Le sette vite dei tre Bee Gees

Le sette vite dei tre Bee Gees Il gruppo ha aperto a Dortmund il tour mondiale: debutto italiano il 25 a Torino Le sette vite dei tre Bee Gees I protagonisti della musica giovane degli Anni Ottanta riservano ancora molte sorprese - Un caldissimo concerto con un'ottima band alle spalle - Struggenti armonie vocali, un'infilata di melodie perfette che ha il sapore della storia DAL NOSTRO INVIATO DORTMUND — Se un decennio potesse avere una sigla musicale come uno spot qualsiasi, queUa degli Anni Ottanta sarebbero di sicuro i Bee Gees, che nel 1978 con Staying Alive e Night Fever nel film La febbre del sabato sera chiusero simbolicamente un'epoca di conflitti sociali e ne inaugurarono un'altra tutta tesa a ballare, apparire e dimenticare. Di quel disco vendettero 50 milioni di copie nel corso degli anni, come se il mondo non si stancasse mai di risentire la propria colonna sonora. Poi il vento cambiò ancora, e se John Travolta non si è mai ripreso da quel film, la stessa sorte pensavamo fosse toccata ai tre fratelli anglo-australiani. Siamo perciò arrivati a Dortmund, per l'apertura del tour mondiale di Barry, Robin e Maurice Oibb, con la sensazione di dover assistere a un requiem. Ci chiedevamo che cosa avessero ancora da dire, anche per via degli ultimi dischi. Esp dell'87 avrà venduto due milioni di copie ma era una bella barba; e anche questo One appena uscito, ad esser sinceri, resta un disco chiuso nei canoni annotanti della dance, fa addirittura il verso al loro diretto successore Michael Jackson (che a sua volta dai Bee Gees ha attinto) anche se poi si apre a qualche episodio più felice. Beh, sorpresa: abbiamo dovuto prender atto che questi tre hanno sette vite, una professionalità di ferro e un passato così lungo e felice, da poter trasformare un concer to in un appuntamento (ma gari non piacevole, però cai dissimo) con la memoria; i stata una serata di musica per lo più elegante e appassionata, confezionata egregiamente, in cui abbiamo ritrovato quel loro gusto antico e obsoleto degli impasti vocali di derivazione country, solo qualche volta arrugginito dalla mancanza, d'esercì zio e bisognoso ancora di ro daggio. Un'ottima band alle spalle, di cui fa parte per tutti il grande batterista Chester Thompson; un set molto raffinato che ha il suo punto focale nelle luci mobili a soffitto; un repertorio che un'intera nottata di musica non basterebbe forse ad esaurire. Da non perdere, soprattutto per gli ex-ex teenagers: in Italia il debutto è al Palasport di Torino, il 25 maggio; il 28 al Palatrussardi di Milano, il 27 al Palaeur di Roma. I tedeschi sono assai più tranquilli di noi, alla Westfalenhalle non c'è stato neanche bisogno del servizio d'ordine; forse anche perché fra gli undicimila presenti l'età media era piuttosto alta, più sui trenta (e oltre) che sui venti. Si saranno alzati a ballare in quattro, ma tutti hanno dato benzina alla band con molti fiammiferi accesi; alla fine, nel party seguito al concerto, il bel Barry ci ha detto di aver sentito molto il calore della folla. Chissà in Italia I tre fratelli, che hanno al seguito le rispettive mogli, da ben 15 anni non cantavano insieme in Europa; dopo il successo della Febbre ognuno aveva preso strade diverse: Robin come cantante, Barry come produttore, mentre Maurice è diventato autore di colonne sonore; forse è stata la morte recente e drammatica per droga del quarto fratello Andy (cui vie• ne dedicata in concerto How Deep Is Your Love) a rimettere insieme sulla strada questi vecchi ragazzi miliardari in un tour che durerà più di un anno. Barry ci ha raccontato di aver dormito profondamente, come il principe di Condé, prima di questa serata tedesca della storica riunione, e di esserne poi abbastanza soddisfatto. Ma all'inizio, con You Win Again un po' di freddezza e imbarazzo erano nell'aria, come se.i tre fossero a disagio nel riprendere ruoli ormai consegnati al passato, n concerto è decollato lentamente, fra brani nuovi e seminuovi, suoni impeccabili ma senz'anima, in attesa di esser scaldati. Sul palco viene dato spazio a ogni singola personalità e i tre stanno in prima fila lontano dalla band: Barry a un lato con la chitarra acustica, Robin al centro preoccupato della voce, Maurice 11 direttore musicale sta sull'altro lato, alla tastiera o al basso e ostentatamente manda avanti gli altri; si riscatterà cantando House OfShame, il più convincente brano di One. Dopo dieci canzoni, quando l'atmosfera è ormai tiepida, i tre si riuniscono a un solo microfono e Barry, il boss, annuncia un medley di vecchi successi. Qui, è solo chitarra acustica e voci, ed esplode la storia dimenticata di questo gruppo nato ai dischi nel 1983. Le armonie vocali si fanno struggenti con un'infilata di brani che basterebbero a riempire un concerto: Mr. Jones, Too Much Heaven, Heartbreaker portata al successo da Dionne Warwick, Come to Me sulla quale si sono esercitati milioni di innamorati. Niente di nuovo, d'accordo, e assolutamente niente di trasgressivo, anzi; ma il riaffiorare di queste melodie così datate e dimenticate, così perfette, qualche volta finte, ha il sapore dolciastro della memoria che perdona tutto. C'è Gotta Get a Message To You, che Mal cantò in italiano come Pensiero d'amore, c'è To Love Somebody, diventata da noi Cosi ti amo; ci sono le atmosfere country di Massachusetts e il gusto delle ballate lente che avevamo perso; le voci ritrovano la gioia dell'impasto in due ore che culminano in una esplosione finale molto americana. Ci si sente avvinti e anche i più refrattari avrebbero voglia, se non si fosse in Germania, di ballare. Marinella Venegonl I Bee Gees durante il concerto di Dortmund: non suonavano insieme in Europa da quindici anni