Piccoli, ma bravi

Piccoli, ma bravi Dopo il «Parliamone» di Camon sulla piccola editoria, intervengono Giuseppe Laterza, Rosellina Archinto e Anna Maria Gandini Piccoli, ma bravi Fare i piccoli editori è puro masochismo? II «Parliamone» di Ferdinando Camon, sull'ultimo Tuttolibri, ha provocato molte, polemiche reazioni. Ospitiamo questa settimana gli interventi di due editori, Giuseppe Interza e Rosellina Archinto. e di una librata, Anna Maria Gandini. Pubblicheremo sabato prossimo altre lettere, giunte in chiusura di giornale. SU -Tuttolibri- della scorsa settimana Ferdinando Camon esorta i piccoli rditori italiani a fare harakiri, ovvero a sparire consorziandosi o confluendo nei grandi. Qupsto perche -fare il pircolo editore Tende alla cultura un servizio sempre inferiore alle energie e alle passióni investite: Non ::olo: addirittura —- oltre a ""ss* re faticoso, costoso e frustrante — -e dannoso c sé e agli autori; Non so quanto la tesi di Carri';n risponda al frusto dola provocazioni Sta di fatto eh» fa a pupi: con la realtà Ha il pregio pero di ossero argomentata per pumi precisi e dunque presumente contrr-veritbili. li piccolo editore — sostiene Camon — non può lanciare esordienti: sarebbe con.e -un cieco che guida un altro •ieco-. Il paragone è suggestivo ma non regge. Gli esempi del contrario sor.o tantissimi. Negli Anni 30 un piccolo editore come era allora Einaudi lancio alcuni tra i maggiori scrittori italiani dei Novecento. Un affermato scrittore di oggi — Gesualdo Bufalino — ha esordito presso un piccolo editore come Sellerio. Per non parlare della saggistica, dove il fatto che un autore pubblichi il suo primo libro con un piccolo editore, e la regola. I piccoli editori sono condannati alla marginalità — sentenzia Camon — perchénon riescono a fare pubblicità, non hanno spazio in libreria, non vengono ben distribuiti. Tutti problemi veri, che rendono difficile la vita di un piccolo editore. Ma superabili se egli sa fare leva su ciò che lo differenzia dai grandi: l'identità e la coerenza del catalogo, la cura delle edizioni, il rapporto diretto e continuo con l'autore. Un esempio. Molti conoscono Sellerio: eppure Sellerio non fa pubblicità. Per fortuna nel nostro Paese le recensioni premiano ancora la qualità sulla tiratura e di questo il piccolo editore — se è bravo — può avvantaggiarsi. Certo non tutte le librerie danno spazio ai piccoli: ma ci sono tante grandi e illustri librerie —■ a cominciare dalle Feltrinelli — che lo fanno, con ottimi risultati. La distribuzione è difficile: ma se un piccolo editore si organizza sa oggi di poter arrivare abbastanza facilmente alle maggiori librerie dei grandi centri. In conclusione: il contributo che i piccoli editori danno oggi — come in passato — alla cultura italiana e notevolissimo Cosi come un nlc.iolo ncn riuscirà mai a portare la Divina Commedia a 10 000 lire nella cartolibreria di Riccione olir, slesso modo un grande avrà sempre più difficolta a captare ciò che di nuovo si muove nelle innumerevoli nicchie della nostra cultura. Essere piccoli, grandi o medi di per se non e ne un bene né un male: ognuna delle tre categorie ospita editori eccellenti e mediocri. Ma è sicuramente vero che la piccola dimensione consente di cogliere più prontamente quei fermenti culturali nuovi che di solito si originano in gruppi ristretti di intellettuali. Auguri dunque ai piccoli editori perché i loro sforzi siano sempre più spesso ripagati dal contributo di anticonformismo e fantasia che essi danno alla cultura italiana. Giuseppe Laterza Non rinunciamo Gentile dottor Camon, da tutta una vita sono un «piccolo editore», e non sono né frustrata né affaticata, e non penso di aver fatto a me stessa e agli autori cosi tanti danni come Lei. Amo il libro, amo l'odore della carta stampata e, ogni volta che ho in mano la prima copia di un libro da me pubblicato, provo una grandissima gioia. E questo non succede solo a me. credo, ma a tutti i piccoli editori che fanno il loro lavoro con passione. E sicuramente rendiamo alla cultura, con la nostra ingenuità sui grandi numeri, molto più di coloro che maneggiano solo grandi numeri, con esiti spesso discutibili. E allora perché, caro Camon. rinunciare? La nostra individualità è importante, perche importante è il disegno che abbiamo. E se facciamo un'unica grande casa editrice perdiamo il gusto e il divertimento: ci interessa di più un progetto culturale che un comunque Incèrto progetto materiale. E poi non crede che tante piccole scaramuccie siano più utili all'esito positivo di una battaglia che l'attacco di un unico grande battaglione composto solo da generali? Forse crediamo un po' più di Lei nei libri e nei piccoli numeri, e forse questo Lei non lo può capire, perché a Lei piacciono solo i grandi numeri, le grandi tirature, con la conseguenza di perdere talvolta di vista quella piccola virtù che si chiama •■umiltà». Rosellina Archinto Un bell'inferno Caro Camon Non si può negare che il suo articolo -Bravi, ma piccoli- apparso su Tuttolibri del 22 aprile non cada al momento giusto. Proprio quando grossi editori 'cercherei di fare un uso più. prudente dell'aggettivo -grande-) compiono faticose opere di rastrellamento di piccole ma significative case editrici. Leggendolo sono stata pervasa da un senso di rassicurante serenità e mi sono sentita molto vicina al Paradiso. Ho visto il mio avvenire di librara finalmente pacifico e scevro di quel continuo combattere e arrabbiarsi che credevo facesse parte integrante del mio mestiere. Sciocchezze, mi sono detta. Guarda fiduciosa al futuro come lo vede Camon: solo pochi Grandi Editori che man mano fagocitano quei fastidiosi e innumerevoli piccoli editori che fanno -disordine-, una bella Distribuzione funzionante ed efficiente perché ha a che fare solo con Cose Grosse come lei, delle librerie belle e razionali senza angolini stupidamente occupati da inutili libretti, tutte eguali e pronte ad accogliere il Grande Prodotto del Grande Editore, con dei librai facilmente sostituibili da una Grande Segnaletica. Basta con gli sprechi! La piccola editoria non consegue risultati economicamente soddisfacenti ed è quindi uno spreco di intelligenze, idee, applicazioni e, come tutti gli sprechi, è dannoso. Ma subito sono stata assailla da dubbi infernali. Forse e vero che di spreco di intelligenza nelle grandi case editrici se ne vede poco, in compenso ci sono altri sprechi, per esempio di carta. Basta guardare i cataloghi dei grossi editori per accorgersi di quanti libri potrebbero fare a meno di pubblicare. A riguardo Camon mi sembra un po' disattento. E forse non legge neanche i giornali con sufficiente attenzione perche si accorgerebbe che ci sono moltissimi giornalisti -spreconi- che recensiscono preferibilmente proprio amori e libri dì piccoli editori segnalandoli all'attenzione di un pubblico che è veramente strano e bizzarro perché è persino capace di comprare libri prescindendo dalla dimensione della casa editrice che li pubblica. Però, dice Camon, i piccoli editori sono odiati dai distributori e dai librai. Per la distribuzione vorrei che fosse qualcuno di loro a parlare. Io posso assicurare Camon che la distribuzione, quando funziona male, è di un'equità assolutamente salomonica: funziona male sia per i grandi che per i piccoli e non è affatto sentimentale. Non lavora bene se ha interlocutori poco professionali, oscuri nei programmi, non puntuali nelle date di uscita e disattenti alle cifre. E l'odio dei librai dove lo mettiamo? A questo punto mi è venuto il dubbio che Camon. oltre a guardare poco i cataloghi degli editori e i giornali, frequenti poco anche le librerie. Per fortuna i piccoli editori invece le frequentano molto e con noi librai parlano, in modo propositivo e diretto, senza fastidiosi e burocrati intermediari, con un linguaggio diverso da quello prevaricatore e prepotente e fortemente mediato dei grossi editori. E in cambio non hanno angoletti nascosti, ma grande evidenza espositiva, attenzione costante, promozione e collaborazione. Condividiamo le loro fatiche, i loro successi e i loro entusiasmi perché ci fanno sentire importanti e partecipi, non siamo i "contenitori- dei loro prodotti, ma i loro dialettici amici. E questo in verità ci capita anche con grandi editori, ma più raramente. E ci ricordiamo di piccole case editrici come 11 Saggiatore, la Milano Libri o la Emme Edizioni che avevano dei programmi, una struttura e un posto nel mercato e che quando si sono vendute a grosse case editrici con grandi distribuzioni non hanno perso soltanto una loro affermata identità, ma hanno proprio perso fatturato. Però Camon conclude offrendo generosamente un'alternativa a quei piccoli editori che non vogliono vendersi: si riuniscano in Editori Associati, con un solo nome etc. Ancora una volta debbo notare che la sua informazione è ca¬ rente. Io che li frequento certamente più di lui, quando mi sono permessa di fare una proposta analoga, ne sono uscita viva per miracolo. Perché di piccoli editori è piena l'Italia e alcuni di loro farebbero probabilmente bene a chiudere, altri a vendersi o a consociarsi, ma quelli veri, chiamiamoli semplicemente editori, ci tengono moltissimo alla loro individualità, alla loro immagine, alla loro consistenza economica, costmita con fatica, ma senza frustrazione né masochismo, piuttosto con entusiasmo, fantasia, rischio imprenditoriale e occhio sempre ben attento ai conti. Lasci quindi, caro Camon, che siano loro a decidere se vendersi, quando e a quali condizioni perché di protezione e di paterni consigli ne hanno assai meno bisogno di quanto crede lei. So che queste mie riflessioni, dettate da una sfrenata e malsana passione per la buona piccola editoria (che comunque rappresenta il 6,50c/c del mio fatturato) le sembreranno deliranti, ma li venga a trovare al prossimo Salone di Torino: si stupirà di trovare delle persone poco lamentose e prive di complessi di persecuzione. Alcune unite in uno stand unico, altre separate, ma tutte sicure di costituire un elemento necessario alla crescita di un mercato, niente affatto omogeneo, diffidente delle sinergie e molto disponibile al consumo del diverso e del particolare. E per quel che mi riguarda ho deciso alla fine di preferire il vivace inferno in cui temo mi toccherà continuare a vivere e a lavorare al piatto e insipido paradiso da lei prospettatomi. Anna Maria Gandini Maria Corti: non vado allo «Strega» Gentile Direttore, a proposito dell'articolo di Mirella Serri sui premi letterari in •Tuttolibri- del 2214, desidero precisare che non concorro al Premio Strega. Un saluto cordiale. Maria Corti

Luoghi citati: Italia, Milano, Riccione, Torino