Mentre Mussolini parlava cadevano le illusioni di una generazione di Antonio Ghirelli

Mentre Mussolini parlava cadevano le illusioni di una generazione «I fantasmi del Lirico» di Ghirelli Mentre Mussolini parlava cadevano le illusioni di una generazione INVERNO del 1944. Un treno che porta a Milano impiegati e lavoratori viene mitragliato dagli aerei. Panico, fuggi fuggi. Sul treno, colto da malore, vi è il protagonista di questa storia (un napoletano trapiantato a Milano), che tutti chiamano Capitano, anche se tale grado in realtà egli, combattente della prima guerra mondiale, non l'ha mai raggiunto. Prende cosi avvio la vicenda, costruita su due piani: quello dell'oggi, che arriva fino al celebre discorso del Lirico, con il quale Mussolini, liberato dai tedeschi, riassunse pubblicamente la responsabilità di capo della Repubblica sociale; l'altro che, attraverso un'efficace cadenza di flash back, riscopre la vita e le vicende personali del Capitano, dalle delusioni del primo dopoguerra e dai conseguenti entusiasmi fascisti, fino alle soglie, qui al teatro Lirico (dove egli è presente come impiegato di un'agenzia fotografica), del bilancio definitivo di un'esistenza e insieme di un'ideologia. Non è dato scegliere il piano di lettura: entrambi si sono fatti storia personale, quasi che il lungo esercizio di Ghirelli attorno alle analisi politiche e civili abbia ingenerato il bisogno finale, per verificarsi, di farsi racconto, soltanto racconto, e diventare esemplare della storia di una generazione proprio in grazia di questa qualità di vicenda esclusiva, di storia di un uomo cui è capitato di vivere in quegli anni, di amare, penare, gioire, sperare in quegli anni, sia pure con una sorta di testarda, ma anche sempre meno entusiasta cecità. Illusioni che crollano, amori che si spengono, famiglia scardinata, addii, abbandoni... Di questo eterno materiale è fatto il racconto e da'esso, dalla quotidianità di tale mescolamento di carte, viene fuori uno stupendo convincente ritratto in grigio (il grigiore è l'atmosfera di fondo, che uccide esattamente ogni falsa epopea e dà la misura vera di quella stagione), allegoria viva di un'età e di una sorte collettiva, con accensioni di grande accorata commozione (l'incontro del • vecchio- con la ragazza del cappottino rosso, la memoria innamorata di una Napoli reale, eppure quasi utopica...), con esiti di sottolineatura di una -vita sbagliata-, dai falsi entusiasmi, velleitaria, ma che tuttavia vita è stata e ti appassiona proprio per la sua qualità di esperienza unica, non ancora ascoltata. Color grigio: la scrittura di Ghirelli è di sapiente linearità, come ad inseguire e a registrare con un affettuoso distacco, precludendosi ogni rifugio nell'enfasi, l'emozione che accompagna segreta il maturare di un destino. Per rendersi però conto dei trasalimenti che tale scrittura vive e della qualità allusiva che essa sa assumere, si leggano le pagine finali: quelle del giovane che •ha capito- e che è deciso ad agire nella storia con una fede diversa da quella del Capitano (ed è l'apertura verso il futuro, nonostante la fine rapida e tragica di ammazzamento), e quelle della parafrasi del discorso di Mussolini, ascoltato dal vìvo, e che a mano a mano che procede spalanca il vuoto, lascia cadere le impalcature e si rivela una tragica oscena/arsa, una sfilata di fantasmi che precipita nel vuote tragico della Storia. Stefano Jacomuzzi Antonio Ghirelli, «I fantasmi del Lirico», Rusconi, pagine 140,20.000 lire. Mussolini in una caricatura

Luoghi citati: Milano