Scrittori nel vortice africano di Claudio Gorlier

Scrittori nel vortice africano DAKAR: A CONGRESSO IN UN MOMENTO DECISIVO PER LE LORO CULTURE Scrittori nel vortice africano Cercano una patria culturale, tra spinte innovatrici e vecchie fedeltà ai modelli coloniali, tra Islam e mondo subsahariano - A confronto P«Africa della mente» di Barak;, (LeRoi Jones), il nomadismo di Farah e il radicalismo di Osundare ■ Dibattito su due problemi: un pubblico ristretto, volubile, persino fantasma e l'avanzata inesorabile dell'informatica - Tensione per i «Versi satanici» e per la presenza di due autori sudafricani bianchi DAKAR — Arrivano, da varie parti del mondo, i partecipanti al Congresso di letterature africane di Dakar. E' un'occasione cruciale: venticinque anni dopo il Congresso di Fourah Bay, in Sierra Leone, con il suo carattere pionieristico, si tratta di misurare quanto e come le letterature africane sono cresciute. All'aeroporto di Dakar, i doganieri solitamente cortesi e poco fiscali ispezionano il bagaglio di alcuni afroamericani. Ci si domanda che cosa cercano, e si ottiene presto la risposta: copie dei Versi satanici di Rushdie. Ne trovano una, e la sequestrano. La crescita, a quanto sembra, vive anche di queste tensioni. Iniziati i lavori, di tensioni se ne innesca subito un'altra. Sono stati invitati, dall'Associazione americana che ha contribuito a organizzare il Congresso, alcuni studiosi su-' dafricani bianchi, di ascendenza inglese e afrikaans, ma ovviamente contrari al regime dei/'apartheid. In alcune sessioni intervengono con i loro contributi, in altre gli africani si oppongono a che parlino: sono sudafricani, e tanto basta. Il Congresso si dovrebbe tenere all'Università Cheick Anta Diop, una delle più prestigiose dell'Africa, ma il personale è in sciopero, e bisogna trasferirsi nei locali della Fiera. Qui le tensioni riflettono un'inquietudine politica e sociale, ih un Paese nella sostanza efficiente e bene amministrato ma scosso dalla crisi economica che serpeggia in tutto il continente, al punto — tanto per fare un caso — che alcuni delegati nigeriani sono assenti perché né loro né le Università ce l'hanno fatta a pagare il costo dei biglietti aerei. In mezzo a tutte queste difficoltà, il Congresso si svolge e consente di misurare la temperatura di un momento decisivo per le culture africane. Culture, e non cultura, perché nulla sarebbe più fuorvìante che tentare una classificazione globale. Si veda un esempio tra i più indicativi. Mentre si arricchisce il dibattito sul rapporto tra letterature in lingue africane e letterature, ancora nettamente egemoni, anglofone, francofone e lusofone, mentre si rivendica sempre più risolutamente l'incidenza dell'oralità africana sul ripensamento delle lingue europee, il presidente del Senegal, Abdou Diouf, si reca a Parigi per ricevere dalla Sorbona una laurea honoris causa, e il più au- lorevole e diffuso quotidiano senegalese. Le Soleil, celebra l'avvenimento come un «omaggio all'Africa», ma anche «un inno alla francofonia». Ecco un'affermazione che fa sobbalzare, quando non irrita profondamente, la maggioranza degli intellettuali africani, specie i non francofoni. Del resto, a cominciare da Soyinka, il principio, di matrice francofona, di •negritudine' non è ormai sotto tiro quale astuto travestimento neocolonialista? A questo punto, il nocciolo del Congresso di Dakar mi sembra agevolmente identificabile nella tavola rotonda su «Qual è il Paese (patria, s'intende, in francese) dello scrittore africano?», protagonisti Amiri Baraka, Nuruddin Farah e Niyi Osundare. Baraka, che prima della militanza nella protesta nera si chiamava LeRoi Jones e si attribuì il nuovo nome ki-swahili, è un notissimo poeta, romanziere e saggista americano. Farah, scrittore e saggista raffinato, somalo in esilio, va considerato tra le figure più rappresentative della scena letteraria africana. Osundare è un poeta nigeriano delle ultime generazioni, un personaggio per cosi dire emergente. Baraka professa con veemenza la sua ideologia rivoluzionaria, sostiene la parte dell'arrabbiato per eccellenza. insistendo sulla identificazione tra colonialismo e imperialismo, tra sfruttamento e capitale, giungendo alla conclusione che Africa è dovunque si combatta Imperialismo; si tratterà, secondo la visionaria predizione di Baraka, di trovarsi dalla parte giusta nel momento del crollo dell'imperialismo capitalista, s.-fa di grande millennio. Ma al di la e per singolare contrasto con le categorie che professa, Baraka rimane un urbanissimo intellettuale, un accademico americano, e la sua, un'Africa della mente, curiosamente •ospite' in Africa. Farah riflette la condizione del nomade per scelta e per necessità, determinalo nelle sue opzioni democratiche e insieme fermo nella coscienza del suo mestiere di scrivere, oltre che di vivere, onde si sente di casa ovunque possa liberamente realizzarsi. In quanto a Osundare, il più radicato oltre che il più giovane, non senza ingenuità egli prosegue su una via maestra della cultura africana per la quale l'intellettuale esercita una funzione quasi pedagogica, con tutte le responsabilità che un simile ruolo comporta Di qui la sua convinzione appassionata che un'identità culturale africana debba accompagnarsi sempre al rifiuto di ogni acquiescenza, alla denuncia delle prevaricazioni, delle sopraffazioni, delle spinte autoritarie cosi minacciose nelle società post-coloniali: non una svolta, ma una conferma importante. Come si vede, le patrie dello scrittore africano sono molte e tutt'altro che omogenee. Viene da domandarsi se il Congresso di Dakar, oltre a misurare i termini di una crescita sull'arco di un quarto di secolo, non si sia trovato a verificare i termini di una spirale vorticosa di composizione e di scomposizione. Dakar stessa, nella sua mescolanza di moderno addirittura kitsch e di antico (il poco salvatosi dal tentativo caratteristicamente francese di trasformare le città africane in copie di agglomerati residenziali del Midi), conferma le proporzioni. La spirale, allora, avvolge i contrasti tra tempo lineare europeo e tempo circolare africano, con le sue pause c le sue lentezze, ma anche quelli tra mondo islamico, specie magrebino, e mondo subsahariano, tra spinte innovatrici e vecchie fedeltà ai modelli coloniali, tra rivendicazione di mascolinità e rivendicazioni femminili, se non propriamente femministe. In parallelo, è il metro stesso di legittimazione e di convalida che registra oscillazioni sensìbili. Strutturalismo, poststrutturalismo, decostruzionismo, aprono teste di ponte sul terreno dell'indagine testuale ma suscitano interrogativi e dubbi su una applicabilità coerente a un discorso letterario difficile da ingabbiare in una normativa troppo rigida. Il marxismo, naturalmente merce di importazione, giunge in Africa lungo i canali della diaspora afro-americana e caraibica, e in questo quadro Gramsci richiama un interesse tutt'altro che contingente, d'altronde speculare a un'attenzione rinnovata nel mondo anglosassone. Ma ì critici che si affannano diligentemente a discutere, com'è accaduto anche a Dakar, sull'indagine della testualità o sul significato di un approccio tra il nazionale e il sociale, non possono nascondersi, mentre si compiacciono della crescita e dell'affermazione delle letterature africane, il vecchio interrogativo dei destinatari, di unpubblico ristretto, spesso volubile, o persino fantasma. La congiuntura economica, la slessa per la quale almeno un quarto della popolazione di Dakar sfugge al censimento sulla forza lavoro per la semplice ragione che affolla le strade nel tentativo di esitare con vischiosa insistenza la propria paccottiglia ai turisti, mette in pericolo di fatto la crescita delle grandi istituzioni culturali, a cominciare dalle Università, dove scende pericolosamente il numero dei laureati, una linfa indispensabile per il continente. Temo che ai partecipanti del Congresso di Dakar, pur cosi utile per il bilancio tentato, sia sfuggito che nelle città africane i negozi e gli uffici strategici del centro non siano tanto le banche, quanto le filiali dell'Rrm e dell'Unisys. In apparenza, questo rilievo non riguarda i santuari della letteratura, ma nella sostanza finirà per invaderli. Forse l'ultimo capitolo, almeno per ora. riguarda l'avanzata inesorabile dell'informatica, del discorso elettronico. Se si tratti del travestimento estremo della penetrazione coloniale o di uno strumento disponibile per la liberazione e l'espressività costituisce davvero un interrogativo pertinente da proporre per un prossimo congresso. Claudio Gorlier Dakar. Tra antico e moderno addirittura kitsch, la città è simbolo della vorticosa spirale di contrasti in atto nella cultura africana