non deve sognare la libertà perché il sogno lo indebolisce. Vuole spiegare? «La parola libertà in Unione Sovietica ha due significati. Libero è chi è fuori dal lager e sta a casa sua, anche se penso che non si possa considerare del tutto libero chi deve continuamente ubbidire a stupidi ordini. Nel lager sognare di tornare a casa era pericoloso perché faceva il gioco dei carcerieri. Se capivano che una di noi non pensava ad altro, le dicevano che se voleva tornare a casa firmasse una petizione, poi un altro foglietto da firmare e altri ancora. Ne fiaccavano la resistenza e quella era nelle loro mani, potevano farne una informatrice del Kgb'. — E l'altro significato di libertà? •E' la libertà di parola, di dire quello che si pensa. Nel campo di concentramento questa libertà l'abbiamo avuta. Eravamo senza famiglia, con poco cibo, al freddo, in celle con topi e vermi, tra persecutori crudeli e ottusi, eppure nessuno poteva farci dire cose di cui avremmo avuto vergogna. Quella libertà di parola che riuscivamo ad avere nel lager valeva mollo più di qualsiasi altra libertà. Avevamo più libertà di parola di quelli che vivevano fuori dai lager perché non avevamo niente da perdere». — Per quale reato è stata condannata? -Scrivevo poesie. I russi hanno sempre tenuto in grande considerazione i poeti, e le autorità, non soltanto quelle sovietiche ma anche quelle di altre epoche, hanno perseguitato in una maniera o nell'altra i poeti considerati ostili. Soprattutto quelli che si rivolgono al popolo e parlano in loro nome. Le mie poesie erano ritenute antisovietiche, dunque pericolose, e sono stata condannata. Una condanna che non è nemmeno la peggiore per questo reato. Qualche poeta è morto in cella». Perché è stata liberata dopo quattro anni, senza avere scontato l'intera pena? «La mie poesie, che erano proibite ma circolavano clandestinamente, sono arrivate all'estero, e pubblicate. In Occidente si è saputo della mia prigionia, sono diventata un caso, ci sono state manifestazioni per la mia liberazione. Nell'Urss, quando un detenuto politico diventa un caso e in Occidente la sua storia fa troppo rumore, le autorità preferiscono liberarsene: — Lei afferma che in Unione Sovietica sono ancora molti i prigionieri politici: che cosa si può fare per loro? 'Scrivere su un foglio: "Perché continua a tenere dietro le sbarre uomini e donne colpevoli solo delle loro opinioni?", metterlo in una busta e indirizzarla a Gorbaciov, Cremlino, Mosca. Arriverà, non nelle mani di Gorbaciov, ma nelle mani dei funzionari dell'apparato. Quando con le loro piccole calcolatrici avranno assommato un bel numero di queste lettere, cominceranno a preoccuparsi, perché tengono di più alle opinioni che vengono dall'Ovest che a quelle dell'interno dell'Urss. Tante di queste lettere e la cosa funziona». — Nel libro parla della fede religiosa di alcune sue compagne. Com'è che donne cresciute in una cultura ateista finiscono con il trovare Dio? 'Eravamo arrivate a Dio per vie diverse. Nel mio caso, devo ringraziare un'insegnante che a scuola continuava a dirci che Dio non esiste, che soltanto le vecchine ignoranti ci credono. Faceva una propaganda ateista noiosa, ma cosi noiosa, e tanto insistente, che a un certo punto mi sono domandata: perché spreca tanto tempo per parlare di qualcosa che non esiste? Incuriosita, ho cominciato a cercare la parola Dio nelle pagine dei nostri classici, Puskin, Tolstoi. Dostoievski, e ho scoperto che Dio ci ama. Tra tanto odio si sente più forte il bisogno d'amore'. Luciano Curino

Persone citate: Gorbaciov, Irina Ratusinskaja, Ostellino, Piero Ostellino, Puskin, Serena Vitale