Gli uomini della Resistenza non interessano più?

Gli uomini della Resistenza non interessano più? Convegno a palazzo Lascaris (assenti i politici) sui primi governanti dell'Italia repubblicana Gli uomini della Resistenza non interessano più? In una serie di domeniche, tra la primavera e l'autunno del 1946, circa un milione di piemontesi (il 457c uomini, il 55r/r donne), elessero nei 1209 Comuni della regione oltre 20.000 rappresentanti comunali. Era, quella, la prima classe politica locale nell'Italia Repubblicana, dopo il lungo silenzio della dittatura fascista e la stagione d'intenso protagonismo della lotta di liberazione. Su di essa ricadeva il compito impegnativo di affrontare l'emergenza, di riavviare i meccanismi amministrativi e politici, di riorganizzare la vita comune in una regione particolarmente colpita dalle devastazioni di una guerra totale. Eppure di quel personale politico e del suo operato nulla si sapeva fino ad oggi. Mentre sulla classe politica nazionale, soprattutto sui suoi esponenti di maggior rilievo, esiste una gran quantità di studi storici — e da qualche tempo anche un certo numero di analisi politologiche — il profilo e l'attività del personale politico locale restavano quasi completamente oscuri. Alla lacuna ha cercato di ovviare una ricerca triennale degli Istituti storici della resistenza del Piemonte, condotta con il patrocinio del Consiglio regionale, del Comune di Torino, delle Province di Torino e di Cuneo e dell'Università, e presentata nel corso del convegno «Uomini, donne, città», tenutosi a Palazzo Lascaris il 14 e il 15 aprile. La ricerca ha realizzato una dettagliata «fotografia» di un campione significativo di amministratori locali (circa 4000 casi) eletti nelle due successive tornate del 1946 e del 1951, ottenendone risultati per molti aspetti imprevedibili. Comunque certamente inediti. E' emerso infatti, in primo luogo, che coloro che «governarono» a livello locale la ricostruzione, erano per la maggior parte — almeno per il 70"7r — homines novi, non solo privi nella stragrande maggioranza di precedenti esperienze politico-amministrative (solo il 77f aveva ricoperto cariche in enti pubblici), ma anche sostanzialmente estranei fino a pochi mesi prima alla dimensione politica (solo il 36rr risulta aver avuto un orientamento politico esplicito nel ventennio precedente), e ancora scarsamente legati al nascente sistema dei partiti (solo il 207r ricopri cariche partitiche prima del 1946). Un nesso assai tenue legava quella nuova, ampia rappresentanza popolare al protagonismo storico, alla «grande politica», del quinquennio precedente: meno del 147r degli eletti nel '46 avevano partecipato alla Resistenza, solo il 12CI di coloro che rientravano nei limiti di età aveva fatto la guerra. I deportati erano appena 12 (O^tt). In compenso strettissimi erano i rapporti con la società civile, con la realtà locale che erano chiamati a rappresentare. La composizione professionale di quella classe politica riflette fedelmente la struttura sociale piemontese, con una prevalenza assoluta di lavoratori manuali (oltre il 40%) e di ceti medi produttivi (oltre il 30^), e con una nettissima sottorappresentazione (rispetto al livello nazionale) delle tradizionali figure di mediazione politica (avvocati, liberi professionisti, giornalisti, eccetera). Il quinquennio successivo segnerà il progressivo affermarsi del sistema dei partiti come struttura decisiva di selezione e formazione del ceto politico locale, nel quadro della più generale normalizzazione e stabilizzazione politica. Il processo d'impianto dei partiti — il crescente monopolio della sfera politica da essi conquistato — determinerà anche una progressiva autonomia della classe politica locale dalla società. Il suo costituirsi, appunto, in «ceto», In classe specializzata-, certo tecnicamente più attrezzata rispetto alla • prima generazione», ma anche forse più distante dalle istanze -di base-. Da quel -Paese reale» che doveva rappresentare. Di tutto questo si è parlato, nelle giornate di venerdì e sabato, a Palazzo Lascaris, confrontando i dati piemontesi con ì risultati delle ricerche analoghe condotte dagli Istituti storici della resistenza in altre sette regioni. Un dibattito sulle origini, ma per molti aspetti attuale: il confronto finale, presieduto da Guido Quazza, con alcuni esponenti di primo piano della classe politica «in carica» come Bodrato, Zanone, Novelli, Cardetti, e con studiosi come Lombardi, è stato di particolare interesse. Utile a chiunque s'interroghi su ruolo e problematiche del governo locale. Il che rende tanto più impressionante la scarsa attenzione dimostrata da quello che avrebbe dovuto essere uno degli interlocutori principali del discorso, o comunque uno dei principali -utenti- della ricerca: l'attuale ceto politico locale. Se si escludono il presidente del Consiglio regionale Angelo Rossa, il vicepresidente Luigi Pettini, la presidente della Provincia Nicoletta Casiraghi, e Athos Guasso, presenti tutti con fattivi contributi al dibattito, sono stati notati in aula solo tre consiglieri: Chezzi, Marchiaro e Villa. Evidentemente neppure il richiamo del De te fabula narratur ha potuto aver ragione dell'inerzia di ceto. Marco Revelli

Luoghi citati: Comune Di Torino, Italia, Piemonte, Torino