De Cerasa-Albani: primo non separarsi di Osvaldo Guerrieri

De Cerasa-Albani: primo non separarsi I due attori protagonisti di «Inverni», da Silvio D'Ano, in scena martedì all'Adua per il Gruppo della Rocca De Cerasa-Albani: primo non separarsi SE un giorno si farà la storia degli attori liguri, da Govi in poi, sarà inevitabile puntare su tre sostantivi-chiave: solitudine, ruvidezza, silenzio. Strane persone, i teatranti liguri, grandi sulla scena e misteriosi nella vita, appartati come nessun altro, laconici in modo del tutto personale. Pensate a Eros Pagni, dominatore del palcoscenico e contadino in privato, fra le magre terre spezzine; e pensate a Feiruccio De Ceresa che, marito della non meno solitaria Elsa Albani, vive in un suo bozzolo di privatezza, lontano da ogni sussurro, esibizionismo, «promotion», la devastante "promotion» che, per un attore, si suppone debba essere importante tanto quanto saper respirare o usare il diaframma. De Ceresa e la Albani arrivano all'Adua con Inverni, spettacolo ideato da Carlo Repetti, diretto da Marco Sciaccaluga, prodotto dal Teatro di Genova e tratto da due brevi capolavori di quel grande, tutt'ora misconosciuto narratore che fu Silvio D'Arzo, «Casa d'altri» e «Inverni». Quando lo spettacolo fece il suo esordio, l'anno scorso, colpi non soltanto per la delicatezza impalpabile che lo attraversava, ma anche per i suoi silenzi gremiti di piccole catastrofi, per la finissima introspezione, per gli sguardi che raccontavano più delle parole. Capite bene che, per interpretare queste storie di vecchi che cercano di trovarsi e di capirsi sull'ultima riva della vita, accanto a un'acqua che si fa sempre più immota, ci volevano attori molto speciali, capaci di silenzi urlanti, di sguardi eloquenti, di parole ambigue, di polifonie psicologiche. Gli sconvolgenti testi di D'Arzo trovarono perciò sconvolgenti in¬ terpreti in De Ceresa e nella Albani che, uscendo dal nulla (così sembrava), creavano il miracolo dell'interpretazione triturata dall'intelligenza e dal cuore e poi restituita con pacata, grandissima umiltà. «L'attore è un mediatore», disse un giorno De Ceresa, commentando il successo di un suo spettacolo tratto da Borges. E aggiunse: «E' uno che mette a disposizione del personaggio e dell'autore il meglio delle sue capacità. Non ho mai scelto un testo per esibire me stesso». La frase diventa polemica se viene messa accanto ad un'altra affermazione: «Troppi coltivano sul palcoscenico il culto luccicante della propria persona e della propria voce. Allora è sufficiente essere laureati in fonologia per diventare attori?». De Ceresa è laureato in Legge e, per un certo tempo, ha lavorato all'Istituto delle case popolari di Genova. Ma il teatro era tanto più forte dei codici. De Ceresa e la Albani, conosciuta subito dopo la guerra e sposata nel '46, frequentarono il «Centro sperimentale Luigi Pirandello» fondato in quegli anni di tumultuosa rinascita. Dapprima divisero il palcoscenico con l'ufficio, poi, nel '49, decisero di passare definitivamente al Teatro. Il loro primo Natale da attori professionisti lo trascorsero in latteria. Poi vennero tempi migliori. Lavorarono al Piccolo, entrarono nella Compagnia dei Giovani, siglando spettacoli leggendari e, infine, tornarono a Genova, dove tutt'ora vivono. «Credo di avere capito — ha detto Ferruccio — che non ci si debba mai separare, neppure per amore dell'arte». Inverni è anche questo, il desiderio di non separarsi, neppure per amore dell'arte. Osvaldo Guerrieri

Luoghi citati: Feiruccio De Ceresa, Genova