Psicoanalisi senza aureola

Psicoanalisi senza aureola POLEMICHE IN ITALIA A CINQUANTANNI DALLA MORTE DI FREUD Psicoanalisi senza aureola Due i motivi di inquietudine: la discussione critica sulle teorie originarie e la legge che istituisce l'albo professionale • Jervis: «I tre quarti della dottrina freudiana non regono più» • Vegetti Finn: «Un momento, è presto per smantellare tutto» - Il dibattito sulla gran domanda: la psicoanalisi è scienza o no? ■ I motivi di sofferenza nel bambino: nuove scoperte - Com'è cambiato il rapporto paziente-analista MILANO — Tira aria di tempesta, per la psicoanalisi in Italia, a 50 anni dalla morte di Freud. Accuse, discussioni, risentimenti. Un primo sussulto, un'inquietudine radicale riguarda la psicoanalisi come dottrina, come corpo culturale, come chiave interpretativa di disagi che solcano numerose esistenze. Quasi una crisi di identità, addirittura un terremoto che investe i diversi indirizzi in cui si è declinato il verbo freudiano. «Da noi la psicoanalisi è già in calo. In America è in estinzione*, annuncia Umberto Galimberti, filosofo e analista junghiano: «Troppo costosa, troppo lunga, e neppure verificabile nei risultati. Avanza invece la figura del consulente psicoterapico: ci si va come ci si rivolge a un avvocato o a-un commercialista. Io ho un problema, gli si dice, e quello in quattro, cinque incontri te lo risolve. Molto pratico, molto comportamentistico». «I tre quarti dell'apparato teorico della psicoanalisi non reggono più», incalza Giovanni Jervis, freudiano. «Ho fortemente ridimensionato il mio maestro Reich», aggiunge Luigi De Marchi, profeta della bioenergetica in Italia. Più olimpico, come si conviene a uno studioso del sapere, è l'epistemologo Lorenzo Magnani: «Dal punto di vista della creatività, del fiorire di iniziative teoriche, la psicoanalisi è molto viva; ma dal punto di vista clinico è in crisi». Qui tuttavia si annida l'accusa che incide di più, che più fa arrabbiare e discutere: la psicoanalisi non è scientifica, naviga tuttora in acque suggestive sì, ma pur sempre filosofiche e letterarie, senza solidi ancoraggi empirici. «Vecchia questione», commenta Silvia Vegetti Finzi, autrice di una recente e unica in Italia Storia della psicoanalisi (Mondadori). Un assillo già per Freud, un cavallo di battaglia per tanti denigratori. Come il logico Wittgenstein: per lui la psicoanalisi era una collana di metafore, quasi un mito. E famosa fu la condanna senza scampo che risuonó iti un simposio a Neiv York nel '58. Anche Popper si è dichiarato largamente insoddisfatto della psicoanalisi. Adesso il dibattito riprende quota sull'onda di un saggio appena tradotto di un tedesco-americano, Adolf Grùnbaum, «I fondamenti della psicoanalisi» (Il Saggiatore). Grùnbaum è severo ma paziente: non stronca, esorta anzi la psicoanalisi a far vedere quel che vale, a darsi uno statuto rigoroso, a verificare insomma Usuo operato. Sistemi e confronti cioè i risultati clinici che ottiene, avvii rilevazioni attendibili e inconfutabili. Proprio come fosse una scienza 'dura-, fisico-naturalistica. Allo psicoanalista Elvio Fachinelli vien quasi da ridere: «Freud ha inventato qualcosa che non è paragonabile a nulla di preesistente Qualcosa che rimane, come rimane per esempio il dialogo platonico, di cui nessuno si chiede se sia una scienza come la fisica». Intanto, fra le diatribe degli addetti ai lavori, la psicoanalisi prosegue un cammino strabico. Da una parte — osserva ancora Fachinelli — sembra quasi che essa si rinserri in una «fortezza burocratica», dove quasi prevarrebbe un «inquietante tendenza»; «spariscono i pazienti veri e propri e aumentano i futuri psieoanalisti». Le varie scuole, si arroccherebbero così in corporazioni chiuse, finirebbero per autoriprodursi sema ventate vivificanti nel sociale. Ma d'altra parte la psicoanalisi dilaga come sapere diffuso ed elementare, penetra proprio nel territorio, nelle strutture sanitarie d'ogni livello, fornendo «un ascolto preliminare» a diversi approcci terapeutici. C'è poi un secondo motivo di agitazione, in questo cinquantenario freudiano. Deriva dalla legge del febbraio scorso, dedicata all'Ordinamento della professione di psicologo. Prevede studi precisi e corsi di specializzazione in ambito universitario. Il suo scopo è di arginare il fenomeno delle psicoterapie selvagge. Ma molti analisti vedono minacciata la loro caratteristica professionale, temono che scivoli e si snaturi in gabbie burocratiche. Le schermaglie sono appena agli inizi, con malumori e rivalità s tra le categorie dei medici, degli psicologi e degli psicoanalisti. Il panorama tuttavia non va drammatizzato. Da quando è nata, la psicoanalisi è sempre vissuta di tensioni e scissioni. «Direi proprio che attraversiamo un periodo sano, appunto perché dialettico», osserva Vegetti Finzi. «Di contro la psicoanalisi conosce una fortuna planetaria. L'anno scorso è stata tradotta L'interpretazione dei sogni in Cina. E se ne annuncia la legittimazione irT Urss, dove il lavoro di- Freud era finora bandito come borghese e reazionario». «D'accordo sull'attuale fortuna della psicoanalisi, ribatte Jervis, però segnalo una novità: questa volta è dall'interno stesso dell'universo psicoanalitico che sorgono le domande più decisive. Non si tratta più solo di attacchi estemi». Jervis insegna Psicologia dinamica a Roma, è analista da 15 anni, ha collaborato con Basaglia (-dal '69 ho pero avuto con lui rapporti pessimi, specie sulla legge 180 che aboliva i manicomi: e non perché non fossero da abolire, ma perché a quelli non subentrava nulla»;. Non è iscritto alla Società psicoanalitica italiana <Spi), di Freud persegue un'interpretazione che riveli la sua attualità di metodo, al di là dei diversi e per lui caduchi aspetti della dottrina. Su questi problemi ha appena pubblicato La psicoanalisi come esercizio critico (Garzanti). «Lo ripeto: molti punti classici della psicoanalisi freudiana sono invecchiati». Jervis evoca lo stesso complesso di Edipo: «Va fortemente ridimensionato». E spiega perché: si è scoperto che nel bambino piccolo l'angoscia per il temuto abbandono da parte della madre risulta molto più importante della paura di castrazione o dell'invidia del pene. Il terrore di essere abbandonato provoca nelia dulto un sentimento di fragilità, di insicurezza e insufficienza, di spaesamento divorante. «Questo è uno dei più frequenti motivi di sofferenza». Ancora: Freud riteneva che il neonato non avesse rapporti con il mondo esterno, come una monade sbarrata: invece adesso si sa che ha rapporti intensi e strutturati. Freud pensava anche che il bimbo fosse attaccato alla madre in quanto portatrice di cibo: invece si e appuralo che l'attaccamento è indipendente dal succhiare il cibo. Insomma, come edificio dottrinario la psicoanalisi freudiana per Jervis è «in pezzi». Ha pagato i suoi tributi ai progressi della moderna psicologia sperimentale. Anche il rapporto analistapaziente è molto cambiato. E qui con Jervis concordano tutti gli analisti. Una volta l'analista era quasi il depositario di verità, di modelli di vita. Taceva, ascoltava, sentenziava. «Un atteggiamento, una tradizione oracolare». Invece ora l'analista interroga, partecipa, entra in crisi lui slesso. Non da risposte, non consiglia. Fa per cosi dire si¬ stema con il suo paziente, e insieme cercano, si interrogano, percorrono un'avventura al lìmite senza trag- • ■ do. «E' la nuova tradizione maieutica. ( socratica )•■ / sogni, per esempio. Ieri era ianali.-<tr. a proporre interpretazioni utilizzando un codice fisso. Oggi analista e paziente interpretano insieme, ma non per disseppellire una verità che il sogno nascondeva e che chiedeva solo di essere svelata, bensì per trarre dal sogno degli spunti «che permettono di esplorare senza fine le tematiche esistenziali del sognatore». Non è un caso se il periodo dell'analisi è ora molto più lungo, dai quattro agli otto anni e oltre. Mentre con Freud un paziente restava pochi mesi. E tuttavia, un tal lavoro di aggiornamento non vuol dire per Jervis abbattere Freud. Resta invece, di Freud, il nucleo più ricco: il metodo critico, il fatto che la psicoanalisi interroga l'uomo sulle sue certezze più collaudate e tuttavia incrinale, quasi lo de- struttura e lo costringe a rintracciarsi, a reinventarsi più autentico e libero. «La psicoanalisi chiede a chi le si avvicina: perché fai le cose di tutti i giorni? quali sono i motivi veri? Fermati e chieditelo». Cosi, alla gran domanda se la psicoanalisi è scienza o no, Jervis risponde di si, che è «decisamente di ispirazione scientifica». «Sono contro chi la comprende con gli strumenti dell'ermeneutica e della letteratura». Ed è parte dèlia storia della scienza perché, per esempio, «Freud, biologo e materialista, si rifa al rapporto biologico-psichico dell'animo umano. L'inconscio ha a che fare con la biologia, è legato alle pulsioni, alla parte istintuale della psiche». Jervis allarga il suo intervento. «Sono stato marxista, anche maoista, ma non ho mai creduto alle nozze fra marxismo e psicoanalisi, e l'ho anche sempre scritto». E' autore della prefazione all'edizione italiana del marcusiano Eros e civiltà «Questo Marcuse, che è il versante ottimistico della Scuola di Francoforte, può probabilmente funzionare ancora, ma in genere si può dire questo: Freud vuole smontare l'individuo, non la società. Lo si è creduto nel '68, quando si è privilegiato il Freud del messaggio liberatorio e ci si è dimenticati del Freud pessimista, quello che dice: anche liberato, l'individuo non trova la felicità. Oggi la psicoanalisi è in crisi anche come influenza sugli altri campi culturali, come la letteratura, la sociologia e la politica». Jervis dice che il proprio lavoro, in definitiva, «è di togliere le aureole alla psicoanalisi. A forza di aureole è diventata un mito». Aggiunge: «Smitizziamo anche il mestiere dello psicoanalista. Costui è semplicemente una persona che, nell'ambito di una competenza nella salute mentale, decide di curare alcuni pazienti con metodo analitico. Tutto qui». A Silvia Vegetti Finzi sembra però che -Jervis esagera. Svuota troppo. Non darei come perduto gran parte del sapere che ci ha lasciato Freud. Non possiamo cioè ancora dirci post-freudiani». Questi i termini di uno dei più accaniti dibattiti in corso. Claudio Altarocca Giulio Bosetti e Claudio Gora in una versione teatrale della «Coscienza di Zeno» di Svevo, il primo caso in cui la psicoanalisi entrò nella letteratura italiana