Un Messico tragico anzi un fotoromanzo di Ugo Buzzolan

Un Messico tragico anzi un fotoromanzo Conclusa su Raidue «La rivolta degli impiccati» Un Messico tragico anzi un fotoromanzo Prodotto da nove tv di sette nazioni: quando l'unione non fa la forza Si sono messi insieme nove organismi telecinematografici di sette nazioni (Germania, Austria, Svizzera, Francia, Inghilterra, Italia e Messico) per realizzare il movie La rivolta degli impiccati che si è concluso su Raidue. L'unione fa la forza? In questo caso no. Alla base, una trilogia di romanzi di uno scrittore rimasto a lungo misterioso. Bruno Traven, americano di famiglia del Nord Europa, vissuto per quasi tutto l'arco della sua esistenza in Messico, e famoso per // tesoro della Sierra Madre da cui Huston ha tratto il memorabile film con Bogart. La trilogìa cui si è ispirato il movie mischia l'avventura, il fascino del mondo degli indios, la rievocazione del Messico sotto il tallone del dittatore Porfirio Diaz, e sulle soglie della rivoluzione del 1910. Valida scelta: materia incandescente, impegnata, spettacolare. Nell'impresa sono stati profusi mezzi cospicui, la troupe ha girato in Messico, la sceneggiatura è stata affidata al cineasta Hans Geissendorfer, la regia a Juan Luis Buhuel (del quale bisogna ogni volta ricordare che è il figlio del grande Luis). Le premesse parevano salde e promettenti; ma i risultati sono stati zoppi. Per due puntate il movie ha cercato dì rendere l'atmosfera torrida e torva di un villaggio dove gli indios sono schiavizzati e gli sfruttatori bianchi frustano, stuprano, ammazzano; qui arriva—e una parte del racconto è incentrata sulla coppia — un inviato del governatore, un ubriacone e giocatore con moglie avvenente, perfida e mignotta — è la sola attrice italiana, Elena Sofia Ricci — la quale lo tradisce anche solo per un grammofono a tromba (e ogni tradimento è segnato dalla caduta di culottes con pizzo). Due ampie puntate portate avanti correttamente, ma con blando ritmo e scarsa convinzione. Non c'è l'impennata; ci sono tanti eventi, atrocità, violenze, ceffi, facce emaciate di vittime, ma non c'è approfondimento, non c'è vibrazione, non si avverte autentica partecipazione da parte di nessuno. I cattivi recitano da cattivi, gli oppressi da oppressi, e si sente troppo che recitano come su un palcoscenico secondo schemi conven¬ zionali. Nella terza parte, finalmente la rivolta. Ma è una rivolta facile facile e i tremendi felloni vengono abbattuti in un battibaleno, tanto da chiedersi: non potevano farla prima? Questi sono i guai di certe maxiproduzioni internazionali. La storia è schiettamente e fortemente messicana, e doveva essere gestita — con sano nazionalismo culturale — dagli stessi messicani, magari aiutati da capitale straniero. Questa doveva essere l'operazione, e invece l'hanno presa in mano gli altri, con miopi criteri commerciali e con quell'idea sballata di mettere in piedi un qualcosa che possa «andar bene per tutte le platee»; il Messico e l'anima del Messico finiscono con l'essere solo lo sfondo per un intrigo che quanto più è truculento tanto più non morde, ed è fiacco per il semplice motivo che la sua «aggressione» è tutta esteriore e non erompe dal di dentro. Così il prodotto ultimo è una sorta di fotoromanzo, formalmente pulito ma anonimo, e perciò sostanzialmente inutile. Ugo Buzzolan

Persone citate: Bogart, Bruno Traven, Elena Sofia Ricci, Hans Geissendorfer, Huston, Juan Luis, Porfirio Diaz